L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce come salute lo “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”, un diritto fondamentale che spetta al singolo individuo, una risorsa indispensabile per condurre al meglio e per il più lungo tempo possibile una vita produttiva e per mantenere adeguati rapporti individuali, sociali ed economici. Gli alimenti e talune sostanze funzionali possono svolgere un ruolo per mantenere il nostro organismo in buona salute e in questi ultimi anni la ricerca scientifica sta concentrando la sua attenzione sulla prevenzione dell’invecchiamento e sulle principali patologie legate a alimentazione e stili di vita inadeguati e alle mutate condizioni ambientali.
Il Progetto “Moli-sani” è un grande studio di coorte prospettico sui fattori di rischio e protezione, genetici e acquisiti, delle malattie cardiovascolari e dei tumori, per il quale dal 2005 al 2010 sono stati reclutati 25 mila abitanti del Molise con età superiore ai 35 anni. Una prima osservazione risultante dallo studio è che tanto maggiore è l’adesione alla dieta mediterranea (l’UNESCO l’ha riconosciuta come un “modello culturale per tutta l’umanità”), tanto minore è il rischio di sviluppare sia malattie coronariche che ictus soprattutto nei soggetti con età superiore ai 65 anni. L’incidenza di queste patologie a questa età diminuisce laddove è maggiore l’assunzione di sostanze antiossidanti e di polifenoli, sebbene i dati non siano sufficienti a dimostrarne la correlazione diretta. Sembra invece non esistere alcun legame tra dieta mediterranea ed aumentato consumo di antiossidanti e polifenoli, con la fibrillazione atriale e l’insufficienza cardiaca. Probabilmente tali sostanze sono in grado di prevenire l’aterosclerosi, ma non di agire su meccanismi di tipo elettrico o di scompenso. In generale, comunque, sembra proprio che l’adesione alla dieta mediterranea sia associata ad una riduzione del rischio di mortalità nella popolazione in generale per tutte le cause, anche nei soggetti con diabete.
E’ necessario tenere sotto controllo l’iperinsulinemia e non diventare insulino-resistenti: queste due condizioni sono infatti alla base di diverse alterazioni biochimiche, tra cui un incremento dei processi infiammatori, che portano poi allo sviluppo di problematiche cliniche importanti, quali obesità viscerale, dislipidemie, neurodegenerazione, etc.
Nella dieta bisognerebbe seguire l’antico detto popolare “Colazione da re, pranzo da principe, cena da povero”: il digiuno notturno di almeno 12 ore, e la conseguente chetosi, sono condizioni necessarie per migliorare la risposta all’insulina e a specifici enzimi (es. ormone della crescita, leptina, grelina), prevenendo così il verificarsi di tutte quelle alterazioni metaboliche responsabili dell’invecchiamento cellulare e dello sviluppo di patologie quali diabete, malattie cardiovascolari, tumori, etc. In alternativa, si possono seguire schemi diversi come il digiuno intermittente in cui a periodi (giorni o mesi) di dieta libera si alternano uno o più giorni di restrizione calorica.
Mangiare frutta a guscio: i risultati di due studi di coorte condotti negli Stati Uniti tra gli anni ’80 ed il 2010, che hanno coinvolto circa 119 mila soggetti, hanno dimostrato che l’assunzione di noci e frutta secca in genere è associata ad una ridotta incidenza di mortalità per cancro, malattie coronariche e respiratorie.
Svolgere attività fisica: nei soggetti anziani con età superiore a 75 anni, si è osservato che basta un anno di attività fisica moderata (es. camminare per almeno un’ora al giorno) per riportare indietro l’orologio biologico di almeno 10 anni, in termini di quantità di ormoni circolanti. Se a tutto questo aggiungessimo delle semplici regole come “non fumare”, “bere alcolici in modo moderato”, “assumere vitamina C ed altre sostanze antiossidanti”, “esporsi al sole” (utile per sintetizzare vitamina D, un’”ormone” con un ruolo importante nella prevenzione dei tumori e nel regolare la funzione del sistema immunitario), la vita di un uomo potrebbe allungarsi anche di 14 anni. Tra gli alimenti che non dovrebbero mai mancare sulla nostra tavola: frutta a guscio, cereali integrali, cacao, legumi, caffè, spezie e erbe, quest’ultime largamente studiate per le loro potenziali attività antiossidanti ed antinfiammatorie.
