I nutraceutici anche nello sport svolgono un ruolo di primo piano, dal momento che grazie alle loro capacità antiossidanti e rigenerative esercitano un’azione protettiva sulle strutture osteo-articolari, prevenendo in tal modo gli infortuni sportivi. Comunque, rimarrebbe estre- mamente riduttivo relegare il ruolo dei nutraceutici esclusivamente alla protezione dell’apparato osteo-articolare dal momento che i nutraceutici svolgono un’azione modulatrice sul sistema immunitario, sul consumo di O2, sulla tolleranza all’esercizio fisico, sull’efficienza energetica, sulle prestazioni mentali in risposta allo stress, etc. Tra i principali nutraceutici utilizzati come integrato sportivi vanno annoverati:
VITAMINA D
Gli ultimi anni hanno visto un aumento dell’interesse e delle ricerche sulla vitamina D soprattutto in ambito sportivo. Il ruolo maggiormente riconosciuto alla vitamina D, in siner- gia con il paratormone (PTH), è quello regolatore dell’omeostasi fosfocalcica, ma negli ultimi anni, grazie a una intensa attività di ricerca, è stata identificata la presenza di recettori per la vitamina D in molti altri distretti corporei, come tessuto muscolare (146, 147), ossa (148, 149), sistema immunitario (150) e sistema cardiovascolare (151). Molte delle nuove funzioni identificate della vitamina D hanno rilevanza per le prestazioni atletiche tant’è che l’inte- grazione di vitamina D è entrata a far parte della routine quotidiana di molti atleti, spesso anche quando non è stata diagnosticata nessuna carenza. Ottimizzare la funzione muscolare e rimodellamento, mantenimento della salute delle ossa e riduzione al minimo il rischio di infezione è un esempio chiave di come la vitamina D può essere giovare all’atleta.
Per quanto riguarda il tessuto muscolare sono stati evidenziati effetti positivi sul recu- pero della forza muscolare in seguito ad esercizio intenso (152-154), così come debolezza e dolore muscolare possono essere sintomi di una carenza di questa vitamina (155). Ad oggi non ci sono evidenze che la vitamina D possa avere un ruolo nelle proprietà contrattili e nel produrre forza muscolare negli atleti, anche se è possibile ipotizzare che la carenza di vitamina D abbia un impatto negativo sulla funzione muscolare (156). Influente anche per il sistema im- munitario, uno studio ha osservato che atleti con concentrazione di 25(OH)D inferiori a <30 nmol·l−1 presentavano con più frequenza sintomi di infezioni del tratto respiratorio al contrario di chi aveva concentrazioni superiori a > 120 nmol·l−1 (157). Diverse citochine proinfiamma- torie, tra cui IL-6 e TNF-alfa sono elevate dopo l’esercizio, e le elevate concentrazioni delle citochine proinfiammatorie sono state implicate nella sindrome da overtraining (158).
La relazione tra vitamina D e funzione cardiaca rimane altamente controverso. Nonostante la crescita del corpo di prove che dimostrano un legame tra carenza di vitamina D e fattori di rischio cardiovascolare, pochissimi studi hanno esaminato l’associazione tra lo stato di vitamina D con la struttura e la funzione cardiaca in atleti sani (156).
Infine, vari studi hanno osservato che le fratture da stress sono una delle lesioni più comuni negli atleti e che l’integrazione di vitamina D e calcio ha ridotto il numero di questi dolorosi incidenti durante i vari allenamenti (160). Una recente ricerca però non mostra al- cuna associazione tra la concentrazione di 25[OH] D e la salute delle ossa in una popola- zione atletica etnicamente diversa (161), mettendo in discussione l’uso della concentrazione di 25 [OH] D come misura per prevedere la salute delle ossa nella popolazione di atleti.
È possibile concludere che una carenza di vitamina D può influenzare direttamente o indirettamente le performance degli atleti ma è altrettanto importante che l’integrazione sia sempre personalizzata in quanto concentrazioni superiori a 180 nmol·l−1 di 25 [OH] D possono risultare tossiche e aumentare prodotti del suo catabolismo (156).
CIOCCOLATO
Il cioccolato fondente è ricco di sostanze nutritive che possono influenzare positiva- mente la salute. È ottenuto dal seme della pianta di cacao, tra le migliori fonti di antiossi- danti del pianeta. Uno studio recentemente pubblicato sul Journal of International Society of Sport Nutrition (162) conferma ulteriormente quanto il cioccolato fondente possa avere esiti positivi anche nelle prestazioni sportive. È stato dimostrato che una dieta in grado di aumentare i livelli di ossido nitrico tramite assunzione di nitrati, può ridurre le richieste di ossigeno durante l’esercizio submassimale (163). Berry et al. (164) hanno dimostrato la di- minuzione della pressione arteriosa indotta dall’esercizio fisico attraverso il consumo di cacao ricco di flavanoli in soggetti in sovrappeso, e evidenziato che il cioccolato fondente può diminuire il rischio cardiovascolare e migliorare i benefici cardiovascolari dell’esercizio di intensità moderata in individui a rischio. Allgrove et al. (165) e Berry et al. (164) hanno anche suggerito che l’aumento dei livelli di NO portava a un RER (quoziente respiratorio) più basso e miglioramenti di intensità moderata. Col loro studio Rishikesh et al. (162) hanno analizzato il legame tra il consumo di cioccolato fondente e il suo possibile potenziale di ridurre la domanda di ossigeno durante l’esercizio fisico di moderata/elevata intensità. Lo studio ha evidenziato che un consumo quotidiano di 40 g di cioccolato fondente in soggetti ben allenati porta ad un incremento di scambio di gas pari al 21% rispetto al test basale, e del 11% rispetto a chi ha consumato cioccolato bianco. L’esito più eclatante si osserva
sul lavoro all’80% della soglia. Il consumo di cioccolato fondente ha portato gli atleti a co- prire una distanza totale del 17% maggiore rispetto al test iniziale. Il 13% in più rispetto a chi ha consumato cioccolato bianco.
