Microbiota intestinale: composizione e funzioni nel mantenimento della salute
Negli ultimi anni, grazie all’avvento di nuove tecnologie in grado di analizzare batteri e altri microbi con metodi indipendenti dalla coltura ma basati sulla caratterizzazione genetica, abbiamo assistito a una vera rivoluzione del microbiota, intesa come lo studio approfondito delle comunità microbiche presenti su tutte le superfici mucose, in primis il tratto gastrointestinale, ma anche i polmoni, il tratto genitourinario e la cute. Queste nuove informazioni ci hanno fatto scoprire specie sconosciute fino a pochi decenni fa, stimolando molte domande sulle possibili funzioni, sulle interazioni tra microbi e tra microbi e ospite (l’essere umano) e su come queste comunità siano correlate al nostro stato di salute e di malattia.
Generalmente, parlando di microbiota pensiamo subito ai batteri che abitano nel nostro intestino. I batteri tuttavia, sebbene siano la componente più rappresentata, non sono l’unica. Infatti del microbiota fanno parte anche virus (inclusi i batteriofagi), miceti, archea e parassiti. Per quanto riguarda i batteri, che arrivano a pesare circa 1 kg, sono rappresentati con oltre 35.000 specie.1 Tuttavia, salendo a livello più generale nella scala tassonomica (Tabella 1), i principali phyla rappresentati sono due: Firmicutes e Bacteroidetes che, da soli, rappresentano circa il 70% dei batteri. Il rapporto tra questi due phyla sembrerebbe particolarmente importante nel mantenimento dello stato di salute. Tuttavia, anche phyla meno rappresentati numericamente contengono generi e specie batteriche importanti per la nostra salute, ad esempio i Bifidobacteria, importanti soprattutto nell’infanzia, che appartengono al phylum degli Actinobacteria.2
abella 1. Sistema di classificazione dei viventi: la tassonomia
Phylum |
Proteobacteria |
Classe |
Gammaproteobacteria |
Ordine |
Enterobacteriales |
Famiglia |
Enteriobacteriaceae |
Genere |
Escherichia |
Specie |
Escherichia coli |
Ceppo |
Escherichia coli Nissle 1917 |
Per quanto riguarda i virus, sono stati isolati oltre 30.000 diversi genotipi virali e la maggior parte di questi non corrisponde a nessuno dei virus conosciuti fino ad ora. Alcuni sono virus in grado di infettare l’uomo, ma la maggior parte è rappresentata da virus in grado di infettare i batteri (batteriofagi), suggerendo che i virus avrebbero un ruolo di regolazione del batterioma, in particolare nel suo adattamento a possibili perturbazioni dell’equilibrio come modificazioni dietetiche e antibiotici.3
Per quanto riguarda i miceti, nell’intestino sono stati riscontrati oltre 50 generi, tra i quali Candida, Saccharomyces e Cladosporium sono particolarmente frequenti. Le popolazioni di miceti sono una piccola percentuale rispetto a quelle batteriche e risultano più variabili rispetto a queste ultime. Inoltre, possono essere molto influenzate dalla presenza di altri miceti nell’ambiente e da altri fattori come la dieta.4
Il microbiota intestinale, di fatto, contiene la parte variabile del nostro genoma, che rende possibile quindi l’adattamento alle perturbazioni esterne. Infatti un’importante caratteristica del microbioma (cioè dell’insieme dei geni del microbiota) è la grande diversità tra diversi individui, caratteristica che lo distingue nettamente dal nostro patrimonio genetico tradizionalmente inteso. Infatti il genoma umano possiede un’identità del 99,9% tra diversi individui, mentre il microbioma intestinale ha una diversità tra individui che arriva all’80-90%. Per questa caratteristica, il microbioma potrà essere molto più utile nell’ambito di una medicina personalizzata.5 Il microbioma, unico per ognuno di noi, è influenzato da tante variabili, alcune legate alla genetica dell’ospite, ma la maggior parte legate all’ambiente in cui siamo nati e cresciuti: la modalità del parto, il tipo di allattamento e le modalità di svezzamento, la dieta, la presenza di animali domestici, il microbioma di chi vive con noi sono solo alcuni dei fattori in grado di influenzare il nostro microbioma. È fondamentale quindi che tutte le specie microbiche siano in armonia relativa tra di loro per garantire uno stato di eubiosi e quindi di salute.