Numerosi sono gli studi epidemiologici che evidenziano come alcuni alimenti possiedano proprietà epigenetiche, ossia la capacità di modulare l’espressione genica e, di riflesso, di avere un impatto, positivo o negativo, sullo sviluppo di patologie, quali malattie cardiovascolari, tumori e patologie cronico-degenerative. Un siffatto ruolo potrebbero rivestirlo anche alcuni metaboliti secondari caratteristici di piante commestibili: fagiolo e vite per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, mirtillo e curcuma per prevenire alcune forme tumorali. Studi preclinici condotti nel ratto hanno dimostrato, ad esempio, la capacità di un estratto di fagiolo (Phaseolus vulgaris L.), standardizzato in fitoemoagglutinine e faseolamina, inibitore dell’enzima a-amilasi, di ridurre la glicemia post-prandiale, aumentare il senso di sazietà, diminuendo di conseguenza la volontà di assumere cibo, e di ridurre in modo significativo il peso corporeo, condizione che persiste anche a trattamento concluso. Gli effetti positivi sul controllo dell’appetito sono stati confermati, in via preliminare, dai risultati di uno studio clinico condotto in doppio cieco con il controllo del placebo su 20 soggetti sani ai quali sono stati fatti assumere, durante un pasto, 100 mg di un estratto di fagiolo. La vite (Vitis vinifera L.) è una pianta ricca in polifenoli, sostanze ampiamente studiate per la loro attività antiossidante. Un estratto di semi d’uva, standardizzato in proantocianidine (95%) e catechina/epicatechina (5-15%) assunto alla dose di 300 mg/die per 4 mesi da più di 100 soggetti con diagnosi di pre-ipertesione o ipertensione lieve, ha portato alla normalizzazione dei valori pressori nel 93% dei casi. Dai frutti freschi del mirtillo (Vaccinium myrtillus L.) viene ottenuto un estratto standardizzato al 36% in antocianine. Alcuni studi su animali e nell’uomo hanno mostrato un ruolo potenziale degli estratti di mirtillo nel prevenire lo sviluppo di cancro al colon-retto. La curcuma (Curcuma longa L.), originaria dell’India, è un’altra pianta su cui la ricerca scientifica sta investendo molto in questi ultimi anni per i numerosi effetti benefici (es. antiossidante, antinfiammatorio, etc.) che la curcumina, una miscela di curcuminoidi estratta dal rizoma della pianta, ha mostrato di avere in numerosi studi in vitro, ma non in vivo per la sua scarsa biodisponibilità. Per migliorarne l’assorbimento a livello intestinale la curcumina potrebbe essere legata a fosfolipidi. I risultati di uno studio clinico randomizzato e controllato hanno effettivamente mostrato la maggior biodisponibilità di questo complesso rispetto alla curcumina assunta tal quale. E’ attualmente in corso uno studio clinico in doppio cieco con il controllo del placebo su soggetti con polipi adenomatosi del colon-retto per valutare se una combinazione di estratto di mirtillo e di curcuma, assunti in quantità pari a 1 g/die, sia in grado di prevenire l’evolversi del polipo in una forma maligna.
Una iniziativa realizzata in concomitanza della “XII Giornata Mondiale contro l’ipertensione”, il 2 maggio scorso ha coinvolto 3 paesi tra Campania e Basilicata: Salerno, Polla (Sa) e Satriano di Lucania (Pz). Questi ultimi sono due paesi piccoli dell’entroterra, rurali, dove gli abitanti sono ancora dediti all’agricoltura e alla pastorizia. Prima di misurare la pressione sanguigna, ai numerosi partecipanti (età media: 60 anni) è stato chiesto di compilare due semplici questionari per valutare l’aderenza alla dieta mediterranea e alla filiera agroalimentare corta, in quest’ultimo caso per capire cosa la gente mangia e la qualità dei cibi che si assumono. In generale si è registrata una buona aderenza alla dieta mediterranea (41,4%) tranne a Satriano di Lucania, probabilmente per lo scarso consumo di pesce, a cui si preferisce la carne di maiale, allevato proprio in questa zona. L’adesione alla filiera corta ha invece un’incidenza maggiore nei piccoli paesi rispetto alla città dove è maggiormente diffusa la grande distribuzione. I soggetti trovati ipertesi erano il 30% a Salerno, contro il 44,7% di Polla e il 46% di Satriano. Nei piccoli paesi, rispetto alla città, si è rilevata una minor adesione dei soggetti ipertesi alla terapia farmacologica, probabilmente a causa di un’inadeguata assistenza sanitaria. Una tendenza simile è stata osservata per i livelli plasmatici di colesterolo. Questi potrebbero essere i motivi per cui nei paesi si registra una maggior incidenza di malattie cardiovascolari e infarto miocardico. Per contro, invece, il profilo vitaminico, in particolare i livelli di vitamina B12, è migliore nei piccoli paesi, rispetto alla città, probabilmente per un più facile accesso alla spesa a kilometro zero (filiera corta).