Si può concludere che l’ingestione di cioccolato fondente sembra ridurre il costo dell’ossigeno di un esercizio a intensità moderata e può essere un efficace aiuto ergogenico per esercizi di intensità moderata di breve durata. Tuttavia, studi futuri dovranno confer- mare questo effetto. Infine, un consumo regolare di cioccolato fondente sembra essere as- sociato ad una riduzione dei marcatori di stress ossidativo e ad un aumento della mobilizzazione degli acidi grassi liberi dopo l’esercizio (165).
CAFFÈ
Dopo il tè, il caffè è la bevanda più consumata al mondo. In passato, bere caffè era considerata una cattiva abitudine tuttavia nel tempo si sono accumulate numerose evidenze scientifiche a dimostrare che non solo il caffè non fa male (tranne in soggetti con alcune patologie), ma, se consumato in dosi moderate, può addirittura far bene. La sostanza più nota contenuta nel caffè è sicuramente la caffeina ma il caffè contiene anche centinaia di altre molecole biologicamente attive tra cui polisaccaridi, lipidi, composti fenolici (acidi clorogenici, acido caffeico, ferulico e para-cumarico) e minerali (come potassio e magnesio), e la caffeina rende conto solo del 2% del profilo chimico totale del caffè Alcune di queste sostanze si sono dimostrate capaci di potenziare o contrastare gli effetti della caffeina. Per questo motivo bisogna fare molta attenzione a non confondere l’effetto della caffeina con quello del caffè. Sono numerosi gli studi scientifici condotti sulla prestazione sportiva in associazione al consumo di caffeina che hanno dimostrato l’efficacia dell’ingestione di caf- feina per migliorare la prestazione di esercizi di resistenza prolungata (166,167).
Tuttavia, se la caffeina ingerita attraverso il caffè abbia gli stessi effetti è ancora og- getto di dibattito. Tra gli studi attuali, solo due indagini hanno effettivamente usato caffè piuttosto che caffè decaffeinato più caffeina anidra (168,169), con solo uno di questi studi che mostra un effetto ergogenico del caffè (168).
Ciò identifica ulteriormente l’evidenza equivoca che circonda gli effetti sul rendi- mento del caffè. Gli effetti della caffeina sulle prestazioni di durata sono stati recentemente rivisti in una meta-analisi (170) in cui gli autori hanno concluso che dei 12 studi che hanno valutato l’assunzione di caffeina (1-6 mg CAF / kg di peso corporeo), le prestazioni sono migliorate del ~ 3%. In accordo con la letteratura, Adrian et al. (171) ha rilevato un miglio
ramento delle prestazioni dopo l’assunzione di caffeina del 4,9% e del 4,5% rispetto al caffè decaffeinato e al placebo, rispettivamente, ed è interessante notare che lo studio ha anche mostrato che il caffè ha migliorato le prestazioni nella stessa misura della caffeina rispetto al caffè decaffeinato e al placebo, rispettivamente al 4,7% e al 4,3%. Pertanto, questo è il primo studio ad oggi per dimostrare che il caffè consumato 1 ora prima del- l’esercizio, ad una dose elevata di caffeina (5 mg CAF / kg di peso corporeo), è altrettanto efficace della caffeina nel migliorare le prestazioni degli esercizi di resistenza. Nello stesso studio è emerso che, nonostante il caffè producesse effetti ergogenici simili a quelli della caffeina, le risposte metaboliche non erano identiche; mentre con la caffeina si osservava un significativo aumento di glucosio plasmatico, FA e glicerolo, con il caffè la risposta era. Ciò è probabilmente dovuto ai composti del caffè (172) che inducono effetti sottili sull’an- tagonismo dei recettori dell’adenosina (meccanismo ritenuto responsabile degli effetti er- gogenici) in una varietà di tessuti da esercizio e non. In accordo, Graham et al (169) hanno precedentemente dimostrato che il caffè ha provocato una risposta adrenalinica smorzata rispetto alla caffeina a riposo negli esseri umani. Inoltre, è stato dimostrato che l’acido ni- cotinico, un estere di acido grasso presente nel caffè noto per inibire la lipolisi, riduce le concentrazioni di FA in pazienti affetti da dislipidemia (173). Si ritiene inoltre che gli acidi clorogenici migliorino l’assorbimento di glucosio a livello del muscolo scheletrico rispetto alla caffeina (174), alterando anche l’antagonismo dei recettori dell’adenosina. Più recen- temente, è stato trovato che l’acido caffeico stimola il trasporto del glucosio nel muscolo scheletrico, indipendentemente dall’insulina, quando è accompagnato da un aumento in AMPK in vitro (175). Tuttavia, per lo studio di Adrian non è ancora chiaro il motivo per cui i composti nel caffè sembrano modulare la risposta del metabolita, ma non gli effetti er- gogenici del caffè.
