L’art. 26 del Reg. (UE) 1169/20111, che disciplina l’obbligo di informazione in etichetta circa il paese d’origine o luogo di provenienza degli alimenti e sostanze alimentari, è una disposizione che pone molti dubbi interpretativi. Per questo, per chiarire il significato dell’articolo, è intervenuto prima il regolamento di esecuzione (UE) 2018/7752 e poi una Comunicazione della Commissione3 pubblicata sulla GUCE del 31.1.2020.
Per comprendere il significato della disposizione è importante, in primo luogo, capire il contesto in cui è posta. Il Reg. (UE) 1169/2011 disciplina l’etichettatura degli alimenti e l’art. 9 riporta l’“Elenco delle indicazioni obbligatorie”. Tra le diciture obbligatorie alla lettera i) compare “paese d’origine o luogo di provenienza dell’alimento ove previsto dall’art. 26”, articolo che specifica se, quando e come deve essere riportata tale informazione obbligatoria. La ratio del Reg. (UE) 1169/2011 e delle informazioni richieste in etichettatura è, come riportato dal considerando 29, sia la tutela dei consumatori da informazioni ingannevoli, al fine di consentire scelte d’acquisto consapevoli, sia la tutela degli operatori, affinché possano operare in eque condizioni di concorrenza. Dunque anche l’art. 26 deve essere interpretato, per il contesto in cui è posto, in accordo con le finalità assegnate dal legislatore a questa disciplina.
Il secondo livello è dato dall’interpretazione letterale dell’art 26 e, a questo riguardo, è significativo l’inciso ove fa riferimento a “le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme”. Infatti, per sapere se è necessario riportare in etichetta l’indicazione di origine di un alimento si deve fare una valutazione complessiva dell’etichetta stessa considerando tutti i suoi elementi, obbligatori e volontari, testuali (diciture e termini) e figurativi (illustrazioni e simboli).
Un tipico caso in cui l’indicazione del paese d’origine è necessaria è quello dei prodotti per cui si fa ricorso alla tecnica del cosiddetto “Italian sounding”. Ci sono prodotti che appartengono alla tradizione italiana, come ad esempio la pasta, che spesso riportano in etichetta illustrazioni che richiamano l’Italia (paesaggi, monumenti, bandiere) e ciò indipendentemente dal fatto che siano effettivamente fabbricati in Italia e/o con ingredienti italiani. Secondo il dettato dell’art. 26, per l’importanza che assumono l’insieme degli elementi grafici e visivi che compaiono in etichetta, se ci sono riferimenti precisi e concordanti che suggeriscano l’origine italiana del prodotto, è necessario l’indicazione esplicita del paese di provenienza, dove si è svolto il ciclo produttivo. Lo stesso ragionamento lo si può fare con riferimento ad un integratore alimentare. Nel caso, ad esempio, di uno sciroppo, che riporti in etichetta, diciture tipo “la migliore tradizione erboristica italiana” e illustrazioni riconducibili a tale tradizione o colori che richiamano la bandiera italiana, ma lo sciroppo è prodotto all’estero, in base all’art. 26, scatta la necessità di specificare il paese dove il prodotto ha subito le principali operazioni di trasformazione.
I problemi maggiori però l’operatore li trova nell’applicazione dell’art. 26, par 3, che disciplina il caso in cui la provenienza del prodotto e quella del suo ingrediente primario sono diverse. Il regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 del 28 maggio 2018, in vigore dal 1 aprile, fornisce le istruzioni su come deve essere riportata l’indicazione geografica dell’ingrediente primario nei casi in cui scatta l’obbligo di indicarla, ma dice poco o nulla per aiutare a capire quando scatta l’obbligo di riportare l’origine dell’ingrediente primario. A questo riguardo maggiori chiarimenti si trovano nella Comunicazione della Commissione pubblicata il 31.1.2020.
Sapere come riportare la dicitura sull’origine dell’ingrediente primario è relativamente semplice. Nel regolamento (UE) 2018/775 il considerando (11), in via generale, prevede che le indicazioni sulla zona geografica debbano essere facilmente comprensibili per il consumatore escludendo, in particolare, l’uso di nomi di fantasia; l’art. 2 prescrive, poi, le Indicazioni del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario che possono essere utilizzate.
Le diciture possibili sono:
1) “UE”, “non UE”, “UE e non UE”, oppure
2) “uno o più Stati membri e o paesi terzi” (ad esempio “Francia” o “Francia e Irlanda” o “Canada” o “Canada e USA”);
3) “la regione o zona geografica all’interno di uno stato membro o di un paese terzo, se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato” (ad esempio “Tirolo”, “Fiandra”, “Queensland”);
4) “la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato” (ad esempio “Mar Artico”, “Oceano Indiano”);
5) “il paese d’origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell’Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali”.
In alternativa può essere indicato più semplicemente “(nome dell’ingrediente primario) non proviene/non provengono da (paese di origine o luogo di provenienza dell’alimento)” o altra formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore.
