La Direttiva 2002/46/CE, attuata con il Decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169, definisce gli integratori alimentari come “prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e (che) costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”. Presso il sito web del Ministero della Salute è pubblicato e aggiornato periodicamente un registro degli integratori.1 Da ciò emerge in modo inequivocabile che non si tratta di farmaci, e che pertanto non hanno lo scopo di curare, bensì di integrare e supplementare, in quanto alimenti, una dieta normale, laddove si verifichino situazioni carenziali documentate o situazioni di rischio per il loro manifestarsi, legate a particolari condizioni/abitudini.
Si può pertanto ragionevolmente parlare in modo estensivo di un ruolo “salutistico”, finalizzato a contribuire al benessere dell’organismo. In ogni caso, gli integratori non possono e non devono sostituire una dieta adeguata e bilanciata, che resta la fonte principale sia di macro- sia di micronutrienti. Ciò è ancor più vero in età pediatrica, durante la quale la dieta deve essere in grado di garantire il corretto sviluppo psicofisico (staturo-ponderale in relazione al genere e al bersaglio genetico, neuropsichico e muscoloscheletrico) e soprattutto deve essere adeguata al dispendio energetico e all’attività fisica. Il loro impiego deve avvenire in modo consapevole e informato sulla loro funzione e le loro proprietà, per risultare sicuro e utile sul piano fisiologico, senza entrare in contrasto con la salvaguardia di abitudini alimentari e comportamenti corretti nell’ambito di un sano stile di vita. A tale proposito, il Ministero della Salute ha pubblicato le Raccomandazioni sul corretto utilizzo degli integratori alimentari, con un allegato dedicato all’età pediatrica2 e un decalogo.3
L’utilizzo degli integratori alimentari è molto diffuso sia in Italia sia in Europa. Per quanto riguarda gli integratori specifici per l’età pediatrica, si è registrato un incremento delle vendite nel corso del 2018 (Fonte: New Line, Ricerche di mercato). Questo dato è particolarmente significativo, in considerazione del trend di riduzione delle nascite, particolarmente rilevante nel nostro Paese: nel 2017 sono nati in Italia 464.000 bambini, il 14,8% dei quali stranieri.
Le motivazioni alla base dell’acquisto di integratori sono molteplici e vanno dalla maggiore attenzione ai temi della nutrizione e della salute, agli stili di vita sempre più intensi e stressanti, alla richiesta di “benessere” e alle numerose campagne pubblicitarie e informative correlate. Relativamente ai bambini e ai ragazzi, l’utilizzo, come analizzeremo in modo dettagliato nei paragrafi successivi, è per lo più legato a situazioni cliniche che richiedono un trattamento sintomatico e non farmacologico, oppure alla pratica di attività sportive, e solo in parte alla prevenzione/correzione di situazioni carenziali.
A tale proposito, è di particolare interesse lo studio di Bailey et al.5 che, facendo riferimento ai dati della National Health and Nutrition Examination Survey 2007-2010, ha fotografato le abitudini e le motivazioni di 8245 lattanti/bambini/adolescenti americani (0-19 anni) in merito al consumo di integratori alimentari che, è doveroso evidenziarlo, avviene con modalità e criteri molto differenti da quelli europei e italiani. Da essa emerge che il 31% dei soggetti assume o ha assunto un integratore almeno una volta nei due mesi precedenti allo studio, senza differenze di prevalenza tra i sessi, con un utilizzo maggiore tra i ragazzi bianchi non ispanici e tra quelli con maggiore livello di attività fisica e migliore condizione socioeconomica. Gli integratori alimentari maggiormente utilizzati sono risultati essere i multivitaminici e multiminerali, seguiti dai soli multivitaminici, dalla vitamina C, dai prodotti di origine vegetale e dal calcio. Le motivazioni relative all’utilizzo sono state principalmente correlate alla promozione, miglioramento e mantenimento di un buono stato di salute, oppure al potenziamento delle difese immunitarie. In minima parte sono stati utilizzati per integrare una dieta, e solamente per meno dell’1% per specifiche patologie o indicazioni terapeutiche. Quando si prende in esame chi ha indicato l’utilizzo dell’integratore, solamente nel 15% dei casi vi è stata una reale prescrizione da parte di un “operatore sanitario” (questa percentuale sale al 50% in riferimento ai bambini fino a 2 anni di età); nel restante 85% dei casi, invece, gli integratori sono stati assunti su consiglio di genitori, parenti, caregiver o da qualche altro soggetto privo di formazione specialistica. In una buona percentuale dei casi si evidenzia che un genitore che assume integratori, essendo maggiormente consapevole sul ruolo degli integratori, è in grado di condizionare il figlio sull’utilizzo degli stessi.
