Gli ultimi anni stanno raccontando una storia di trasformazione delle farmacie che, sempre più, da dispensari del farmaco, agenti del SSN, diventano imprese commerciali, veri e propri hub di servizi per la salute. La conseguenza di questo nuovo scenario si riflette anche su chi all’interno delle farmacie si interfaccia con il pubblico, una figura che si pone nel mezzo tra quella del professionista della salute e quella del manager, in grado di sviluppare un nuovo rapporto con il cittadino-paziente, alla base del successo dell’up-selling e del cross-selling. Un ruolo propositivo ed incentivante che richiede anche di conoscere, gestire e comunicare una quantità elevata di categorie e di referenze, come nel caso degli integratori alimentari. Si affaccia dunque la necessità per il farmacista di sviluppare nuove competenze per gestire concorrenza e redditività: è giunto il tempo per parlare in modo più strutturato di Category Management e del ruolo delle aziende nel rapporto con la farmacia che cambia.
La farmacia, seppure lentamente, è molto cambiata negli ultimi dieci anni e sta ulteriormente evolvendosi. Anzi stiamo assistendo a un’accelerazione del processo di trasformazione a tutti gli stadi della filiera che potrebbe diventare addirittura “rivoluzionario” con gli effetti del “DDL Liberalizzazioni”.
Come noto le farmacie sono passate dall’essere una “economia di rendita territoriale” senza concorrenza e con un solo cliente (il SSN) a “economie in competizione” su un mercato sempre più aperto.
La quota di fatturato ma soprattutto di margine derivante dal comparto etico stanno diminuendo (causa le restrizioni del contributo pubblico e dei fenomeni di riduzione della propensione alla cura) e le farmacie devono cercare di recuperare tali valori nell’area commerciale, area nella quale sono in concorrenza con tutti gli altri canali: parafarmacie, erboristerie e altri canali specializzati, drugstore, ipermercati e supermercati e (in prospettiva) anche l’e-commerce. Tutti (o quasi) canali che fanno leva in modo marcato sull’offerta di convenienza (leva prezzo) potendo contare spesso su grandi volumi di vendita e acquisti centralizzati.
In questo contesto la farmacia deve comunque cercare di mantenere una competitività sui prezzi (e fare un “ragionevole” uso tattico della promozione), ma soprattutto deve lavorare e investire sul proprio punto di forza distintivo: la qualificazione professionale dei servizi. Ciò significa aumentare la quantità e la qualità dei servizi alla clientela (sia in ambito sanitario, sia in altri ambiti come per esempio la dermocosmesi, ma non solo) investendo in strutture e persone. A fronte di tale offerta sarà possibile ottenere dai clienti il riconoscimento di un premio anche in termini di prezzo (e mantenere quindi il posizionamento “premium” nella competizione multicanale).
Il problema è che tutto ciò costa e richiede investimenti proprio nel momento in cui le farmacie sembrano avere più difficoltà a generare le risorse necessarie.
Se questa è la situazione, è naturale che lo sguardo degli osservatori, ma soprattutto dei titolari di farmacia, si sposti a monte nella filiera, verso i fornitori, per cercare di trarre da essi le risorse necessarie a supportare questa evoluzione del modello d’offerta: in termini di marginalità necessaria a investire in strutture e personale e/o in attività centralizzate di marketing e di produzione dei servizi.
Anche a monte tuttavia gli anni d’oro sembrano essere finiti da tempo. Anzi in termini generalizzati, quello dell’ingrosso (grossisti e cooperative) sembra essere l’anello più debole della catena. Lavorando principalmente sulla distribuzione di farmaco etico (a causa dell’acquisto in diretta dalle aziende per la componente commerciale dell’assortimento da parte di molte farmacie) dove i già ristretti margini di legge vengono ulteriormente ridotti da politiche promozionali e vere e proprie battaglie di prezzo, gli attori della distribuzione intermedia stanno entrando in difficoltà e cercano di reagire lavorando in diverse direzioni: crescita dimensionale attraverso operazione di fusione e acquisizione per ottenere economie di scala attraverso il raggiungimento di una massa critica in termini di copertura del mercato e capacità d’acquisto; integrazione verticale a valle attraverso operazioni di affiliazione contrattuale (networking) delle farmacie che comporta un aumento del servizi offerti (e quindi dei costi) oppure al contrario attraverso la razionalizzazione dei servizi distributivi (diminuzione della frequenza di consegna o richiesta di una fee logistica).
In questi casi uno dei pochi punti positivi è che se si conosce in anticipo un fenomeno e le sue conseguenze è possibile mettere in atto le misure necessarie per scongiurarlo o comunque gestirlo.
Nel caso della farmacia tutta la filiera deve impegnarsi in una difesa del valore per il cliente; valore che in primo luogo è legato al livello di benessere e alla salute. Un consumatore in farmacia cerca innanzitutto soluzioni ai problemi e informazioni qualificate avendo una elevata percezione di rischio funzionale nell’acquisto. Ciò significa che rispetto ad altri comparti sarà meno sensibile al prezzo, ma non potrà tuttavia sopportare da solo il costo di una filiera poco efficiente. Ecco perché sempre per tutelare il posizionamento premium industria, distribuzione e farmacie dovranno lavorare anche su soluzioni di efficienza di tutti quei processi che generano costi e non generano vantaggi diretti per i consumatori (a partire dalla logistica).
