La figura dell’informatore scientifico del farmaco (Isf) è molto cambiata dagli anni ’80 del secolo scorso, quando per esercitare la professione non era richiesto nessun titolo di studio specifico. La riforma del 1992 ha introdotto la richiesta di una laurea in alcune discipline scientifiche (medicina,farmacia,CTF,chimica)eda ultimo il decreto legislativo 219/2006 ha completamente ridisegnato questa figura professionale, che rappresenta uno snodo fondamentale per il successo delle campagne commerciali delle aziende farmaceutiche. L’attività d’informazione scientifica del farmaco si configura peraltro come una forma di pubblicità regolamentata, ai sensi della normativa nazionale ed europea e del contratto di lavoro degli Isf (che ricade nel CCNL Commerciale/Marketing/Vendite). Oggi, nell’era dello smart working che delocalizza anche forme d’impiego un tempotipicamentesvolteall’interno dell’azienda, l’informatore scientifico rappresenta uno smart worker ante litteram.
Spiega l’avvocato Massimo Lupi, dello Studio legale Lupi e Associati: «l’Isf è una figura che di per sé non vende nulla e non timbra, va a visitare i medici. Dagli anni ’80, quando non c’erano regole del gioco, l’ambiente è enormemente migliorato, e tanto più è efficace l’attività d’illustrazione svolta dall’Isf presso il medico, tanto più si vede il riflesso nella vendita». Come in tutti i settori lavorativi, anche gli informatori scientifici non sfuggono al monitoraggio delle proprie prestazioni messo in atto dall’azienda per cui lavorano. La forma contrattuale adottata al momento dell’instaurarsi del rapporto di lavoro – non importa se autonomo o subordinato – non influenza la performance dell’Isf, secondo l’altro partner dello Studio Lupi, Massimo Compagnino. Essa dipende piuttosto «da fattori extracontrattuali, quali la formazione e la motivazione della risorsa. Sono tematiche che devono essere gestite dall’area manager all’interno dell’azienda», sottolinea Compagnino.
Se il rendimento dell’Isf è basso
Secondo l’esperienza professionale riportata dai due esperti di diritto del lavoro, il rendimento dell’80-90% delle migliaia d’informatori scientifici italiani si colloca in linea con quanto stabilito dall’azienda per cui lavorano. Ai due estremi si trova, rispettivamente, una fascia di Isf sovra-performanti (che raggiungono risultati ben oltre i livelli prestabiliti e generano alti fatturati) e una di Isf basso-performanti, che al contrario se ne discostano per difetto. Il problema per le aziende del farmaco sta proprio nel comprendere i motivi di questo basso rendimento lavorativo e nel mettere in atto le necessarie misure per riportare l’informatore in linea con gli standard richiesti. «Il basso rendimento è un concetto di cui è difficile individuare i parametri esatti – sottolinea l’avvocato Lupi –, che va valutato sulla base dei valori medi di ogni settore. In certe aree di attività è molto difficile da determinare, mentre è più facile determinare la diligenza del lavoratore nello svolgimento dei compiti affidatigli». Secondo l’esperto, il mercato del lavoro sta conoscendo oscillazioni effettivamente molto marcate, che si trovano a fronteggiare da un lato forme di controllo particolarmente intrusive nei confronti della vita dei lavoratori, quali quelle derivanti dalla riforma dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori che ha autorizzato il ricorso agli strumenti elettronici di controllo da parte delle aziende.
Dall’altro lato, a compensazione di questo inasprimento dei controlli, le nuove forme di lavoro come smart working e telelavoro, fanno sì che l’attività del lavoratore dipendente possa essere da esso gestita in modo del tutto autonomo, nella salvaguardia dei risultati da raggiungere. «C’è un’esplosione della professionalità, di libertà nell’autodeterminazione del lavoro. Ambedue le forme sono soggette allo stesso quadro normativo e agli stessi tipi di controlli», aggiunge Lupi. Il punto, nell’attività degli informatori scientifici, è come valutare l’attività di chi opera sul campo, al fuori dei locali aziendali pur avendo un rapporto di lavoro subordinato. «Si tratta di definire gli strumenti che si possono utilizzare quando qualcosa va male. Gli Isf basso-performanti sono persone che o non vogliono lavorare o non sanno lavorare perché non gli è stato insegnato; oppure ancora si trovano a operare in condizioni oggettivamente sfavorevoli», spiega Massimo Lupi.