Nel nostro Paese l’utilizzo di vitamine, oligoelementi, fibre, estratti vegetali (per citare i principali) è molto diffuso e, nel caso dell’età pediatrica, sarebbe meglio che avvenisse su controllo del pediatra, del medico curante o del farmacista. In considerazione di quanto detto, è importante evidenziare come un uso non corretto degli integratori (in termini sia di posologia sia di durata) possa essere causa di effetti avversi, laddove non si rispettino specifiche raccomandazioni/controindicazioni, legate all’età o a situazioni cliniche concomitanti o a interazioni, in particolar modo possibili con l’utilizzo di estratti vegetali, il cui fitocomplesso è molto ricco di principi attivi.6,7 Premesso che l’uso corretto degli integratori alimentari è sicuro, parlando della fascia di età pediatrica è importante raccomandare di affidarsi al proprio pediatra di fiducia, in modo tale da verificare in primis la sussistenza della reale necessità di assumere integratori e successivamente la corretta posologia, la presenza di eventuali controindicazioni (alcuni estratti vegetali/integratori non possono essere utilizzati nel bambino) sia in situazioni di semplice supporto nutrizionale sia in concomitanza con l’assunzione di farmaci per condizioni patologiche intercorrenti o croniche.6,8 Di seguito prenderemo in esame l’impiego di integratori sia nelle diverse fasce di età (dalla nascita all’adolescenza) sia in alcune situazioni specifiche.
Integratori a base di estratti vegetali
Gli integratori contenenti estratti vegetali, sia per la loro peculiarità strutturale sia per l’utilizzo diffuso e in costante crescita, come dimostra la molteplicità di prodotti immessi sul mercato, meritano un approfondimento. Le piante utilizzabili nella formulazione di integratori alimentari sono riportate in un apposito elenco pubblicato e aggiornato periodicamente a cura del Ministero della Salute.9 In molti casi, oltre agli estratti vegetali, sono contenuti altri componenti, quali vitamine, oligoelementi e recentemente anche probiotici. In tale contesto è più che mai necessario focalizzare l’attenzione sulla sicurezza e sulla qualità, che devono interessare ogni passaggio della filiera produttiva: dalla coltivazione, alla raccolta, all’estrazione dei principi attivi, al confezionamento. Proprio partendo da questi presupposti, la Federazione Italiana Medici Pediatri ha realizzato e pubblicato le Linee guida sull’impiego della Fitoterapia,10 destinate ai pediatri italiani, con lo scopo di fornire alcuni principi con i quali poter valutare i molti prodotti in commercio e soprattutto supportare le famiglie verso una scelta e un utilizzo consapevoli, evidenziando come non sia sempre valido l’assioma che tutto ciò che è naturale faccia bene e sia privo di possibili effetti avversi e/o interazioni. Per numerose piante sono presenti specifiche schede nelle Monografie Ufficiali (EMA, WHO, ESCOP): esse vengono elaborate e aggiornate periodicamente da apposite Agenzie/Commissioni, che valutano la letteratura scientifica e gli studi clinici pubblicati. Occorre evidenziare come molti integratori a base di estratti vegetali vengano impiegati nei bambini in situazioni cliniche per le quali non esistono trattamenti specifici, quali ad esempio i disturbi del sonno, le coliche gassose del lattante, la tosse, le infezioni respiratorie ricorrenti, per citare quelle più frequenti. A fini esemplificativi, prendiamo in esame le coliche addominali del lattante e la tosse.
Le coliche addominali del lattante sono una situazione clinica benigna, che interessa fino al 40% dei lattanti nei primi 2-3 mesi di vita e che è fonte di grande preoccupazione e ansia per le famiglie. Ad oggi non è ancora stata individuata una causa specifica, sebbene siano molteplici le ipotesi eziologiche: da uno sbilanciamento nel microbioma gastrointestinale, a un’infiammazione o immaturità intestinale, a fattori ambientali quali il fumo materno e la stessa ansia dei genitori. Ciò rende ragione della molteplicità e varietà dei trattamenti proposti. Il compito del pediatra è in primis quello di porre una corretta diagnosi e tranquillizzare i genitori dei piccoli lattanti sulla completa risoluzione, in genere entro i 3 mesi, ma anche, nei casi nei quali la sintomatologia sia più intensa, consigliare un eventuale trattamento di supporto per ridurre il discomfort. A tale proposito sono stati condotti diversi studi clinici, che hanno valutato la sicurezza e l’efficacia di preparazioni contenenti estratti vegetali, probiotici e/o associazioni degli stessi. Relativamente agli integratori contenenti estratti vegetali, si ricorda lo studio randomizzato e controllato, in doppio cieco vs placebo, pubblicato da Savino et al. nel 2005,11 in cui sono stati arruolati 93 bambini allattati al seno, suddivisi in due gruppi, rispettivamente trattati con un preparato contenente camomilla, finocchio e melissa e con placebo, somministrati 2 volte/die per una settimana. Al termine del trattamento il gruppo che aveva assunto gli estratti vegetali ha registrato una riduzione del tempo di pianto (uno dei criteri per la valutazione delle coliche), statisticamente significativa, rispetto al gruppo trattato con placebo. Successivamente a questo lavoro, Martinelli et al.12 hanno pubblicato nel 2017 i risultati di uno studio multicentrico, comparativo, randomizzato e controllato, condotto su lattanti affetti da coliche infantili in ossequio ai criteri di Roma III.13 I lattanti sono stati suddivisi in tre gruppi, ai quali sono stati somministrati per 28 giorni, rispettivamente, un preparato contenente camomilla, melissa e L. acidophylus HA122 tindalizzato (Gruppo A), L. reuteri DSM 17938 (Gruppo B) e simeticone (Gruppo C). Hanno completato lo studio 176 lattanti. Il numero medio di ore di pianto giornaliero, dopo i 28 giorni di trattamento, si è ridotto in percentuale statisticamente significativa nel Gruppo A (60 bambini) e nel Gruppo B (59 bambini), senza differenze rilevanti tra i 2 gruppi. Entrambi i trattamenti si sono pertanto dimostrati più efficaci rispetto a simeticone.