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica sta dirigendo i propri sforzi verso lo sviluppo di prodotti sempre più innovativi che contengano principi attivi e sostanze funzionali in grado di migliorare la nostra salute. Studi sono stati compiuti per ottimizzare, ad esempio, la biodisponibilità del coenzima Q10, una sostanza presente in tutti i tessuti dell’organismo con un ruolo centrale nella produzione di energia e nella respirazione cellulare. Il coenzima Q10 è disponibile in due forme, ossidata (ubichinone) e ridotta (ubichinolo), maggiormente biodisponibile. La forma ridotta è anche un potente antiossidante. Studi in vitro hanno infatti dimostrato che l’ubichinone non possiede attività antiossidante di per sé, mentre l’ubichinolo ha mediamente il doppio del potenziale antiossidante della vitamina E. In uno studio clinico in vivo, l’assunzione di 100 mg/die di ubichinolo per 2 settimane da parte di 28 soggetti, ha portato ad una riduzione dei livelli organici di 8- Oxo-2′-deossiguanosina e malondialdeide, il cui incremento è indice di stress ossidativo. Evidenze sperimentali hanno mostrato che le riserve di coenzima Q10 nell’organismo si riducono con il passare dell’età a partire dai 40 anni. La carenza di questa molecola durante l’invecchiamento o in determinate condizioni patologiche può generare disfunzioni cellulari in ambito neurologico e neuromuscolare. Di seguito gli effetti benefici evidenziati per ubichinolo in alcuni studi:
– in un campione di 1.200 individui, è stata individuata una correlazione significativa tra il rapporto Q10 ox/red e i livelli di proteina c-reattiva, marker dell’infiammazione. La concentrazione di tale proteina aumenta quando i livelli di ubichinolo nell’organismo sono più bassi.
– In uno studio su un modello di topo soggetto a senescenza accelerata, la somministrazione di ubichinolo ha portato ad un rallentamento dei processi di invecchiamento.
– L’assunzione di 100 mg/die di ubichinolo per 6 mesi da parte di anziani con età media di 78 anni, ha avuto un effetto significativo sul miglioramento della qualità della vita e del benessere mentale.
– In uno studio clinico in doppio cieco con il controllo del placebo, l’assunzione di 150 mg/die di ubichinolo per 12 settimane da parte di 31 soggetti, oltre a quadruplicare i livelli plasmatici di questa sostanza, ha portato ad un miglioramento della funzione nervosa, della qualità del sonno e dei sintomi di affaticamento.
– La somministrazione di coenzima Q10 ridotto è utile nei casi di insufficienza cardiaca, in quanto è in grado di aumentare la frazione di eiezione, ossia la quantità di sangue che lascia il cuore ad ogni contrazione.
– Nei pazienti in trattamento con statine, si assiste nel 10-15% dei casi a fenomeni di affaticamento e mio/cardiopatie. Con l’assunzione simultanea di ubichinolo (60 mg/die per 6 mesi), si è osservata una riduzione della percezione del dolore (-54%) e della debolezza muscolare (-44%).
– In 228 uomini con infertilità idiopatica (senza cause apparenti), trattati con 200 mg/die di ubichinolo per 26 settimane, si è osservato un miglioramento della vitalità, motilità e morfologia degli spermatozoi ed un aumento del potenziale antiossidante del liquido seminale. La presenza di elevate concentrazioni di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nello sperma potrebbe essere una causa di infertilità maschile. Gli effetti dell’ubichinolo sono visibili anche nelle 12 settimane successive al trattamento.
– Studi condotti su sportivi hanno dimostrato che il trattamento con 300 mg/die di ubichinolo per 6 settimane o 200 mg/die per 3 settimane con un interruzione di 14 giorni e successivo cross-over, a confronto con il placebo, migliora la prestazione sportiva e compensa la riduzione del coenzima Q10 che avviene normalmente durante un’attività fisica intensa.