BETAINA
La Betaina è una sostanza naturale estratta dalla barbabietola da zucchero (Beta vul- garis), a cui deve il proprio nome, ma è contenuta anche in broccoli, spinaci, cereali e frutti di mare. Consumata da fonti alimentari o attraverso integratori alimentari presenta una biodisponibilità simile. Nota anche come trimetilglicina, la betaina è un noto agente meti- lante; ciò significa che ha la capacità di cedere gruppi metile (CH3) a varie sostanze. In virtù di questa attività, la betaina è stata utilizzata con successo nel trattamento dell’omo- cistinuria e dell’iperomocisteinemia, condizioni associate ad un aumentato rischio cardio- vascolare (176).
Secondo uno studio condotto dal prof. Thomas Swensen, la betaina aumenta le pre-
stazioni atletiche di quasi il sei per cento, se aggiunto ad una bevanda sportiva (177). L’ipo- tesi è che, poiché la betaina è un donatore di metile (178), potrebbe teoricamente aumen- tare i depositi di creatina nella muscolatura e, quindi, migliorare la forza e la potenza nelle performance di breve durata (179). Un’altra valida ipotesi è che la betaina contribuisca al miglioramento della prestazione di sprint agendo come osmolita per mantenere l’idrata- zione e la funzione delle cellule sotto stress, migliorare la sopravvivenza delle cellule mu- scolari e la sintesi proteica e mantenere l’attività della miosina ATPasi durante i periodi di stress (180,182).
Jason et al con i risultati del loro studio hanno fornito un supporto all’ipotesi che l’azione della betaina, in soggetti che praticano esercizio fisico, possa migliorare la com- posizione corporea; si è osservato infatti una riduzione del tessuto adiposo a vantaggio della massa magra (183).
I meccanismi alla base di questi effetti sono poco conosciuti, ma potrebbero coinvol- gere la stimolazione della lipolisi e l’inibizione della lipogenesi attraverso l’espressione ge- nica e la successiva attività di proteine lipolitiche / lipogeniche, la stimolazione del rilascio di IGF-1, l’aumento della sintesi di creatina, l’aumento della sintesi proteica tramite iperi- dratazione intracellulare, nonché effetti psicologici attenuanti le sensazioni di fatica (184).
È importante ricordare però che dosi eccessive di betaina possono provocare disturbi ga- strointestinali; dosi che possono essere raggiunte con integrazione di tipo orale.
GINSENG
Il Ginseng è una sostanza che si caratterizza per la ricca presenza di saponine, in par- ticolare di saponine steroidiche e triterpeniche (ginsenosidi). Il nome scientifico del ginseng è Panax, un termine latino che si può tradurre come “rimedio a tutto”. Il ginseng è infatti conosciuto soprattutto per le sue proprietà adattogene: ha la capacità di aumentare in modo aspecifico la resistenza, la capacità e le difese dell’organismo, stimolandolo a reagire positivamente a situazioni di stress). Pertanto, è particolarmente indicato per coloro che devono affrontare prove impegnative come delle gare sportive. I maggiori studi sul con- sumo del ginseng in ambito sportivo riguardano la riduzione della fatica e il miglioramento delle performance. Ad oggi molti di questi studi hanno riportato l’efficacia degli integratori di ginseng sia sulla riduzione della fatica (185, 186) che sul miglioramento della prestazione fisica (187-189), ma da una revisione e da altre analisi della letteratura emerge la necessità di approfondire questa possibile relazione (190, 191). Mentre sono più controversi i risultati ottenuti tra la relazione del consumo del ginseng ed il miglioramento della performance fisica, lo sono meno quelli legati alla sua influenza sulla capacità di lavoro mentale, che hanno visto un’associazione più che positiva (191). Il panax ginseng inoltre porta notevoli miglioramenti a livello del sistema cardiocircolatorio inducendo la produzione di ossido ni- trico nell’endotelio (192). Altra correlazione positiva è sicuramente l’influenza che il ginseng può avere sul sistema immunitario in particolar modo è stato dimostrato che il ginseng ri- duce la produzione di citochine pro-infiammatorie e, quindi, migliora i sintomi e la pro- gressione degli stati e delle malattie infiammatorie (193). Ulteriori evidenze scientifiche suggeriscono che potrebbe essere utilizzato anche per la sua azione antiossidante (194).
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