Quando si parla di microbiota intestinale e, quindi, di tutte le specie microbiche che colonizzano temporaneamente o permanentemente il nostro intestino, bisogna sempre tenere a mente che questi microbi non sono unità a se stanti, ma sono parte integrante di un’unità anatomo- funzionale più complessa che è la barriera intestinale, composta anche dalle cellule epiteliali della mucosa, dallo strato di muco sovrastante, dalle cellule del sistema immunitario innato e acquisito, dagli enzimi digestivi e a dai sistemi endocrino, vascolare, linfatico e neuroenterico (Figura 1). Un sistema molto complesso, che per il corretto funzionamento e quindi per il mantenimento dello stato di salute necessita della perfetta armonia di tutte le sue componenti. L’alterazione dello stato fisiologico del microbiota (disbiosi) porta a un’alterazione di tutta la barriera, configurando quello che viene chiamato leaky gut, cioè un intestino iperpermeabile, che lascia “filtrare” più di quanto dovrebbe, esponendo le cellule del sistema immunitario e, in generale, l’ospite a un maggior contatto con frammenti microbici o derivanti dal cibo che possono così essere la base di molti stati patologici.6
Figura 1. Rappresentazione schematica e semplificata della barriera intestinale (modificata da Hollister et al. Gastroenterology 2014;146:1449-58). La barriera intestinale è formata da diversi componenti che interagiscono tra loro per mantenere una condizione di equilibrio. In condizioni di normalità, tra il microbiota e le cellule epiteliali vi è uno strato di muco, prodotto dalle cellule goblet, che regola l’esposizione delle cellule intestinali (enterociti) al microbiota. Gli enterociti, in risposta alla stimolazione da parte del microbiota, producono molecole con effetto antimicrobico, le beta-defensine, e inviano segnali alle cellule che si trovano nello strato sottostante della barriera. Le cellule del sistema nervoso enterico sono responsabili delle modifiche nella motilità e nella percezione del dolore. In seguito all’interazione tra microbiota e cellule dendritiche, vi è la stimolazione dei linfociti T, che regolano la risposta immunitaria sia stimolandola (differenziazione dei linfociti T naïve in TH1 e TH2) sia spegnendola (differenziazione in Treg) in modo da mantenerla bilanciata. A loro volta, i linfociti T sono in grado di influenzare altre cellule del sistema immunitario, come ad esempio le plasmacellule, che sono responsabili della produzione di anticorpi (in particolare di tipo IgA), che a loro volta difendono la mucosa da microbi potenzialmente pericolosi e mediano l’interazione con il microbiota. I macrofagi infine, comunicando con gli enterociti, influenzano la risposta immunitaria attraverso la produzione di “molecole di segnale”, le citochine.
Quali sono le funzioni normali del microbiota e della barriera intestinale che possono venire a mancare quando si instaura una disbiosi? Innanzi tutto, come dice il termine stesso, la prima funzione è proprio quella di barriera tra l’ospite e il contenuto del lume intestinale. Questa barriera non è però da immaginarsi come una statica e rigida separazione, ma piuttosto come il
primo punto di incontro tra gli antigeni luminali e l’ospite, responsabile di un’interazione regolata e benefica per l’organismo. Di conseguenza, il microbiota e la barriera intestinale svolgono anche funzione di stimolazione e al contempo di induzione della tolleranza da parte del nostro sistema immunitario. Infatti, la stimolazione immunitaria è fondamentale per un corretto sviluppo delle nostre difese e ci protegge da possibili patogeni, tuttavia è anche importante che la nostra risposta immune si interrompa al momento opportuno al cessare dello stimolo e che, al contempo, il nostro sistema immunitario sia in grado di capire quando è corretto reagire contro un antigene e quando no. Pensiamo ad esempio al carico di antigeni che introduciamo con il cibo: una regolazione adeguata del sistema immunitario è fondamentale affinché li riconosciamo come innocui. Non solo, il microbiota ha anche funzione di sintesi e in particolare produce, oltre ad alcune vitamine, anche gli acidi grassi a catena corta (SCFA, Short Chain Fatty Acids), che sono la principale fonte di nutrimento per le cellule del colon e hanno inoltre un ruolo nella regolazione del sistema immunitario. Anche la sensazione di fame e sazietà, così come il metabolismo glucidico, sono regolati in parte dal microbiota e, secondo recenti studi, il microbiota sarebbe persino in grado di influenzare il nostro comportamento, grazie all’interazione dell’asse intestino-cervello.