Molti ingredienti usati oggi in cosmetica sono di origine naturale e derivano spesso da piante originarie di aree del mondo sottosviluppate.
Dai semi di tamarindo (Tamarindus indica L.), pianta originaria del sud-est asiatico, si estrae, ad esempio, xiloglucano, un polisaccaride che, applicato sulla pelle sotto forma di gel da 20 donne volontarie, ha portato, dopo 4 settimane di trattamento, ad un significativo miglioramento dell’idratazione (tangibile già dopo soli 30 minuti dall’applicazione), dell’elasticità e della densità della pelle e ad una riduzione delle rughe.
Le foglie e le radici di Terminalia sericea Burch. ex DC. (il termine latino “sericea” significa “setosa, liscia come la seta”), pianta endemica della Tanzania e del Congo, sono utilizzate nella medicina tradizionale contro i disturbi della stomaco e come preparato per guarire le ferite. Dalla corteccia e dalle radici di questa pianta si estrae sericoside, una molecola che usata allo 0,5% si è mostrata capace di ridensificare la pelle e di diminuire rughe ed occhiaie.
Dalla Centella asiatica L., pianta usata nella medicina ayurvedica indiana e in Madagascar per le sue proprietà cicatrizzanti, è stato ottenuto un estratto a base di asiaticoside, madecassoside e altre sostanze polifenoliche. Tale miscela aggiunta ad una concentrazione pari allo 0,5% in una emulsione olio/acqua, testata in vitro su espianti di pelle umana, ha mostrato la capacità di inibire la carbossimetillisina, un marker della glicazione, uno dei processi cellulari alla base dell’invecchiamento cutaneo. Questo meccanismo implica un aumento della densificazione del derma papillare per conseguente incremento della produzione di collagene. La stessa emulsione applicata sulla pelle di 20 volontari per 6 settimane ha portato alla ridensificazione del collagene, ad un miglioramento significativo dell’elasticità e della compattezza della pelle e ad una riduzione delle rughe.
Da ultimo, in 20 volontari la cui pelle è stata sottoposta a danni di tipo meccanico, fisico e chimico, l’applicazione di un’emulsione olio/acqua contenente acidi boswellici, estratti dalla Boswellia serrata Roxb., in concentrazione pari all’1%, ha mostrato proprietà lenitive e di ristrutturazione della cute.
Altra pianta ampiamente studiata per le sue proprietà salutistiche è l’ulivo (Olea europaea L.), i cui frutti rappresentano una fonte importante di molecole bioattive (flavonoidi, acidi fenolici, secoiridoidi e derivati dell’acido idrossicinnamico, etc.). Tra diversi campioni di frutti di olive e oli provenienti da varie regioni del centro e sud Italia esiste una elevata variabilità nel contenuto medio di fenoli totali: da 657,2 ± 215,5 mg/kg negli oli marchigiani a 1.215,3 ± 243,8 mg/kg negli oli pugliesi. Anche le olive da tavola sono ricche in composti fenolici (idrossitirosolo 3.475,2 ± 850,0 mg/kg, tIrosolo 529,0 ± 4,4 mg/kg e verbascoside 2.484,0 ± 91,1 mg/kg). La quantità di tali sostanze, maggiore nelle olive fermentate al naturale rispetto alle olive deamarizzate con metodi chimici, varia anche in funzione della cultivar di olivo usata. Importante, inoltre, la caratterizzazione fenolica delle foglie e delle acque di vegetazione. Quest’ultime sono sottoprodotti derivanti dalla lavorazione dell’olio di oliva, che normalmente vengono smaltite con costi molto elevati per le aziende. Tendenza di questi ultimi anni è rivalutare i sottoprodotti della filiera agroalimentare isolando, con particolari procedimenti tecnologici, specifici principi attivi con potenziali impieghi nei settori farmaceutico, alimentare, zootecnico e cosmetico. Fenoli estratti dalle acque di vegetazione sono stati, ad esempio, utilizzati in via sperimentale nella preparazione di prodotti lattierocaseari, come la caciotta, per studiare come varia il profilo qualitativo del formaggio e gli effetti sulla shelf-life. L’aggiunta dei fenoli al latte, oltre ad arricchire la caciotta in tali composti, riduce la perdita di a-tocoferolo: dopo 15 giorni, infatti, mentre nel formaggio controllo si assiste ad un decremento di vitamina E pari al 76,6%, nella caciotta ottenuta da latte arricchito con 0.5 g/L o 1 g/L di fenoli, la perdita di a-tocoferolo è, rispettivamente, pari