Per quanto riguarda gli studi che hanno utilizzato ceppi di probiotici per il trattamento delle coliche del lattante, la letteratura è numericamente consistente. Prendendo in esame i lavori pubblicati negli ultimi anni, citiamo quelli maggiormente significativi. Rhoads et al.14 nel 2018 hanno pubblicato uno studio che ha preso in esame gli studi randomizzati controllati (RCT, Randomized Controlled Trials) realizzati dal 1960 al 2015, individuando come outcome primario la valutazione del tempo di pianto dopo 21-28 giorni di trattamento. Sono stati analizzati 32 RCT per complessivi 2242 lattanti. Lo studio ha concluso che un trattamento con L. reuteri DSM si è dimostrato superiore agli altri trattamenti, relativamente all’outcome valutato. Sempre nel 2018, Sung et al.15 hanno preso in esame 4 trial in doppio cieco con complessivi 345 lattanti arruolati (174 trattati con L. reuteri DSM 17938 e 171 con placebo), concludendo che il L. reuteri DSM 17938 è efficace e può essere raccomandato per il trattamento delle coliche addominali nei lattanti allattati al seno. Infine, una revisione Cochrane pubblicata nel 201916 ha preso in esame 6 studi (1886 lattanti arruolati complessivamente) nei quali venivano utilizzati ceppi di probiotici vs placebo per il trattamento delle coliche del lattante. Nello specifico, in 2 studi è stato somministrato L. reuteri DSM 17938, in altri 2 studi multiceppi di probiotici, in 1 studio L. ramnosus e in 1 studio L. paracasei e Bifidobacterium oralis. Benché la revisione concluda per la mancanza di chiare evidenze circa l’efficacia dei probiotici nella prevenzione delle coliche del lattante, attesta che il tempo di pianto nei lattanti trattati con probiotici è risultato ridotto rispetto a quelli trattati con placebo.
La tosse è un sintomo di comune riscontro nei bambini, soprattutto in concomitanza con la frequenza di comunità infantili e del periodo autunno-inverno. È generalmente associata a flogosi delle vie aeree e merita, prima di un qualsivoglia intervento sintomatico/terapeutico, una corretta valutazione clinica, potendosi infatti associare a situazioni “banali”, ma anche essere il segnale di situazioni più impegnative e che richiedono un idoneo trattamento terapeutico. Le piante medicinali e gli estratti vegetali più in generale vantano una tradizione d’uso secolare per il trattamento della tosse. Possiamo schematicamente individuare piante a effetto prevalentemente espettorante (contenenti nel loro fitocomplesso saponine o oli essenziali) e piante a effetto emolliente (contenenti nel loro fitocomplesso mucillagini). Nella Tabella 1 sono riportate alcune di queste piante. Occorre evidenziare che essendo la tosse un sintomo che, come già detto, frequentemente si associa a flogosi delle vie aeree, le piante dotate di azione antivirale/antibatterica/antinfiammatoria possono risultare efficaci per il suo trattamento. A tale proposito, non si può non citare il Pelargonium sidoides, geraniacea di origine sudafricana dotata di triplice azione antivirale, antibatterica e fluidificante, ed estremamente efficace, come si evidenzia da una corposa letteratura, nel ridurre in tempi brevi il sintomo tosse associato a bronchiti, sinusiti e asma, anche nei bambini (in molti Paesi il suo utilizzo è consentito dall’anno di età).17
Tabella 1. Piante attive nei confronti della tosse
Piante a effetto espettorante (contengono saponine Piante a effetto emolliente (contengono o oli essenziali) polisaccaridi, mucillagini) |
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Indiretto (contengono saponine): Grindelia robusta Nutt Hedera helix Glycirrizha glabra Primula veris Helichrysum italicum
Diretto (contengono oli essenziali): Pimpinella anisum Eucaliptus globulus Mentha piperita |
Plantago lanceolata Althaea officinalis Malva sylvestris Tilia cordata |
Schede relative alla maggior parte delle piante citate sono presenti nelle Monografie Ufficiali (WHO, EMA, ESCOP) e il loro uso è molto diffuso, soprattutto in età pediatrica, considerando la frequenza del sintomo tosse nei bambini. Per alcune di esse sono stati condotti studi clinici, che ne hanno dimostrato sia l’efficacia sia la sicurezza. L’edera, a titolo di esempio, si è dimostrata efficace anche nella tosse con componente ostruttiva e non ha limitazioni d’uso per l’età, ovviamente rispettando la corretta posologia.18 Parlando della tosse, è imprescindibile fare un riferimento al miele. Sebbene si tratti di un prodotto apistico, esso si trova frequentemente in associazione a estratti vegetali, sia per le sue azioni specifiche sia per migliorare la palatabilità di alcuni preparati destinati al bambino. Recenti studi condotti in età pediatrica ne hanno dimostrato una notevole efficacia e sicurezza nel trattamento della tosse.19,20
Integratori alimentari nel primo anno di vita