L’analisi dei dati di vendita è il punto di partenza
L’individuazione degli informatori basso performanti parte sempre dall’analisi dei dati di vendita della zona, sulla base dei quali l’azienda deve cercare di capire se siano imputabili unicamente a fattori che prescindono dalla persona attiva in quell’area. «Potrebbe essere che quella zona non risponda al prodotto, oppure potrebbero esserci dei fattori che riguardano la persona L’azienda deve interrogarsi se la performance non è adeguata alle aspettative sulla base del fatto che l’infornatore “non vuole” o “non può”, non riesce: c’è una grossissima differenza», evidenzia Massimo Compagnino.
L’analisi approfondita dei dati di vendita si basa sugli indici di penetrazione e di evoluzione elaborati da IMS, che permettono a risalire alle diverse microaree di vendita che si sovrappongono ai territori in cui sono attivi i singoli informatori. «Ogni microbrick di ogni microarea mi dice come è posizionato il prodotto X dell’azienda A rispetto a tutti i prodotti della concorrenza, la sua penetrazione e come si muove rispetto agli altri. L’indice di equilibrio è 100: vuol dire che se in una certa zona il rapporto tra le vendite dell’azienda A e quelle dell’azienda B è 100, l’informatore di B fa il lavoro esattamente in media. Ma se il valore è 60, allora B perde quote di mercato rispetto al dato nazionale, si accende un campanello di allarme», spiega Massimo Lupi. I motivi per lo squilibrio osservato possono essere molteplici, a partire dai migliori rapporti dell’azienda A con i medici della zona, o da una più efficace campagna sul prodotto. «Ma potrebbe anche darsi che l’Isf dell’azienda B non sia capace di fare bene il lavoro, o sia capace ma non lo faccia con particolare decisione», aggiunge l’avvocato Lupi.
Come individuare i low performer
Il primo passo per sanare la situazione e cercare di recuperare l’Isf spetta sempre all’area manager incaricato della zona, che dovrebbe essere in grado di capire se i dati delle vendite incrociati con quelli rendicontati dagli Isf sono coerenti oppure no. Risultato, scostamento e condotta sono i parametri certi rispetto a cui valutare la performance dell’Isf (I parametri per identificare il basso rendimento) «L’analisi dei dati va posta anche in relazione con i presunti movimenti e il tragitto presunto compiuto dal’Isf – aggiunge l’avvocato Compagnino –, con i giustificativi che ha prodotto all’azienda. Se la persona non sa di essere controllata, o sa di operare in un’azienda dove i controlli sono scarsi, potrebbe mandare dei giustificativi incoerenti con il tragitto che è stato fatto». Gli esperti dello Studio Lupi citano come esempio il caso di un informatore che ha presentato scontrini per il pranzo effettuato a Sibari, mentre nello stesso giorno le visite ai medici risultavano condotte esclusivamente a Crotone. «Sono degli indizi che ti fanno capire che la persona non la dice giusta. Quando ci sono dei motivi oggettivi per sospettare, s’incarica una compagnia d’investigazioni di condurre un’osservazione dinamica del dipendente», spiega ancora Compagnino
L’investigatore privato è l’ultima ratio
«S’incrociano le rendicontazioni dell’Isf con il report dell’agenzia investigativa: se ci sono delle false rendicontazioni, questo è sufficiente per sostenere il licenziamento per giusta causa», spiega Massimo Compagnino. Il ricorso agli investigatori privati per monitorare le attività del dipendente deve però rappresentare l’ultimo gradino nelle azioni poste in essere dall’azienda, da attivare solo quando si hanno degli elementi oggettivi per sospettare che ci sia un’infedeltà (Possibili azioni di monitoraggio sulle attività degli Isf). «Bisogna innanzitutto capire con l’area manager di riferimento se la persona è stata correttamente seguita, se ha avuto le stesse opportunità di formazione, di crescita e di sviluppo professionale, di affiancamento, che hanno avuto gli altri informatori della sua zona non interessati dalla bassa performance», aggiunge l’avvocato dello Studio Lupi e Associati.
