«I nostri dati si aggiungono a quelli delle ricerche svolte in precedenza che supportano l’introduzione di misure di sanità pubblica già introdotte in precedenza per la prevenzione di altre malattie, come la fortificazione alimentare per migliorare l’apporto di vitamina D specie in contesti in cui tale carenza vitaminica è particolarmente significativa» conclude Martineau. Ma in un editoriale di commento Alison Avenell, della University of Aberdeen, Regno Unito, e Mark Bolland del Dipartimento di medicina all’Università di Auckland in Nuova Zelanda, sostengono che i risultati dello studio non sono sufficientemente applicabili alla popolazione generale. E concludono: «Riteniamo che questa metanalisi non supporti l’introduzione della supplementazione preventiva con vitamina D, a eccezione degli individui a elevato rischio di osteomalacia, attualmente definita come livelli di 25-idrossivitamina D inferiori a 25 nmol/L».
Bmj. 2017. doi: 10.1136/bmj.i6583
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28202713
Bmj. 2017. doi: 10.1136/bmj.j456
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/2820243