L’alimento ideale dalla nascita fino al sesto mese è senza alcun dubbio il latte materno.21 Esso è in grado di garantire la crescita staturo-ponderale, lo sviluppo neurologico e psicorelazionale del lattante, grazie al corretto apporto dei principali macronutrienti e della maggior parte dei micronutrienti. Il latte materno, prodotto dalla ghiandola mammaria, non è infatti un fluido uniforme, ma varia nel corso dell’allattamento. A mero titolo di esempio, il colostro, che è il latte prodotto nei primi giorni di vita, ha un contenuto proteico, vitaminico (nello specifico vitamine A, B12 e K) e di immunoglobuline più elevato rispetto al latte maturo, e un contenuto di grassi e calorie minore.21 Intorno al sesto mese, epoca nella quale gli apporti nutrizionali del solo latte materno non sono più in grado di garantire la crescita fisiologica del lattante, si inizia l’introduzione dell’alimentazione complementare che prevede, secondo modalità differenti, la proposta di alimenti diversi, a integrazione del latte materno, la cui somministrazione resta peraltro fortemente raccomandata, almeno per tutto il primo anno di vita. Sebbene, come descritto, il latte di donna rappresenti il gold standard per l’alimentazione del lattante, esso ha un basso contenuto di vitamina D, strettamente correlato ai livelli plasmatici materni. In considerazione del ruolo fondamentale di questa vitamina nel processo di mineralizzazione ossea, esiste un ampio consenso internazionale sulla necessità di fornire per tutto il primo anno di vita una supplementazione di vitamina D a tutti i lattanti. Situazioni cliniche specifiche quali la prematurità richiedono dosi maggiori, correlate all’epoca della nascita. Oltre che nel primo anno di vita, la supplementazione con vitamina D trova indicazioni anche in età successive e in numerose situazioni a rischio di carenza.22 Un’altra vitamina la cui concentrazione nel latte materno dopo la nascita e il passaggio transplacentare durante il periodo gestazionale sono bassi è la vitamina K. La carenza di questa vitamina è correlata al manifestarsi della malattia emolitica del neonato (situazione clinica molto grave) e per tale motivo è raccomandata la profilassi alla nascita (1 mg di vitamina K im). Nei neonati allattati al seno, al fine di prevenire la forma tardiva della malattia emorragica neonatale, si raccomanda la supplementazione orale di vitamina K durante i primi tre mesi di allattamento.23
Vitamina D
La vitamina D è un ormone liposolubile, sintetizzato nella cute in seguito all’esposizione ai raggi UVB; viene quindi trasportata nel fegato, dove subisce una prima idrossilazione, 25(OH)D, per poi raggiungere il rene, per essere trasformata in 1,25(OH)D, che è la forma attiva. Essa agisce principalmente sul metabolismo osseo e sul sistema immunitario. Per quanto riguarda l’osso, influenza i processi di acquisizione della massa ossea, sia direttamente, contribuendo alla regolazione del metabolismo fosfo-calcico, sia indirettamente, stimolando lo sviluppo del tessuto muscolare.22 La profilassi con vitamina D è raccomandata in tutti i bambini, indipendentemente dal tipo di allattamento. Premesso che il latte materno contiene quantità insufficienti di tale vitamina, in grado di prevenirne un deficit, anche i lattanti che assumono latte artificiale hanno comunque necessità di una supplementazione. Occorre infatti considerare sia che il contenuto medio di vitamina D nelle formule è di 400 UI/l, sia che i lattanti sono in grado di raggiungere un intake adeguato solo alcuni mesi dopo la nascita (in media un lattante di 5-6 kg di peso introduce 1 l di latte/die), epoca nella quale l’introduzione dell’alimentazione complementare riduce percentualmente la quota lattea.
La profilassi con vitamina D deve iniziare fin dai primi giorni di vita e proseguire per tutto il primo anno. La dose raccomandata, per i nati a termine, in assenza di fattori di rischio è di 400 UI/die .. In presenza di fattori di rischio si può arrivare a dosi di 1000 UI/die. Nella fascia di età 1-18 anni, nei soggetti a rischio di deficit la profilassi può essere effettuata con somministrazione di 600-1000 UI/die, oppure con dosaggi settimanali o mensili, in caso di scarsa compliance. Tra le situazioni cliniche a rischio di carenza è di grande rilevanza l’obesità infantile, considerato il dato epidemiologico che vede il 21,3% della popolazione infantile italiana nel range di età 8-9 anni collocarsi nella fascia del sovrappeso e il 9,3% nella fascia dell’obesità (dati Okkio alla salute 2016).24 Sono situazioni nelle quali vi è uno stato di malnutrizione, con eccesso di alcuni macronutrienti e, paradossalmente, carenza di molti micronutrienti, tra i quali le vitamine del complesso B e tra esse la vitamina D. La supplementazione può avvenire indistintamente con prodotti che contengono ergocalciferolo (vitamina D2) o colecalciferolo (vitamina D3). Considerata la collocazione geografica dell’Italia e il corretto e necessario utilizzo di schermi solari, la profilassi con vitamina D dovrebbe interessare il periodo fine autunno-inizio primavera.
