Innanzitutto le imprese che intendono fare affari con l’estero devono conoscere le procedure autorizzative per l’immissione degli integratori alimentari nei mercati degli altri Stati Membri dell’Unione Europea. Gli integratori alimentari, infatti, secondo la definizione contenuta nella direttiva europea 2002/46/CE, sono posizionati all’interno della più ampia categoria degli alimenti. Tale assoggettamento comporta che gli integratori siano prodotti e commercializzati nel rispetto della rigorosa e ben strutturata normativa del diritto alimentare. Un esempio è quello della normativa inerente l’etichettatura dei prodotti, che secondo le disposizioni comunitarie, deve contenere molte e specifiche informazioni nella lingua che sia più facilmente comprensibile ai consumatori dei Paesi nei quali il prodotto sarà immesso. Inoltre, i produttori e i distributori sono destinatari delle previsioni del Regolamento CE 178/2002 per l’attuazione di un protocollo di tracciabilità dei prodotti, che permetta di individuare immediatamente e puntualmente i fornitori e i clienti o comunque i referenti dei passaggi successivi alla produzione o distribuzione.
Le imprese possono poi andare incontro a fenomeni di contraffazione e per questa ragione devono conoscere gli strumenti che esistono per evitare e contrastare ogni forma di contraffazione dei propri prodotti e delle proprietà industriali sottostanti. Può essere utile dotarsi di adeguati sistemi di protezione del proprio know-how, mediante deposito e registrazione di adeguata domanda presso le istituzioni competenti. Ma ci si può tutelare anche attraverso la stipula di accordi di contratti di licenza d’uso del marchio, oppure tramite l’inserimento negli accordi commerciali di clausole di licenza d’uso limitata con sanzioni in forma di penale per violazioni dell’obbligo. Nei casi in cui invece le imprese debbano tutelarsi a contraffazione avvenuta, esistono tutta una serie di azioni sia di natura penale che civile che tutelano le imprese ex post.
Altra materia che le imprese che si affacciano sul mondo del commercio internazionale devono conoscere, è quella dei principi di contrattualistica internazionale. Un accordo di natura internazionale, infatti, può essere concluso sia attraverso veri e propri documenti sottoscritti fra le parti che attraverso uno scambio di ordini approvati o di semplici email. In ogni caso, è importante prestare molta attenzione ai documenti che regolano le transazioni che hanno ad oggetto lo specifico prodotto degli integratori alimentari. Ad esempio, può essere sempre molto utile inserire nell’accordo, qualunque sia la sua forma, delle clausole di salvaguardia, quali la c.d. Hardship clause che interviene nel momento in cui una situazione sopravvenuta o sconosciuta al momento della chiusura dell’accordo alteri l’equilibrio del rapporto rendendo una prestazione particolarmente onerosa rispetto alle altre; la clausola di forza maggiore, che scatta nel momento in cui un evento imprevedibile renda una delle prestazioni del tutto impossibile ad eseguirsi; le clausole di richiamo del prodotto in caso di recall volontario o d’imperio e le clausole sospensive, in ipotesi di attesa dell’esito di procedure autorizzative. Va inoltre prestata attenzione a tutta quella parte del contratto che afferisce l’eventuale fase di contenzioso che un domani potrebbe sorgere. Per le imprese è inoltre prezioso conoscere le tipologie di specifici contratti che nella prassi commerciale trovano con più frequenza spazio di applicazione, quali il contratto di agenzia, il contratto di distribuzione, il contratto di procacciamento di affari ma anche la distribuzione e la vendita tramite l’e-commerce.
Infine, le imprese che intrattengono rapporti commerciali con l’estero, devono conoscere le regole della classificazione degli integratori alimentari a livello globale. Una corretta procedura di classificazione dei prodotti, infatti, oltre a porre al riparo l’azienda da possibili rischi connessi ai profili sanzionatori ravvisabili in una non corretta gestione dei prodotti sotto il profilo doganale, permette di accertarne l’origine sotto l’aspetto della preferenzialità e della non preferenzialità. Il concetto di origine è centrale non soltanto per ciò che riguarda l’iter doganale ma anche per la tutela dei consumatori, che hanno il diritto e l’esigenza di capire il luogo di effettiva produzione di una merce. Nello specifico, l’origine preferenziale consente alle imprese di beneficiare di dazi ridotti quando il prodotto viene esportato verso Paesi che abbiano con l’Ue accordi di libero scambio in vigore. L’origine non preferenziale, invece, è concettualmente sovrapponibile al “made in”: il luogo di produzione del bene o il luogo dove lo stesso ha subito l’ultima sostanziale trasformazione.
fonte: federsalus.it