Se improvvisamente venisse annunciata la scoperta di un nuovo continente sul pianeta Terra, che costringesse a dover ristampare tutti gli atlanti e a rimodellare tutti i mappamondi, la cosa susciterebbe senza dubbio alcuno grande scalpore e anche grande sorpresa: ma come, con tutti i viaggi e le fotografie da aerei e satelliti, solo adesso scopriamo un nuovo continente?
Ecco, analogo scalpore e sorpresa dovrebbe forse suscitare la nozione che gli atlanti di anatomia su cui tutti noi abbiamo studiato contengono una grave mancanza, e che fra gli organi rappresentati ne manca uno di grande importanza. Questa, in realtà, non è una scoperta improvvisa, ma come spesso accade nelle scienze, il risultato di lenta e costante acquisizione di osservazioni che però adesso possono esser sistematizzate nell’affermazione che nell’uomo esiste un organo, funzionale, chiamato microbiota, composto da un numero di cellule stimabile in 1011-1013, specializzate in funzioni particolari e coinvolte in processi fondamentali per l’omeostasi endocrina e la risposta immunitaria.
Un organo vero e proprio
Il microbiota è formato da oltre 500 specie (in gran parte batteri, ma non solo, anche funghi e parassiti) che accompagnano la nostra esistenza dalla nascita alla morte. L’essere umano è, di fatto, in simbiosi con questi microrganismi che si adattano e cooperano con l’ospite (anche se, forse, dovremmo dire che è il microbiota ad ospitare l’essere umano…) stabilendo relazioni di reciproca utilità.
Così come le dimensioni, la funzionalità e la fisiologia di organi “classici” variano dalla giovinezza alla vecchiaia, anche il microbiota cambia composizione e ruolo fisiopatologico nel corso della vita dell’ospite. Così come molte patologie sono ascrivibili a “disfunzioni di organo”, anche la disfunzione del microbiota (disbiosi) è causa di alterazioni fenotipiche importantissime. I microrganismi identificati in individui sani costituiscono il normale microbiota, che può quindi essere definito come un set di popolazioni di microrganismi che, in dati organi e apparati con rapporti quali-quantitativi variabili, supportano il bilancio metabolico, biochimico e immunitario dell’ospite, garantendone la preservazione dello stato di salute.
Se il microbiota è funzionalmente assimilabile a un organo, con la sua plasticità e le sue funzioni endocrine, non è quindi sorprendente che potrebbe essere modulato da farmaci, possibilmente progettati ad hoc per tale funzione. Inoltre, le funzioni metaboliche ed endocrine del microbiota dovrebbero essere impiegate per ripensare, e possibilmente, riformulare ipotesi sul meccanismo d’azione di farmaci o principi attivi in uso da lunga data. Questo pone interessanti sfide e opportunità per il chimico farmaceutico, alcune delle quali sono discusse qui di seguito.
Interazioni principi attivi-microbiota
La maggior parte del microbiota popola il tratto digerente, e in particolare il colon. Non v’è dubbio alcuno, quindi, che l’intestino rappresenti il bersaglio privilegiato per comprendere l’interazione farmaco-microbiota. Una prima considerazione, molto importante, riguarda l’ottimizzazione farmacocinetica dei farmaci. Per molti anni, uno dei punti cruciali della caratterizzazione del farmaco assunto per via orale ha riguardato la sua capacità di attraversare la barriera intestinale ed entrare nella circolazione sistemica. Questo naturalmente è in moltissimi casi necessario ma, ora possiamo dire, non indispensabile. La visione dell’apparato digerente quale una sorta di tubo attraverso cui i farmaci o vengono assorbiti, o vengono escreti, è superata dalla nozione dell’esistenza delle funzioni endocrine e immunitarie del microbiota, delle funzioni dell’intestino quale organo sensoriale, e dell’esistenza della regolazione centrale attraverso l’asse intestino-cervello.
Da questo punto di vista, in generale, non è affatto necessario che un farmaco assunto oralmente debba superare la barriera intestinale per produrre effetti “sistemici”. Potrebbe esercitare effetti attraverso:
1. regolazione del microbiota e delle sue molecole segnale;
2. attività sistemica o endocrina di metaboliti del farmaco;
3. attività sul sistema sensoriale o sull’asse intestino-cervello.
Qualora si identifichi una di queste tre possibilità, è evidente che potrebbe essere addirittura conveniente che il farmaco NON attraversi la barriera intestinale per non produrre effetti indesiderati attraverso, ad esempio, il metabolismo epatico.
Qual è il corollario di questa osservazione? Ad esempio che molti principi attivi di origine naturale, cui sono ascritti effetti funzionali dall’impiego tradizionale nonostante la loro scarsissima biodisponibilità, potrebbero funzionare attraverso una modulazione diretta o indiretta del microbiota.
Per citare due esempi di cui la letteratura si è molto occupata negli scorsi anni, il resveratrolo e la curcumina, la loro concentrazione plasmatica dopo assunzione alimentare è troppo bassa per giustificare una qualsiasi attività biologica. Ma la dose ingerita che raggiunge il piccolo intestino e poi probabilmente il colon potrebbe esser sufficiente a modificare il pattern di molecole segnale prodotte dal microbiota ed esercitare, quindi, l’effetto osservato.
L’effetto dei prebiotici
Un’altra considerazione importante riguarda l’effetto dei prebiotici. I prebiotici, che non vanno confusi con i probiotici, sono sostanze presenti nel cibo che non vengono assorbite e non hanno potere nutrizionale, ma fungono da substrato per il metabolismo del microbiota. La gran parte dei prebiotici sono oligosaccaridi. I prebiotici hanno da molti anni un certo (ma non enorme) interesse dal punto di vista dell’integrazione alimentare perché, anche conosciuti come fibra solubile, contribuiscono alla crescita della flora intestinale.
L’uso predominante è come coadiuvatori per le diete dimagranti, basandosi sull’osservazione che l’oligosaccaride promuove il transito intestinale e favorisce il senso di sazietà per rigonfiamento. In realtà, l’effetto è ancora più complesso in quanto la fermentazione anaerobica nel basso intestino produce acidi grassi a corta catena, quali acido acetico, propionico e butirrico che interagiscono selettivamente con dei recettori accoppiati a proteine G, denominati SCFA receptors o GPR41-43.
Questi recettori, stimolati dagli acidi grassi, producono segnali di sazietà integrati dall’asse intestino-cervello e promuovono un marcato dimagrimento attraverso la liberazione di leptina. Questi risultati devono esser interpretati oltre gli aspetti nutrizionali e offrono al chimico farmaceutico molteplici opportunità per direzionare interventi farmacologici in maniera non convenzionale.