Considerate le funzioni del microbiota e i possibili danni derivanti da una sua alterazione, è chiaro come la disbiosi possa essere alla base di molte e diverse malattie che non coinvolgono solo il tratto gastrointestinale. È quindi molto importante poter intervenire per mantenere l’eubiosi e correggere eventuali stati disbiotici che si vengano a creare. Le possibilità di modulazione del microbiota sono molte. Sicuramente la dieta è in grado di modificare in maniera profonda il microbiota, ma altre possibilità di modulazione sono costituite dall’uso di prebiotici, probiotici, simbiotici, antibiotici e, recentemente, dal trapianto di microbiota fecale.
L’integrazione alimentare con probiotici per modulare il microbiota
L’utilizzo di probiotici per modulare il microbiota si basa sulla teoria che la specie probiotica introdotta interagisce con i microrganismi residenti nel nostro intestino, cooperando per il mantenimento dell’eubiosi e quindi della funzione della barriera intestinale in condizioni più o meno fisiologiche, come ad esempio durante l’assunzione di antibiotici, o ripristinando l’eubiosi in seguito a una condizione di disbiosi. Questo obiettivo può essere ottenuto tramite diversi meccanismi d’azione caratteristici dei probiotici, di tipo immunologico e non immunologico. Tra i meccanismi non immunologici c’è la funzione di barriera fisica che alcuni ceppi possono svolgere, impedendo la colonizzazione da parte di patogeni, insieme alla capacità di produzione di fattori antimicrobici. Inoltre, alcuni ceppi possono anche rafforzare la normale funzione della nostra barriera stimolando la produzione di muco e quindi contribuendo al corretto mantenimento dello strato di muco o aumentando la coesione tra le cellule epiteliali rafforzando i legami intercellulari, tramite l’aumento dell’espressione di alcune specifiche proteine (tight junction proteins), effetti che si traducono in ultima analisi nel mantenimento di una corretta e fisiologica permeabilità intestinale.
Per quanto riguarda gli effetti immunologici, i probiotici sarebbero in grado di interagire a vario livello con le cellule del nostro sistema immunitario, da un lato stimolandolo, ma dall’altro inducendo un’attività antinfiammatoria indispensabile per il mantenimento della fisiologica
risposta immunitaria.7 Tuttavia, questi effetti non sono tutti contemporaneamente presenti negli stessi ceppi probiotici e mentre alcuni sembrerebbero condivisi da molte specie, altri sono rari e tipici di una singola specie o di un singolo ceppo.8
Per quanto riguarda l’efficacia clinica attesa dalla supplementazione con probiotici, sebbene molti studi abbiano valutato questo aspetto in diverse condizioni, le popolazioni di soggetti, il tipo (ceppi e specie) di probiotici utilizzati, il disegno degli studi e i risultati sono spesso eterogenei e questi fattori in molti casi impediscono di trarre raccomandazioni conclusive basate sull’evidenza scientifica sull’utilizzo dei probiotici.9 La World Gastroenterology Organization nel 2017 ha pubblicato delle linee guida che riassumono le evidenze disponibili sull’utilizzo dei probiotici per specifiche indicazioni patologiche.10 Per quanto riguarda l’utilizzo di probiotici in soggetti sani, una recente revisione della letteratura, che ha incluso studi pubblicati dal 1990 al 2017, ha concluso che la supplementazione con probiotici negli adulti sani può portare a un aumento nel microbiota intestinale della concentrazione di quello specifico probiotico somministrato ma solo in modo transitorio, senza indurre quindi cambiamenti persistenti nel microbiota intestinale. Inoltre, i probiotici sembrerebbero migliorare le risposte del sistema immunitario, la consistenza delle feci, i movimenti intestinali e la concentrazione di lattobacilli vaginali, mentre non ci sono abbastanza evidenze a supporto dell’effetto positivo dei probiotici sul profilo lipidico ematico.11
I probiotici del futuro: dall’integrazione mirata ai probiotici di nuova generazione
Anche se oggi il mondo scientifico ha ancora molto da dirci sui probiotici che sono disponibili sul mercato, inclusi i precisi meccanismi d’azione dei singoli ceppi, il corretto dosaggio e i possibili effetti sinergici di diversi ceppi combinati, la ricerca ha già ampliato gli orizzonti nell’ambito dei probiotici e il futuro si apre a nuovi scenari. Grazie alle tecniche di bioingegneria sarà possibile modificare ceppi probiotici attuali in modo da renderli veicoli di molecole utili a svolgere uno specifico obiettivo.