Alcuni campanelli di allarme tipici che potrebbero far sospettare un’infedeltà nei confronti dell’azienda, esemplificano gli esperti, vedono l’area manager in affiancamento che si rende conto che i medici visitati non hanno mai visto prima quel certo Isf, in quanto manca assolutamente la confidenza tipica di un rapporto regolare. Anche la gestione dei campioni potrebbe risultare non coerente con una reale attività lavorativa. «Per motivi di compliance, la rendicontazione dei campioni farmaceutici nei confronti dell’Aifa è molto capillare, l’azienda deve specificare quanti medici sono stati visitati e quanti campioni sono stati consegnanti. L’informatore deve dire da quali medici si è recato e quanti campioni ha consegnato a ciascuno», aggiunge Compagnino. La violazione della normativa sulla rendicontazione dei campioni è, peraltro, sanzionata in modo molto rigoroso, sottolinea Massimo Lupi. Per fortuna, il ricorso ai rimedi estremi rappresentati dall’entrata in azione degli investigatori privati riguarda solo una minima percentuale dei casi che le aziende portano all’attenzione dei legali, in genere non più di un paio l’anno per azienda. «Devono essere dei casi conclamati, in cui l’azienda ha già mandato dei messaggi all’informatore. Se non c’è uno storico di gestione manageriale di questa persona, noi stessi lo sconsigliamo, perché potrebbe essere un costo inutile e perché un’investigazione fatta in questo modo potrebbe risultare illegale», spiega Compagnino. Molte sentenze della Corte di Cassazione e il Codice della privacy hanno sancito il diritto delle aziende di controllare i dipendenti in ogni sede tramite agenzie investigative, ma quest’attività non può avere un carattere meramente esplorativo, in quanto intrusiva della vita personale, oltre che professionale, della persona.
POSSIBILI AZIONI DI MONITORAGGIO SULLE ATTIVITÀ DEGLI ISF
- Riunioni cicliche di programmazione delle attività di comunicazione da seguire con i medici;
- itinerario indicante per priorità il medico da visitare e il numero di visite giornaliere;
- rapporti giornalieri e settimanali (D.lgs. 219/2006), con indicazione della quantità di campioni consegnati, data e luogo del medico visitato e obiettivo della visita;
- affiancamenti organizzati;
- test di valutazione a cadenza periodica;
- formazione e aggiornamento periodico;
- verifica dei risultati e degli scostamenti rispetto alle attese.