Tabella 2.LARN: Livelli di assunzione raccomandati per la popolazione italiana per la vitamina D (colecalciferolo)
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Ferro
Benché scarsamente presente, il ferro contenuto nel latte materno, grazie alla sua elevata biodisponibilità, è in grado di garantire, nei nati a termine, il fabbisogno nutrizionale fino al sesto mese. Dopo tale epoca sarà l’inserimento dell’alimentazione complementare a garantirne livelli adeguati. A tale proposito, è importante ricordare che il ferro è un oligoelemento essenziale. Nel nostro organismo è suddiviso in tre compartimenti funzionali: metabolicamente attivo, di trasporto e di deposito. L’assorbimento intestinale del ferro è direttamente proporzionale alle necessità dell’eritropoiesi e inversamente proporzionale all’entità dei depositi. Un ormone di origine epatica, l’epcidina, controlla il bilancio tra domanda e offerta di questo oligoelemento. L’anemia ferropriva (IDA, Iron Deficiency Anemia), che è la carenza nutrizionale più diffusa nel mondo (circa 600.000 individui, di cui il 25% bambini in età prescolare; questa percentuale è sensibilmente ridotta tra i lattanti europei: da <2% nel primo semestre al 2-3% nel secondo semestre e al 3-9% da 1 a 3 anni), è stata associata a diverse situazioni cliniche, quali alterazioni delle performance fisiche, comportamentali e cognitive e alterazioni dello sviluppo neurologico, della crescita e del sistema immunitario.25
Il ferro è particolarmente importante nei primi mesi di vita, epoca nella quale i neuroni completano la complessa rete di connessioni. In questo periodo il patrimonio di ferro dipende esclusivamente dal latte (sia materno sia formula) e dalle riserve accumulate dalla madre nelle ultime 10 settimane di gestazione. Generalmente, nei primi sei mesi di vita i lattanti sani hanno livelli ematici di ferro sufficienti, fatte salve situazioni specifiche quali gemellarità, prematurità e/o gravi deficit materni. Con la crescita, a decorrere dal secondo semestre, i depositi si vanno riducendo ed è pertanto questo il periodo a maggior rischio di sviluppo di carenza marziale, soprattutto se viene somministrato latte vaccino (è questo uno dei motivi per i quali non si raccomanda l’utilizzo di tale alimento prima dell’anno di vita). Per prevenire il deficit di ferro (ID, Iron Deficiency), l’American Academy of Pediatrics26 raccomanda, per i lattanti nati a termine allattati esclusivamente al seno o con allattamento misto con prevalenza di latte materno, la supplementazione di ferro alla dose di 1 mg/kg/die a partire dal 4° mese e fino all’introduzione di un’idonea alimentazione complementare. Il recente Position Paper della Committee on Nutrition dell’ESPGHAN27 propone raccomandazioni per diverse situazioni e fasce di età, riassunte nella Tabella 4.
Tabella 4. Raccomandazioni del Position Paper ESPGHAN “Iron requiements of infants and toddlers”
Lattanti di basso peso alla nascita |
La supplementazione con ferro nel primo semestre di vita (1-3 mg/kg/die) previene l’insorgenza di IDA e probabilmente migliora il neurosviluppo |
Lattanti nel primo semestre di vita |
La supplementazione di ferro nel corso del primo semestre di vita in lattanti che assumono latte materno non riduce l’insorgenza di IDA a 6 mesi in popolazioni con prevalenza bassa (<5-10%) In caso di allattamento artificiale, per carenza di latte materno, i latti formula fortificati con ferro prevengono l’insorgenza di IDA e probabilmente migliorano il neurosviluppo |
Lattanti nel secondo semestre di vita |
La somministrazione di latti di proseguimento previene l’insorgenza di IDA |
Alimentazione complementare |
L’alimentazione complementare ricca di ferro e l’esclusione di latte vaccino intero prevengono l’insorgenza di IDA |
Bambini 4-12 mesi |
La supplementazione marziale previene l’insorgenza di IDA e può migliorare il neurosviluppo, ma solo in condizioni di elevata prevalenza di IDA (>5-10%) a 6-12 mesi di vita |
Bambini 12-36 mesi |
Dati carenti. Un’alimentazione complementare adeguata in riferimento all’introito di ferro e la restrizione di latte vaccino intero (<500 ml) potrebbero prevenire l’insorgenza di IDA |
ESPGHAN, European Society for Paediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition; IDA, anemia ferropriva.
