Nella popolazione anziana l’osteoporosi rappresenta non solo una delle più diffuse patologie, ma anche uno dei principali fattori di rischio per una serie di eventi traumatici (e, di riflesso, vascolari) con importanti ripercussioni a livello psicologico e sulla generale qualità di vita. Tra le principali cause di questo alterato metabolismo osseo: patologie infiammatorie croniche, terapie farmacologiche, mancanza di attività fisica, disabilità ma la primaria è certamente la carenza estrogenica che affligge le donne in età post-menopausale. Il trattamento farmacologico elettivo consiste oggi nella somministrazione di bifosfonati, unitamente o meno a terapia ormonale sostitutiva, calcitonina od ormone paratiroideo; tuttavia, i pesanti effetti collaterali e gli alti costi spingono la ricerca di soluzioni più sicure ed economicamente più sostenibili.
Nel contrasto ai sintomi della sindrome climaterica è ormai consolidato l’uso, supportato da ampia letteratura scientifica, di isoflavoni di derivazione naturale: questi flavonoidi eterociclici espressi da molte leguminose (soia, trifoglio, fieno greco, alfalfa, per citarne alcune) possiedono debole affinità per il recettore estrogenico e, in assenza di ormone, ne stimolano l’attività. Oltre all’isoflavone di soia, i fitoestrogeni più noti ed utilizzati in ambito fitoterapico sono genisteina, daidzeina, cumestrolo e formononetina; un recente studio effettuato inserisce di diritto in questo novero un ulteriore composto, la calicosina. Si tratta di uno dei maggiori costituenti isoflavonici della radice di astragalo, il cui utilizzo in occidente è dovuto principalmente alle attività antiossidanti, immunostimolanti, chemopreventive, cardioprotettive, epatoprotettive e antivirali dei suoi costituenti.
Un altro interessante utilizzo andrebbe però mutuato dalla medicina tradizionale cinese: in oriente infatti le radici di Huang Qi sono utilizzate da secoli per il trattamento dell’osteoporosi legata alla menopausa. La radice di astragalo, una leguminosa, contiene infatti formononetina e calicosina, un suo derivato ad opera di una specifica Isoflavone 3′-idrossilasi. La formononetina ha mostrato di migliorare la densità ossea in donne in età postmenopausale, effetto non legato alla contemporanea assunzione di calcio, in maniera maggiore rispetto a genisteina e daidzeina; la calicosina si è rivelata molto più potente della formononetina. In particolare tale attività è legata all’incremento di espressione di BMP-2 (Bone Morphogenetic Protein 2, proteina appartenente alla famiglia del TGF-beta) e RUNX-2 (o Cfb-alfa-1, un fattore di trascrizione essenziale nella differenziazione dell’osteoclasto), che si traduce in vitro in: maggiore proliferazione e differenziamento cellulare, aumentata secrezione di osteocalcina, collagene I e altre proteine della matrice ossea quali osteocalcina, sialoproteine e osteopontina, incrementata mineralizzazione e formazione di noduli ossei, mostrando quindi un potenziale osteogenico molto elevato. Tali evidenze mostrano come la calicosina sia un più che promettente candidato per il trattamento dell’osteoporosi legata alla menopausa, sicuro ed economico, aprendo la strada ad uno sviluppo futuro in ambito farmacologico e clinico.
Kong X., et al., A comparative study on the effect of promoting the osteogenic function of osteoblasts using isoflavones from Radix Astragalus, Phytotherapy Research. 2017;1-10. Li X., et al., A Review of Recent Research Progress on the Astragalus Genus, Molecules 2014, 19(11), 18850-18880. Matteo Floridia Biotecnologo medico, esperto in Fitoterapia, Milano