A gennaio 2015, la Corte di giustizia europea è stata interpellata dal tribunale tedesco su una questione riguardante una controversia sorta tra una azienda tedesca che distribuisce integratori alimentari e una associazione tedesca. Oggetto della contestazione che l’associazione ha avanzato nei confronti dell’azienda, le indicazioni presentate ad alcuni medici per promuovere gli effetti benefici di un integratore alimentare a base di vitamina D3 (di seguito riportati):
– “come già descritto in diversi studi, la vitamina D contribuisce essenzialmente alla prevenzione di varie malattie, quali ad esempio la dermatite atopica e/o il diabete mellito e/o la sclerosi multipla”.
– “Secondo questi studi, livelli troppo bassi di vitamina D in età pediatrica sono responsabili dello sviluppo negli anni a venire di queste malattie.”
-“Prevenzione più efficace o eliminazione delle carenze (nell’80% della popolazione generale è stata evidenziata in inverno una carenza di vitamina D3).”
L’uso di tali dichiarazioni, secondo l’associazione, viola l’art. 10, par. 1 del Reg. (CE) 1924/2006, in quanto le stesse non sono autorizzate ai sensi dell’art. 13 “Indicazioni sulla salute diverse da quelle che si riferiscono alla riduzione del rischio di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini”. Ai sensi dell’art. 5, par. 1, dello stesso provvedimento, si contesta inoltre l’impossibilità di dimostrare gli effetti promessi. Per tali motivi, l’associazione ha quindi citato in giudizio l’azienda tedesca affinché desista dal promuovere l’integratore alimentare presso gli operatori sanitari in questi termini. L’azienda, dal canto suo, si è difesa sostenendo che le disposizioni del Reg. (CE) 1924/2006 riguardano esclusivamente l’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute relative ai prodotti alimentari forniti come tali al consumatore, ma non si applicano a comunicazioni e informazioni non commerciali destinate agli operatori sanitari.
Dal momento che la corte suprema tedesca non ha ancora preso una decisione a riguardo, il giudice cui è stato assegnato il caso, ha sottoposto la questione alla Corte di giustizia europea, chiedendo a quest’ultima di esprimere il proprio giudizio sulla seguente domanda di pronuncia pregiudiziale: “Se l’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1924/2006 (1) debba essere interpretato nel senso che le disposizioni di detto regolamento valgano anche per le indicazioni nutrizionali e sulla salute figuranti in comunicazioni commerciali nella pubblicità dei prodotti alimentari forniti, in quanto tali, al consumatore finale qualora la comunicazione commerciale o la pubblicità si rivolga esclusivamente al settore specializzato” (Causa C-19/15, GU europea C 127/9 del 20.04.2015). Secondo l’associazione che ha citato l’azienda, l’art. 1(2) del Reg. (CE) 1924/2006 si riferisce agli alimenti destinati in quanto tali al consumatore finale.
Alla luce di quanto riportato nel considerando 4 e della definizione di indicazione sulla salute di cui all’art. 2(2), il regolamento distingue solo tra comunicazioni commerciali e non, ma non tra pubblicità rivolta al consumatore e pubblicità indirizzata al settore professionale. Scopo del regolamento claims è garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, obiettivo che non può essere raggiunto se vi è incertezza sul fatto che ogni specifica comunicazione sia diretta o meno agli operatori sanitari. Inoltre, se le indicazioni sulla salute non sono supportate da evidenze scientifiche, esse possono trarre in inganno i professionisti che potrebbero essere essi stessi i consumatori di tali alimenti, con il rischio che possano trasmettere ai loro pazienti informazioni fuorvianti. A sua difesa, l’azienda sostiene che obiettivo primario del Reg. (CE) 1924/2006 è quello invece di “garantire l’efficace funzionamento del mercato interno e, al tempo stesso, un elevato livello di tutela dei consumatori” (considerando 1 e articolo 1). In linea di principio, tale obiettivo può essere raggiunto se le dichiarazioni destinate ai non consumatori rimangono al di fuori del campo di applicazione del regolamento “claims”. Un’ulteriore indicazione che le indicazioni destinate ai professionisti non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione del suddetto provvedimento la si può ricavare dal modo in cui il regolamento “claims” è stato strutturato. Gli articoli 11 e 12 del Reg. (CE) 1924/2006 stabiliscono disposizioni specifiche per l’uso di indicazioni sulla salute avallate da parte di singoli medici o di altri operatori sanitari. In altre parole, se l’intenzione del legislatore comunitario fosse stata quella di far ricadere le indicazioni sulla salute fornite ai professionisti nel campo di applicazione del regolamento “claims”, avrebbe creato una procedura separata esigendo differenti informazioni. Se sotto tale provvedimento ricadessero tutti i claims, compresi quelli destinati ai medici, l’uso di talune indicazioni supportate dall’evidenza scientifica, potrebbe non essere autorizzato, in quanto non garantirebbe, come indicato nell’art. 5(2), la completa comprensione da parte del consumatore medio degli effetti benefici suggeriti dall’indicazione come formulata. Se fosse così interpretato, inoltre, il Reg. (CE) 1924/2006 violerebbe i diritti fondamentali della libertà di espressione prevista dall’art. 6(3) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) in combinato disposto con l’art. 10 della Convenzione europea per i diritti umani (EHCR).
La risposta da parte della Corte di giustizia europea, nella persona dell’avvocato generale, è pervenuta lo scorso 18 febbraio, a un anno circa di distanza dalla presentazione della questione pregiudiziale. L’avvocato si è espresso favorevolmente, avallando pertanto l’ipotesi che le disposizioni del Reg. (CE) 1924/2006 valgono anche per le indicazioni nutrizionali e sulla salute figuranti in comunicazioni commerciali che si rivolgano esclusivamente al settore specializzato. A differenza delle sentenze della Corte di giustizia europea, i pareri scritti degli avvocati generali sono atti di singoli individui, pertanto non vincolanti ai fini delle decisioni finali della Corte. Sono comunque molto influenti e, nella maggior parte dei casi, seguiti.