L’operatore può scegliere tra le diverse soluzioni esemplificate ma non può combinarle tra loro. E’ però possibile quando si decida di utilizzare la dicitura “UE e NON UE”, aggiungere, come indicazioni volontaria, il nome specifico di uno o di entrambi gli stati UE e non UE (ad esempio “UE (Francia) e non UE (Brasile)”.
Quanto alle modalità con cui indicare l’informazione sull’origine dell’ingrediente primario il regolamento (UE) 2018/775, nei considerando, ricorda che ogni dicitura deve essere “facilmente visibile, chiaramente leggibile ed eventualmente indelebile” e prescrive poi che la dicitura in questione sia riportata nello stesso campo visivo rispetto a quelle sull’origine dell’alimento; nel caso di testi scritti sono da utilizzare per le indicazioni dell’ingrediente primario caratteri non inferiori al 75% rispetto a quelle relative all’alimento e comunque, con un’altezza non inferiore a 1,2 mm o, nei casi di confezioni con superfici inferiori agli 80 cmq, non inferiori ai 9 mm. La relazione della Commissione ricorda che ogni volta che viene citato il paese di origine del prodotto devono essere citati anche i paesi di origine degli ingredienti primari.
Cosa si intende per ingrediente primario? A questo fine utili indicazioni si possono ricavare dalle definizioni fornite dal Reg. (UE) 1169/2011, dai considerando del regolamento (UE) 2018/775 e dai chiarimenti forniti dalla Commissione con la Relazione pubblicata il 31.1.2020.
L’ingrediente primario secondo l’art. 2 del Reg. (UE) 1169/2011 è “l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa”. Dal tenore letterale della definizione risulta che ci possono essere alimenti con più ingredienti primari e per i quali, di conseguenza, sono richieste più indicazioni d’origine. Nella Relazione della Commissione si chiarisce che possono esserci anche prodotti senza un ingrediente primario.
L’art. 2 del Reg. (UE) 1169/2011 fornisce, poi, due criteri per identificare l’ingrediente primario: quantità dell’ingrediente (50% del composto) e funzione caratterizzante. Il criterio della quantità è oggettivo e non richiede altre spiegazioni. Per quanto riguarda l’ingrediente primario, perché caratterizzante il prodotto, si può far riferimento all’art. 22 del Reg. (UE) 1169/2011 e ritenere tale quello che: “a) figura nella denominazione dell’alimento o è generalmente associato a tale denominazione dal consumatore; b) è evidenziato nell’etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica; o c) è essenziale per caratterizzare un alimento e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso a causa della sua denominazione o del suo aspetto”.
L’obbligo di riportare l’origine dell’ingrediente primario nasce, secondo il considerando 4 del Reg. (UE) 2018/775 ogniqualvolta sull’etichetta sia riportata l’indicazione di origine del prodotto finito, indipendentemente dal fatto che quest’ultima sia fornita come informazione obbligatoria a norma dell’art. 26 par. 2 (perché in mancanza il consumatore può essere indotto in errore) oppure come informazione volontaria. Ciò significa che nel caso in cui l’operatore riporti volontariamente diciture come “made in … ”, “prodotto in…”, “prodotto di …” o anche solo illustrazioni, simboli, bandiere, colori che suggeriscano un’origine del prodotto finito, deve sempre riportarsi anche l’indicazione geografica di provenienza dell’/degli ingrediente/i primari. Ciò vale sempre, anche nei casi di alimenti composti da un unico ingrediente e anche quando l’ingrediente primario sia una sostanza che necessariamente e per conoscenza comune è di provenienza extra europea e dunque non possa sussistere dubbio nel consumatore in relazione all’indicazione dell’origine del prodotto.
Il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’OSA riportati sull’etichetta come informazione obbligatoria non valgono normalmente come indicazione del paese d’origine e del luogo di provenienza dell’alimento – dunque non fanno scattare l’obbligo di indicazione di origine degli ingredienti primari – salvo quando, nel contesto delle altre informazioni riportate sull’etichetta, possano assumere una valenza particolare ed indurre in errore il consumatore. Lo stesso vale anche per le diciture “prodotto da …”, “confezionato da …” che, salvo casi particolari, non assumono il significato di indicazione di origine dell’alimento.
Si ritiene che non valgano come indicazione di origine, poi, tutte quelle diciture che vengono utilizzate nelle etichette multilingue per distinguere le informazioni fornite nelle lingue dei diversi mercati ove il prodotto viene distribuito così come si nega che costituiscano indicazioni di origine diciture come “genere”, “tipo”, “stile”, “ricetta” “ispirato a…” . (es. sciroppo di … , ricetta bretone).
Ci sono, poi, casi particolari di prodotti con denominazioni che comprendono indicazioni geografiche ma che, per il momento, sono esclusi dall’appli-cazione dell’art. 26, par. 3.