Le misure da mettere in atto all’interno dell’azienda
Gli esperti dello Studio Lupi e Associati citano come esempio positivo di recupero dell’Isf low performer il modello sviluppato da due multinazionali, una italiana e una internazionale. «Una metodologia semplice ma raffinata, che si basa su alcuni pilastri che hanno pesi diversi, ma vengono utilizzati insieme», spiega Massimo Lupi. Ai segnali di allarme derivanti dal discostamento delle vendite rispetto alla media nazionale, di cui abbiamo già detto, si dovrebbero affiancare quelli inerenti la formazione culturale della risorsa in esame. L’avvocato Lupi spiega come le aziende italiane abbiano ormai raggiunto alti livelli nella formazione dei propri informatori – sui farmaci e i loro effetti secondari, sui pregi e difetti rispetto ai prodotti della concorrenza, sui possibili usi alternativi off label. «L’azienda che forma l’informatore si rende conto della ricettività della persona: mettendo insieme i risultati-obiettivi di vendita, l’attività di formazione e la conoscenza del prodotto e della propria zona, il capo area che coordina le risorse sul territorio si fa un quadro completo della situazione», spiega Lupi. In genere a livello delle aziende multinazionali il recupero dell’Isf low performer viene gestito attraverso la predisposizione di un Performance improvement plan (Pip), che deve evidenziare le manchevolezze della risorsa e le conseguenti azioni per rimuoverle. Il tutto ovviamente in modo condiviso con la stessa persona interessata dal problema. «Può essere un fatto d’insufficiente preparazione scientifica o di mancanza di stimoli in una persona culturalmente preparata, ma che non è in grado di comunicare con il suo interlocutore», esemplifica l’avvocato Lupi. È anche importante evitare di entrare in contrapposizione con l’Isf sotto monitoraggio, mantenendo sempre aperto il dialogo ed evitando critiche distruttive, richieste di valutazioni a ridosso degli incontri di verifica, minacce di sanzioni o ritorsioni, enfasi nei feed back negativi e critiche davanti ai medici o ai colleghi.
Qualunque sia la causa, l’entrata in gioco dell’avvocato è sempre l’ultimo passaggio del percorso di recupero della persona, che deve essere in ogni caso tarato sulle esigenze specifiche sia della zona che della persona stessa. Prima di arrivare al licenziamento, vi sono varie possibilità ai sensi dell’art. 2103 del codice civile. A partire dal cambio di mansioni, che per Massimo Compagnino potrebbe essere indicato nel caso di un informatore che risulti inadeguato al ruolo. «Potrebbe essere una persona che per ragioni familiari non riesce a fare una vita che comporta di stare fuori dal comune di residenza tutti i giorni: una possibilità potrebbe essere dargli una posizione di sede». Il demansionamento potrebbe essere un’altra soluzione, a proposito della quale l’avvocato racconta il caso di un area manager basso performante, che quando lavorava come Isf aveva invece sempre avuto ottimi risultati. «Lui stesso ha detto di non sentirsi nel ruolo e negli obiettivi della posizione manageriale, era bravo a vendere ma non a coordinare, quindi c’è stato il down grading ed è tornato a fare l’informatore». Il trasferimento di zona potrebbe essere, infine, un rimedio congruo quando l’azienda si dovesse rendere conto che è la zona che non recepisce il prodotto, per quanto possa essere bravo l’informatore. Se l’esito di vari interventi è comunque una performance che continua a restare bassa, per i legali ciò potrebbe significare che semplicemente il dipendente ha sbagliato lavoro o azienda, non ne condivide gli approcci valoriali. «In questo caso lo si licenzia per scaso rendimento, non è una cosa facilissima perché bisogna dimostrare che, nonostante i tentativi, la sua prestazione resta bassa. C’è un margine di opinabilità importante, ma ci sono state tante sentenze che hanno dimostrato la correttezza di questa impostazione», sottolinea l’avvocato Compagnino. Il suo collega Lupi aggiunge che il licenziamento in base a dati oggettivi potrebbe avere luogo, ad esempio, nel caso di un prodotto o un’area straordinariamente avara di risultati, per la quale i costi che l’azienda deve sopportare per il mantenimento in attività della risorsa umana superano il ritorno che si ha in termini di fatturato. «A quel punto, se posso cerco di spostare l’Isf in un’altra area disponibile, preferibilmente con il suo consenso. Se invece questo non è possibile, l’unica conclusione è la chiusura del rapporto per giustificato motivo oggettivo, per soppressione della zona», conclude l’avvocato Lupi. La chiusura della zona di assegnazione e licenziamento per soppressione del posto di lavoro deve essere giustificata anche sulla base della razionalizzazione dei costi, deve essere totale e definitiva e deve essere seguita dall’assenza di nuove assunzioni nei mesi successivi.