al 24,9% e al 31,7%. Altro esempio è l’aggiunta di un estratto fenolico a 3 diverse concentrazioni (200, 400 e 1.200 mg/kg) ad un olio di oliva rettificato usato per la frittura. Rispetto all’olio addizionato con butilidrossitoluene (BHT) quale conservante (E 321), l’arricchimento dell’olio con estratti fenolici porta, durante la simulazione del processo di frittura, ad una maggior resistenza dei derivati dell’oleuropeina all’ossidazione. La quantità di acroleina e β,β- dimetilacroleina, sostanze con un impatto negativo sia sulla salute umana che sulle caratteristiche sensoriali degli alimenti fritti, diminuisce quando si usa per friggere olio arricchito con fenoli. Si assiste inoltre ad una perdita più contenuta di a-tocoferolo. Nelle patate fritte in olio addizionato con fenoli, oltre a rilevare un profilo fenolico migliore rispetto a quelle fritte nel semplice olio rettificato, si è osservata anche una minor produzione di acrilammide, sostanza nota per la sua tossicità per l’uomo. Altre sperimentazioni riguardano l’uso di estratti fenolici dell’ulivo nella preparazione del sugo di pomodoro e di insaccati. L’aggiunta di un olio arricchito con fenoli alla salsa di pomodoro ha un effetto protettivo sulla conservazione del licopene, oltre a migliorare la stabilità della vitamina E. Tali estratti hanno inoltre mostrato effetti antimicrobici ed antiossidanti, con risvolti positivi sulla conservazione dei salumi.
Tra le sostanze aventi potenziali effetti benefici sull’invecchiamento, c’è il glutatione (L-g-glutamil-Lcisteinil- glicina), molecola nota per le sue proprietà antiossidanti, in grado di svolgere importanti azioni benefiche per l’organismo:
– partecipa direttamente alla neutralizzazione dei composti reattivi dell’ossigeno, e mantiene gli antiossidanti endogeni, come la vitamina C ed E, nella loro forma ridotta, cioè attiva.
– Funge da donatore di elettroni nella reazione catalizzata dall’enzima GPx (glutatione perossidasi), fondamentale nell’eliminazione delle tossine ed in particolar modo del perossido di idrogeno, estremamente tossico per le cellule.
– Attraverso un processo di coniugazione diretta, detossifica molte sostanze xenobiotiche (metalli pesanti, nitrati, nitriti).
– E’ un componente essenziale nell’immuno-modulazione e nella regolazione delle risposte infiammatorie.
In un recente studio condotto su un modello animale di trombosi indotta da una reazione fotochimica, è stato osservato che il tessuto interessato da ictus ischemico è maggiore nei topi più anziani rispetto ai più giovani e che questo fenomeno è dovuto ad un aumento in circolo del composto tossico “acroleina” e ad una diminuzione della concentrazione plasmatica di glutatione, che è uno dei principali sistemi di detossificazione dell’acroleina. Uno studio in vitro ha invece dimostrato che il glutatione monoetilestere (GSH-MME) è in grado di stimolare la proliferazione delle cellule stromali del midollo osseo, la cui attività si riduce in modo significativo nelle cellule quando invecchiano, e di incrementare l’attività della telomerasi, enzima in grado di preservare i telomeri allungando così la vita cellulare. I risultati di questi studi dimostrano un ruolo importante del glutatione nel rallentare l’invecchiamento cellulare, ma pochi sono i riscontri in vivo a causa della scarsa biodisponibilità di questa molecola che, una volta assunta, è rapidamente idrolizzata nell’intestino e nel fegato dall’enzima gammaglutamiltransferasi. Per provare a migliorare la biodisponibilità del glutatione, sono state sviluppate delle compresse orodispersibili che si dissolvono in bocca rilasciando il principio attivo direttamente a contatto con la mucosa orale. In questo modo si aggira la degradazione intestinale. In uno studio in vitro in cui è stato usato un modello di tessuto epiteliale orale ricostruito, dopo 30 min il 70% della formulazione di cui sopra era stato assorbito. Un rapido assorbimento della molecola (dopo 30-60 min dall’assunzione) si è registrata anche in uno studio in vivo su 15 volontari sani con età compresa tra 20 e 40 anni, che hanno assunto una compressa orosolubile a base di glutatione, L-cistina, vitamina C e selenio.
Fonte: siste.it