Fluoro
Il tema della supplementazione con fluoro nel bambino-ragazzo finalizzato alla prevenzione delle carie è da molti anni oggetto di discussione, in particolar modo in riferimento alle modalità di somministrazione o applicazione. I più recenti dati di letteratura consentono di confermare la raccomandazione della fluoro-profilassi in età evolutiva (bambini e ragazzi fino a 16 anni). L’applicazione topica, con dentifrici al fluoro e collutori al fluoro, associata a una corretta igiene orale, così come l’applicazione (da parte dell’odontoiatra) di vernici/dispositivi a lento rilascio di fluoro, risultano essere efficaci nel prevenire la carie. I bambini/ragazzi che praticano una buona fluoro-profilassi topica non dovrebbero assumere fluoro. La somministrazione orale potrebbe essere prescritta in coloro che hanno un alto rischio di carie e che non praticano, perché non in grado per l’età o per altri motivi, una corretta igiene orale e/o una corretta fluoro-profilassi locale. All’atto della dimissione da molti punti nascita viene data indicazione alla fluoroprofilassi per os, con inizio dai 3-6 mesi di vita e fino a quando il bambino non è in grado, anche con l’aiuto dei familiari, di utilizzare dentifrici e/o collutori fluorati. La somministrazione per os dovrà essere interrotta dal momento in cui il bambino inizierà a utilizzare i dispositivi di cui sopra.
Sono state condotte anche esperienze consistenti nella fluorazione del latte e delle acque, con risultati contrastanti. A proposito delle acque, occorre evidenziare che, in considerazione delle caratteristiche geologiche del nostro territorio, sia le acque potabili degli acquedotti sia le numerose acque minerali naturali presentano concentrazioni di fluoruro molto variabili tra loro, delle quali occorre tener conto, per evitare un’eccessiva assunzione di tale oligoelemento e il rischio di fluorosi, soprattutto nei più piccoli. La normativa italiana prevede un livello di concentrazione massima di fluoro di 1,5 mg/l per le acque minerali naturali destinate all’infanzia (Decreto 10.02.15, Criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali, GU n. 50 del 02.03.2015).
Integratori alimentari nel bambino/adolescente
Dopo il primo anno di vita è possibile individuare svariate situazioni nelle quali è indicato l’utilizzo di integratori alimentari. Basti pensare ai bambini che devono seguire una dieta che preveda l’esclusione di alcuni alimenti, sia per motivi clinici (allergia alle proteine del latte vaccino e/o ad altri alimenti, obesità, celiachia), sia per motivi di scelta familiare (pensiamo alle diete vegetariane e ancor più a quelle vegane) che per tradizioni di tipo etnico (soprattutto nei primi anni dall’avvenuta migrazione). A tale proposito è doveroso evidenziare come una dieta vegana non sia adatta per un organismo in fase di sviluppo, e che, qualora venga adottata, è necessario raccomandare la supplementazione di ferro e vitamina B12, in quanto pressoché assenti negli alimenti di origine vegetale. Occorre anche ricordare che i fitati e le fibre presenti in quantità elevata nei vegetali possono ridurre anche significativamente l’assorbimento di altri numerosi micronutrienti (ad esempio, calcio e folati). Bambini/ragazzi che dovessero seguire per qualsivoglia motivo una dieta richiedono pertanto un attento monitoraggio clinico da parte del pediatra/medico di fiducia, al fine di scongiurare il rischio di carenze nutrizionali, con possibile compromissione dello stato di salute e della crescita.
Nutrizione nel bambino/ragazzo che pratica attività sportiva
Nel 2016 la percentuale di italiani, sopra i 3 anni di età, che dichiaravano di praticare sport con continuità nel proprio tempo libero ha raggiunto il 25,1%. Se aggiungiamo anche coloro che dichiaravano di fare sport saltuariamente si arriva al 34,8%. Tra 6 e 10 anni si raggiunge la percentuale più alta di praticanti sportivi in forma continuativa. Il 59,7% dei bambini è sportivo. Nel biennio 2013-2014 la fascia d’età con la percentuale più elevata è stata quella 11-14 anni.29 Nel triennio 2013-2016 la pratica sportiva è aumentata in tutte le età. Gli incrementi superiori ai 5 punti si osservano però nelle fasce giovanili: 5,8% (6-10 anni), 6,4% (15-17 anni).29
In considerazione della sua forte valenza preventiva, la promozione della pratica di una regolare attività fisica, sotto forma di gioco oppure di attività sportiva organizzata, è un obiettivo di salute fondamentale per tutte le età, ma acquista maggior valenza nella fascia di età pediatrica. La pratica dell’attività sportiva non può essere dissociata da un’alimentazione corretta e bilanciata.