Anche se non è propriamente corretto fare delle generalizzazioni, esiste ancora un ”problema culturale” (che peraltro non è necessariamente correlato a caratteristiche generazionali) e riguarda le competenze manageriali necessarie a gestire la farmacia non più “solo” come agente del SSN (un meccanismo del sistema), ma come un’impresa, sia pure piccola, ma con tutti gli stessi problemi e attività da svolgere di una grande impresa strutturata: attività di marketing per gestire il proprio modello d’offerta (il format della farmacia) e la competizione, amministrative e burocratica (tra l’altro in continuo aumento), di gestione finanziaria e di controllo direzionale, di natura organizzativa e di gestione del personale, che rappresenta a tutt’oggi una delle aree più sensibili sia in termini di costi, sia in termini di contributo potenziale ai risultati.
In genere i farmacisti non hanno una formazione di base economica e manageriale e devono costruirsela in itinere, sul campo o attraverso corsi manageriali. Allo stesso tempo aumenta il ruolo del farmacista anche sul fronte “sanitario” (servizi) e come accennato si amplia l’assortimento il che significa che aumenta la quantità di competenze richieste (per di più competenze specialistiche anche al di fuori del tradizionale campo formativo) sia ai titolari, sia ai collaboratori.
Tutto ciò genera la necessità di trovare soluzioni di organizzazione e suddivisione del lavoro che possono essere ricercate all’interno di una singola farmacia laddove questa abbia la possibilità di raggiungere grandi dimensioni (di fatturato e di organico) o attraverso soluzioni di collaborazione “orizzontale” (networking con altre farmacie) o “verticale” (networking con grossisti o partnership con le aziende).
Il “caso” degli integratori è emblematico di questa situazione di crescente complessità gestionale. Non solo la quantità di referenze e di alternative di acquisto (aziende e marche) è “abnorme” ma la stessa definizione di categoria è difficile e sfuggente. La varietà di bisogni ai quali rispondono gli integratori e di utilizzi possibili li fanno spaziare in un “universo” che va “dal farmaco all’acqua fresca”.
Il rischio di confusione e disorientamento è grandissimo, soprattutto tra i consumatori. Confusione aumentata dalla multicanalità sia a livello informativo (internet), sia commerciale (canali di vendita), con un potenziale rischio di banalizzazione di tutta l’offerta che comporta un circolo vizioso estremamente pericoloso per tutti. Se i consumatori non percepiscono le differenze tra i prodotti e non sono in grado di riconoscere il differenziale di valore non saranno disposti a riconoscere il prezzo dei beni (che remunera il lavoro e gli sforzi dell’industria e il lavoro e gli sforzi della farmacia). Ciò produce un abbassamento dei prezzi e dei margini che toglie risorse a innovazione (industria) e servizio informativo (farmacia).
Questo circolo vizioso va scongiurato e si torna ancora una volta alla difesa del ruolo e del valore del canale, in particolare per quanto riguarda gli integratori che per di più rappresentano una delle poche categorie (o universi) in crescita.
Per fare ciò la farmacia (attraverso strumenti non personali) e i farmacisti (direttamente) devono essere in grado di offrire nella categoria un assortimento completo (ancorché selezionato proprio per ridurre la complessità di gestione), ma soprattutto un servizio informativo e di indirizzo estremamente qualificato e competente su tutta la gamma di bisogni e differenziato rispetto ai diversi segmenti di domanda ai quali i diversi integratori danno risposta.
Uno sforzo compensato da una elevata potenzialità di gratificazione (economica e professionale) perché la maggior parte degli integratori sono per loro natura elementi che favoriscono il “cross selling” senza dover cercare di forzare il cliente a un acquisto non richiesto, ma più eticamente proponendo non più la vendita di un singolo bene (ruolo logistico) ma inserendo la proposta dell’integratore in una proposta di “trattamento” del bisogno.
Le aziende possono avere un ruolo fondamentale nel difesa e valorizzazione del canale e della categoria sotto diversi aspetti.
Innanzitutto, forti della propria competenza di prodotto e di marketing, possono supportare la distribuzione intermedia (network) e le farmacie nella realizzazione di modelli d’offerta (assortimenti, soluzioni espositive, materiale informativo) che facilitino la proposta di servizio da parte dei farmacisti e la capacità di lettura da parte dei clienti. Si tratta in altri termini di sviluppare progetti di category management realmente basati sulla comprensione dei bisogni dei clienti e la loro “traduzione” in linguaggi ad essi facilmente comprensibili che aumentino la cultura della categoria, riducano la confusione e i rischi di banalizzazione. In questo senso assume maggiore importanza la costruzione dell’offerta a scaffale e la comunicazione rispetto alle azioni tattiche (espositori e promozioni).
Inoltre, la conoscenza della categoria (sia nella sua dimensione scientifica, sia in quella di marketing e comunicazione, nonché commerciale) può essere favorita attraverso le attività di informazione e di formazione dei farmacisti.
In entrambi i casi non si tratta di novità assolute, ma forse è l’approccio al category management così come ai supporti informativi e formativi che può essere messo in discussione ed eventualmente ripensato (cosa che peraltro diverse aziende stanno iniziando a fare).
In secondo luogo le aziende nel caso degli integratori con la multicanalità si trovano oggi di fronte a un’opportunità ma allo stesso tempo a un grande problema da gestire proprio per i rischi di banalizzazione dei quali si è fatto cenno precedentemente. La sovrapposizione dell’offerta sui diversi format distributivi produce infatti un fenomeno di conflitto tra canali e una conseguente banalizzazione che non solo produce danni competitivi alle farmacie ma investe anche le marche e i prodotti (riducendone il valore, i fatturati e la marginalità per tutta la filiera).
È perciò necessario per l’industria trovare delle soluzioni di gestione della multicanalità e più precisamente modalità differenziate di gestione (dal portafoglio prodotti, alle marche, ai prodotti e ai servizi correlati, ai prezzi di cessione e così via), senza perdere di vista l’integrità dell’offerta e le economie di scala.