Inoltre, gli ultimi sviluppi della ricerca hanno reso disponibili tecniche che permettono la tipizzazione del microbiota intestinale tramite l’esame delle feci nei singoli soggetti. In futuro, si prevede che questo tipo di esame avrà costi sempre più contenuti, tali da renderlo maggiormente fruibile e disponibile nei prossimi anni, e permettendo quindi di caratterizzare l’esatta composizione del microbiota del singolo soggetto. Si passerà quindi da un’integrazione probiotica empirica, basata sul concetto che un singolo ceppo probiotico possa andare bene per tutti, a un’integrazione personalizzata, in cui ognuno riceverà il probiotico che davvero sarà indicato nella sua specifica condizione. Continueremo in parte a utilizzare i ceppi probiotici disponibili oggi sul mercato, ma con maggiore consapevolezza e, probabilmente, riusciremo a combinarli al meglio per sfruttare il massimo degli effetti dalla sinergia dei diversi ceppi in base al risultato che vogliamo ottenere e all’alterazione del microbiota del singolo individuo.
Dalla caratterizzazione del microbiota e dai dati provenienti dal trapianto di microbiota fecale stanno però emergendo anche nuove possibili specie probiotiche, sconosciute fino a poco tempo fa e che per il momento per le loro caratteristiche – tra tutte, l’anaerobiosi – sono ancora difficili da commercializzare. Tra tutti, sicuramente l’Akkermansia muciniphila, il Faecalibacterium prausnitzii e l’Eubacterium hallii sembrerebbero ad oggi le specie più promettenti. Akkermansia muciniphila è un batterio in grado di degradare la mucina che risiede nello strato di muco intestinale ed è risultata ridotta nei soggetti obesi, nel diabete e nelle malattie cardiometaboliche, correlando inversamente con il peso corporeo sia negli uomini sia nei roditori. La somministrazione di questo probiotico nei modelli di topi obesi sembrerebbe migliorare diversi parametri metabolici.12 Faecalibacterium prausnitzii invece è un batterio che produce SCFA e che ha mostrato un forte effetto antinfiammatorio sia in vitro sia in vivo ed è ridotto nei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali, in particolare nelle fasi di infiammazione attiva.13 Infine, Eubacterium hallii è un batterio che aumenta nei pazienti con sindrome metabolica sottoposti a trapianto di microbiota da donatore magro e avrebbe un ruolo nel migliorare la sensibilità all’insulina nei modelli murini di diabete e potrebbe essere una futura arma per migliorare il controllo glicemico di questi pazienti.14
La strategia di integrazione probiotica del futuro, quindi, comporterà una profonda conoscenza del microbiota e delle tecniche diagnostiche ad esso associate, da cui deriverà la competenza necessaria per un’integrazione mirata e personalizzata che probabilmente non sarà limitata ai probiotici ma utilizzerà, a seconda dei casi, in maniera combinata, diverse metodiche di modulazione, a cominciare dalla dieta fino ad arrivare al trapianto di microbiota. Sarà quindi opportuno lo sviluppo di vere e proprie “cliniche del microbiota” dove diversi specialisti – tra i quali il microbiologo, il gastroenterologo e il nutrizionista – collaborino per definire un’integrazione sempre più personalizzata e dai risultati migliori per la nostra salute.
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