Il carcinoma epatocellulare (HCC) è ad oggi uno dei più tumori a più elevata mortalità nel mondo. Nonostante consolidate e innovative pratiche chirurgiche consentano, in fase precoce, di eradicare la patologie o incrementare la sopravvivenza a 5 anni, circa l’80% dei pazienti arriva alla diagnosi in fase tardiva, meritevole solamente di protocolli aggressivi di chemioterapia o, spesso, delle sole terapie palliative. Proprio la chemioterapia è il trattamento più comune in casi di HCC, tumore tuttavia tra i più difficili da trattare a livello farmacologico a causa dell’elevata insorgenza sia di pesanti effetti collaterali sia di multi drug resistance (MDR).
Proprio queste complicazioni hanno spinto l’interesse negli ultimi anni verso la ricerca di soluzioni naturali efficaci, più sicure e -magari- anche a costo minore. E un recente lavoro (Abdelmoneem MA, et al., 2018), ben eseguito sotto molti aspetti, dimostra quanto sia possibile immaginare ed ottenere combinando approcci naturali con alcune avanzate tecnologie di delivery e produttive in campo farmacologico.
In questo studio è stata creato tramite spry-drying un nanocarrier anfipatico utilizzando caseina complessata con piccole quantità di genipina, acido folico, acido lattobionico e funzionalizzata con berberina e diosmina.
La diosmina, flavonoide dall’attività antiossidante e antinfiammatoria, ha mostrato in vivo e sull’animale interessanti proprietà preventive della carcinogenesi epatica, inibenti la progressione tumorale e buona capacità di abbassare vari marker infiammatori (COX-2, iNOS, espressione di NF-kB). La berberina è invece un alcaloide ottenibile da molte specie vegetali appartenenti al genere Berberis (ma non solo), già noto per le sue notevoli e molteplici proprietà in ambito metabolico (dislipidemie, T2D) e per le sue capacità epatoprotettive. In particolare, è in grado di indurre arresto in fase G1/S del ciclo cellulare in cellule di epatocarcinoma, oltre che esprimere attività pro-apoptotiche. E la combinazione delle due sostanze vegetali si potrebbe inserire in un quadro di strategia farmacologica multi-target, indispensabile nel trattamento di patologie complesse come il cancro.
Tale strumento permette di bypassare una serie di criticità specifiche delle molecole di cui sopra quali scarsa stabilità, scarso assorbimento (berberina) o metabolismo (diosmina), tempi e modalità di rilascio molto differenti come anche consente di massimizzare la capacità di aggredire i corretti bersagli cellulari: nel caso specifico, tale funzione è promossa dalla presenza superficiale di residui di acido folico e lattobionico i quali, oltre a promuovere un accumulo preferenziale del farmaco in sede intra-epatica, si legano a specifici recettori maggiormente espressi nelle cellule cancerose del fegato rispetto alle cellule epatiche sane.
Infine, per quanto uno studio in vivo non permetta una stima affidabile di effetti avversi e/o collaterali, dai dati mostrati si evince quantomeno che la terapia somministrata non ha avuto effetti immunogenici tali da inficiarne l’attività o la somministrazione. Il che, parlando carrier proteici funzionalizzati somministrati per via endovenosa, è già un ottimo punto di partenza.
Il matrimonio tra sostanze naturali e nuove tecnologie di delivery può davvero portare prospettive concrete di impiego, a bassa tossicità ed elevata efficacia, nel trattamento anche di patologie complesse come il cancro. Non resta che attendere maggiori dati sull’animale e i necessari lavori clinici, ma le premesse (e promesse) ci sono tutte.
Abdelmoneem MA, et al., Dual-targeted casein micelles as green nanomedicine for synergistic phytotherapy of hepatocellular carcinoma, 2018, J Control Release.