I casi particolari, che avranno in futuro una disciplina specifica sono: i prodotti DOP e IGP e quelli contrassegnati con marchi d’impresa registrati. Per questi ultimi si ritiene che i segni distintivi, che possono essere costituiti da “parole, compresi i nomi di persone, (i) disegni, (le) lettere, (le) cifre, (i) colori, o forma del prodotto o del suo confezionamento, oppure (i) suoni” abbiano principalmente “la finalità di individuare il collegamento tra una particolare fonte o origine commerciale”. La deroga non vale però per i marchi commerciali contenenti indicazioni geografiche non registrati perché, per tali prodotti, vale la regola generale e l’indicazione di origine dell’ingrediente primario deve essere riportata. Se, per esempio, un’azienda è titolare di un marchio registrato “Terre di Italia” e riporta questo marchio su di un alimento con ingredienti primari provenienti dall’estero, non sussiste, per il momento, l’obbligo ad indicarne la provenienza. Viceversa, se si usa come nome di un prodotto “Erbe del Tirolo” e non si registra tale nome come marchio, sarà obbligatorio riportare l’indicazione geografica degli ingredienti primari del prodotto.
E’ esclusa l’applicazione dell’art. 26, par 3, poi, in tre casi:
1) prodotti con denominazioni usuali generiche dove con tale termine si intende, ad esempio, la denominazione “salsiccia di Francoforte” dove Francoforte non deve considerarsi il luogo da cui proviene lo specifico prodotto ma come luogo di origine di una particolare lavorazione del prodotto;
2) prodotti con denominazioni legali cioè prodotti, che, in genere, devono rispondere a regole precise sia per la loro formulazione sia per gli ingredienti da utilizzarsi;
3) prodotti cui si applichino i marchi di identificazione previsti dalla disciplina relativa alle carni e sostanze di origine animale.
In conclusione è utile ricordare anche la disciplina sanzionatoria: la violazione dell’art. 26 è prevista nell’art. 13 del DLgs 231/2017, “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del reg. 1169/2011”, che recita “Salvo che il fatto costituisca reato, la violazione delle disposizioni relative a contenuti e modalità dell’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di cui all’art. 26 del regolamento comporta l’applicazione al soggetto responsabile della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da € 2.000 ad € 16.000. Quando la violazione di cui al comma 1 riguarda solo errori ed omissioni formali essa comporta l’applicazione al soggetto responsabile della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da € 500 ad € 4000”
L’indicazione dell’origine o provenienza degli alimenti e dei loro ingredienti non costituiscono soltanto informazioni obbligatorie ai sensi del Reg. (UE) 1169/2011 ma possono essere considerate sotto l’aspetto della loro funzione promozionale e quindi essere valutate anche ai sensi delle norme del Codice del Consumo. La violazione dell’art. 26 può quindi essere posta alla base anche di contestazioni di pratiche commerciali scorrette ed essere causa di procedimenti innanzi all’AGCM. Si ricordano in particolare alcune recenti decisioni4 assunte dall’AGCM che hanno avuto ad oggetto alimenti (pasta) dei quali si esaltava l’italianità (diciture come “Prodotto in Italia”, “Specialità italiana”, “Italiamo”, “Passione italiana”, immagini di paesaggi italiani, bandiere, immagine di coccarde e cuori tricolori) ma nei quali erano presenti come ingredienti primari sostanze di origine non italiana. In questi casi l’AGCM ha ritenuto che “ciò ingenera nei consumatori l’equivoco che l’intera filiera produttiva della pasta, a partire dalla materia prima sia italiana mentre invece tale qualificazione concerne solo la localizzazione dei processi di trasformazione e delle competenze produttive impiegate” ed ha comminato sanzioni pecuniarie rilevanti. In due precedenti decisioni5,6, risalenti al 2017, invece, sempre relative ad alimenti i cui ingredienti primari erano di provenienza estera l’AGCM ha ritenuto corretta sia l’etichetta di un alimento che riportava la bandiera italiana ma che specificava accanto agli ingredienti di provenienza estera la dicitura “NON UE” sia un’etichetta che riportava “Prodotto e confezionato in Italia” senza alcuna indicazione sulla provenienza degli ingredienti primari.
1 Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del consiglio del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU L 304/18 del 22.11.2011).
2 Regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione del 28 maggio 2018 recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento (GU L 131/8 del 29.05.2018).
3 Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 (2020/C 32/01)
4 Provvedimento AGCM n. 28056. Bollettino n. 3 del 20 gennaio 2020, pp. 185-191.
Provvedimento AGCM n. 28057. Bollettino n. 3 del 20 gennaio 2020, pp. 192-201.
Provvedimento AGCM n. 28058. Bollettino n. 3 del 20 gennaio 2020, pp. 202-212.
Provvedimento AGCM n. 28059. Bollettino n. 3 del 20 gennaio 2020, pp. 213-233.
Provvedimento AGCM n. 28061. Bollettino n. 3 del 20 gennaio 2020, pp. 234-240.
5 Provvedimento AGCM n. 26767. Bollettino n. 38 del 9 ottobre 2017, pp. 53-59.
6 Provvedimento AGCM n. 26765. Bollettino n. 38 del 9 ottobre 2017, pp. 42-47.