Soprattutto nei ragazzi che praticano sport a livello pre-agonistico/agonistico, l’alimentazione deve consentire di fornire il miglior supporto metabolico alla prestazione, mantenendo contestualmente un peso e una composizione corporea normali. Gli elementi essenziali che devono essere sempre garantiti sono un corretto apporto di nutrienti (correlato alla reale attività svolta), un’adeguata composizione e suddivisione cronologica dei pasti rispetto all’orario di allenamento/gara e una corretta idratazione. Fino ad alcuni decenni orsono, l’attività fisica dei bambini era rappresentata da attività ludica/gioco libero, praticata per lo più all’aperto. Le recenti modificazioni degli stili di vita e dell’organizzazione familiare hanno comportato una graduale transizione dal gioco libero alla pratica di attività sportiva spesso strutturata, tendenzialmente competitiva e organizzata da adulti. Questa situazione comporta il rischio che si perda di vista lo scopo ludico e ricreativo che dovrebbe accompagnare l’attività fisica dei bambini. In non pochi casi subentrano finalità competitive che possono comportare un notevole livello di stress sia fisico sia mentale, considerati l’età e lo sviluppo psicofisico dei giovani “atleti”. I rischi, fisici e/o mentali, correlati a un’attività sportiva esagerata, non adeguata alle esigenze di un bambino o di un adolescente, sono molteplici. Tra questi un eccessivo uso del sistema muscoloscheletrico, programmi di allenamento troppo intensi, disturbi del comportamento alimentare e il burnout.30
Negli sportivi, gli alimenti apportano i macro- e micronutrienti necessari per garantire un adeguato intake energetico, ripristinare le scorte, combattere lo stress ossidativo e consentire la rigenerazione dei muscoli danneggiati. L’attività sportiva intensa determina che alcune sostanze, normalmente sintetizzate dall’organismo, possono risultare insufficienti. In tali situazioni se ne raccomanda un’assunzione supplementare, che può essere ottenuta con il consumo di alimenti di origine animale e di legumi. Tra queste sostanze possiamo ricordare la cistina, la tirosina, la carnitina, la creatina, la taurina, gli acidi grassi, il coenzima Q10, gli oligoelementi e le vitamine. Il fabbisogno energetico nel bambino deve tener conto della quota necessaria per la crescita e la maturazione corporea.31,32,33 Per la produzione di energia il bambino, a differenza dell’adulto, è in grado di utilizzare maggiormente l’ossidazione degli acidi grassi.34,35 Ciò comporta un risparmio di glicogeno e glucosio e una minore richiesta di carboidrati. Sempre rispetto all’adulto vi sono un’aumentata ossidazione dei lipidi e una riduzione dell’efficienza meccanica nel corso di attività che richiedono il sostegno del proprio peso corporeo (ad esempio la corsa), con la conseguenza di una più elevata spesa energetica per massa corporea e, non ultimo, una minore sudorazione e attitudine a dissipare calore, con conseguente maggiore necessità di liquidi.
Una dieta bilanciata e rapportata all’attività svolta è in genere in grado di coprire i fabbisogni e reintegrare le perdite in coloro che praticano attività sportiva (Tabella 5). Secondo le attuali conoscenze nutrizionali, una dieta bilanciata prevede che l’apporto calorico quotidiano venga garantito dalla seguente percentuale di macronutrienti: 50-60% carboidrati, 10-15% proteine e 25-30% grassi. Vi sono pochi dati relativi al modificarsi delle richieste proteiche nei bambini atleti. Rispetto ai bambini della stessa età normalmente attivi, è ipotizzabile un aumento della richiesta proteica (dal 10-15% al 20% dell’energia introdotta), al fine di prevenire un bilancio azotato negativo.36 È importante ricordare che i bambini sportivi non hanno in genere bisogno di assumere una maggiore quantità di calorie. La Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) indica che bambini di 10 anni di età che svolgano attività media hanno necessità di un introito calorico di 2300 kcal/die. La quota calorica dovrebbe essere distribuita in 5 pasti/die, indicativamente secondo il seguente schema: colazione 25%, metà mattina 5%; pranzo 35%, merenda 10% e cena 25%. Non esistono, ovviamente, ricette valide per tutti, così come non esistono alimenti “magici”. Il pasto deve essere funzionale al raggiungimento della seduta di allenamento o di gara in condizioni di equilibrio. Una regola semplice, ma molto utile per garantire una dieta varia ed equilibrata, è quella di alternare gli alimenti. A titolo di esempio, la carne è ricca di ferro ma povera di calcio, viceversa il latte è ricco di calcio ma povero di ferro; alcuni frutti (mele, arance, mandarini, kiwi, pompelmi) sono ricchi di vitamina C ma poveri di vitamine del complesso B; viceversa, altri (caki, melone, albicocche) sono ricchi di vitamine del complesso B ma poveri di vitamina C. Alternandoli, si ottiene un sufficiente apporto di tutti i componenti presenti. Un altro aspetto fondamentale è rappresentato dal timing nutrizionale: quando e cosa mangiare in funzione dell’attività fisica che si andrà a svolgere. È importante ricordare di non praticare mai l’attività sportiva dopo un periodo di digiuno troppo prolungato, né dopo un pasto troppo abbondante. Gli alimenti hanno tempi di digestione differenti (60’ i carboidrati, 90-120’ minuti le proteine, 180’ i grassi). Occorre tener conto di questi tempi per programmare sedute di allenamento/gara. È importante fare uno spuntino subito dopo l’allenamento (un frutto, latte, pane con miele). Il recupero immediato delle energie consumate facilita il recupero muscolare.
Tabella 5. Dispendio energetico giornaliero (kcal/die) per l’età e i livelli di attività svolta (PAL, Phisical Activity Level) nel maschio
Contestualmente a quanto esposto, l’utilizzo di integratori e/o vitamine nel bambino/ragazzo sportivo è molto diffuso, spesso senza la consultazione del pediatra o del medico di base.33,37,38
È importante ribadire la necessità di valutare individualmente il bambino che fa sport, al fine di calcolare, in base all’attività effettivamente svolta, sia il suo fabbisogno calorico sia quello di macro-, micronutrienti e liquidi. Questo consente di intervenire dal punto di vista dietetico e/o farmacologico (raramente) sul singolo, individuando le eventuali reali necessità. Questo approccio individualizzato consente infatti di correggere/integrare possibili carenze, senza favorire la percezione che vi siano sostanze che possono migliorare le performance sportive. Il supplemento di vitamine, oligoelementi e nutrienti può essere utile/necessario per ristabilire un apporto corretto e non per aiutare a vincere una gara.39,40 Esistono, peraltro, alcune discipline sportive che sono a maggior rischio di carenza di micronutrienti.41 Le atlete che praticano ginnastica artistica assumono frequentemente diete con restrizione energetica, per il vantaggio rappresentato da un peso più basso nelle competizioni.42,43 Gli atleti che praticano sport di combattimento hanno la necessità di controllare rigorosamente il peso per poter rientrare nei parametri di specifiche categorie.44,45 A tale scopo sono descritte diverse “procedure”, generalmente messe in atto da 3 a 13 giorni prima di una competizione e consistenti nell’aumento dell’attività fisica, nel salto dei pasti, nell’assunzione di sostanze in grado di ridurre l’assorbimento di nutrienti a livello intestinale e/o di aumentarne l’eliminazione e/o di integratori che aumentano il senso di sazietà o il consumo energetico (caffeina ecc.). Qualora si verifichino queste situazioni, appare evidente il pericolo di una compromissione dello stato nutrizionale generale e di una riduzione delle performance fisiche, nonché delle conseguenze negative su crescita e sviluppo. Contestualmente aumenta il rischio clinico correlato all’impiego di integratori/sostanze al di fuori del controllo medico.
Al di là di queste situazioni limite, sono comunque frequenti tra gli atleti errori alimentari quali uno scarso intake energetico, l’eliminazione di uno o più gruppi alimentari, una scarsa variabilità degli alimenti, con la conseguente assunzione di una dieta sbilanciata e con deficit sia di macro- sia di micronutrienti.46,47
I micronutrienti a maggior rischio di carenza sono il calcio, le vitamine del complesso B, la vitamina D, la vitamina C, il ferro, lo zinco, il magnesio e il selenio (Tabella 6). Focalizzando l’attenzione sulle vitamine del complesso B, occorre ricordare che esse hanno specifiche funzioni direttamente correlate all’esercizio fisico. In particolare, nella produzione di energia nel corso dell’esercizio, nella produzione di globuli rossi, nella sintesi proteica e nella riparazione tissutale (Tabelle 7 e 8).
Tabella 6. LARN 2014: Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana per vitamine*
Tabella 7. Ruolo delle vitamine del complesso B
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Tabella 8. Sintomi e manifestazioni cliniche correlati alla carenza di vitamine del complesso B
B1 – Tiamina |
Lieve carenza: astenia, disturbi gastrointestinali Grave carenza: beri-beri, encefalopatia di Wernicke |
B2 – Riboflavina |
Cheilite, stomatite, glossite, dermatite seborroica, congiuntivite, alterazioni corneali, anemia, arresto della crescita |
B3 – Niacina |
Pellagra, anoressia, apatia, irritabilità |
B5 – Acido pantotenico |
Irritabilità, astenia, parestesie, alterazioni comportamentali, crampi muscolari |
B6 – Piridossina |
Irritabilità, convulsioni, neuriti, dermatite, cheilite, glossite, anemia, alterazioni del comportamento |
B7 – Biotina |
Acidosi metabolica, ipotonia, convulsioni, eczema, alterazioni del tono dell’umore |
B9 – Acido folico |
Anemia megaloblastica, insonnia, irritabilità, scarsa crescita, ritardo dello sviluppo psicomotorio, ipotonia, epilessia, malformazioni congenite, in particolare del tubo neurale neonatali (se carenza durante la gravidanza) |
B12 – Cobalamina |
Astenia, inappetenza, alterazioni dello sviluppo psicomotorio, parestesie, ipotonia, convulsioni, alterazioni della personalità, depressione, anemia, leucopenia, trombocitopenia, glossite, vomito, diarrea, ittero, accumulo di omocisteina |
Parzialmente modificata da Le Vitamine del Gruppo B: tra carenze e nuovi bisogni. Biomedia 2017. |
In conclusione, è importante sottolineare che lo sport comporta impegno e fatica costanti e richiede il rispetto di regole, sia durante l’attività sia negli stili di vita (corretta alimentazione, astensione dal fumo e dall’alcol ecc.). Non esistono scorciatoie per raggiungere gli obiettivi che, in base alle proprie capacità, un atleta si prefigge.
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