Anche in ambito pediatrico il neologismo “nutraceutico” sintetizza il concetto di come un’alimentazione appropriata e arricchita in elementi biologicamente attivi consenta di ottenere importanti vantaggi salutistici al di là dei normali effetti nutrizionali. Vantaggi che, di fatto, si esplicano, prima ancora che in termini di qualità di vita, nel massimo raggiungimento del potenziale di crescita, inteso in termini sia di migliore espressione fenotipica e funzionale, sia di consolidamento di un patrimonio organico ricco, solido e completo, rappresentativo di una garanzia irrinunciabile per il mantenimento dello stato di salute del bambino. Si possono dunque definire funzionali quegli alimenti che, per propria prerogativa naturale o perché opportunamente addizionati o supplementati, sono in grado di apportare vitamine, sali minerali, fibre e acidi grassi in quantità tali da influenzare in maniera rilevante – e naturalmente favorevole – specifiche funzioni o evitare l’insorgenza di malattie, in particolare croniche. Alla luce di questa considerazione si possono dunque individuare due principali classi di nutraceutici: quelli che concorrono essenzialmente a ottimizzare i processi di accrescimento e dunque di formazione di tessuti e apparati (è noto, per esempio, che la massa ossea si costituisce nelle due prime decadi di vita) e quelli che possiedono una spiccata valenza preventiva, per esempio nei confronti di episodi infettivi o eventi patologici [1]. La distinzione, in realtà, non è sempre così demarcata, in quanto spesse volte i due effetti sono strettamente intercorrelati o in ogni caso non facilmente scindibili. Chiara e netta è invece la classificazione dei componenti in base all’origine, vegetale o animale, come pure la proposta, peraltro non sempre recepita, di differenziare gli alimenti funzionali dai nutraceutici “veri”, isolati e purificati da alimenti e formulati sotto forma di integratori o preparati farmaceutici. Nella presente rassegna, in considerazione della notevole vastità dell’argomento, saranno proposti e brevemente illustrati alcuni nutraceutici selezionati in relazione alla rilevanza pratica e al significato di riferimento paradigmatico circa le potenzialità del loro ruolo.
I nutraceutici e le prospettive della nutrigenomica
Numerosi studi hanno dimostrato come l’ambiente, e in particolare la nutrizione, in epoca precoce e in periodi critici dello sviluppo possano influenzare il pattern di regolazione genica con conseguenze a medio e lungo termine sull’organismo. Un intervento di tipo nutrizionale può programmare (programming) lo sviluppo futuro dell’individuo e il suo stato di salute (outcome). Negli ultimi decenni si è sviluppata una nuova disciplina scientifica, la nutrigenomica, che studia i meccanismi biologici alla base del rapporto tra nutrizione e regolazione del genoma. I meccanismi epigenetici influenzano il modo con cui i geni vengono espressi e forniscono una possibile spiegazione di come fattori ambientali e nutrizionali possano modificare il rischio individuale di sviluppare alcune patologie. L’analisi dei polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) ha permesso di individuare alcune variazioni genetiche legate al rischio dei singoli individui. La presenza di variazioni del materiale genico a carico di un unico nucleotide, SNP appunto, tra gli individui può spiegare l’insorgenza non solo di determinate condizioni patologiche ma anche di differenti risposte ad alimenti introdotti con la dieta. Quest’ultimo aspetto viene approfondito dalla genetica nutrizionale (nutrigenetica), una branca fondamentale della nutrigenomica, che si pone come obiettivo quello di identificare le variazioni genetiche che influenzano le vie della digestione e del metabolismo delle molecole introdotte con la dieta. Da una parte quindi il genoma sarebbe in grado di influenzare e in alcuni casi di limitare la dieta, dall’altra sempre più evidenze dimostrano che i nutrienti e altre componenti presenti nei cibi sarebbero in grado di regolare l’espressione genica. Geni e nutrizione sembrano essere in relazione biunivoca [2].
I candidati all’impiego di nutraceutici
In Italia non si dovrebbe più parlare di problemi legati alla scarsa nutrizione, ma alcun gruppi di soggetti possono essere a rischio di carenze vitaminiche. I migliori candidati all’impiego di alimenti funzionali sono quindi:
- bambini e adolescenti in fase di accrescimento;
- giovani con alimentazione scarsamente variata;
- bambini sottoposti a dieta vegetariana (non assumono alimenti di origine animale e hanno un bilancio negativo per vitamina B12, ferro e calcio);
- bambini con allergie sottoposti a diete da privazione;
- ragazzi che svolgono sistematicamente attività fisica intensa.
Il primo e inimitabile nutraceutico: il latte materno
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha sottolineato l’importanza del latte materno per una crescita ottimale del bambino sia a breve che a lungo termine. A tale proposito è stata evidenziata la minore incidenza di patologie infettive nei bambini allattati al seno, sia nei Paesi industrializzati che nei Paesi non industrializzati. Numerosi studi hanno inoltre evidenziato che l’allattamento al seno è associato ad una minore prevalenza di sovrappeso e obesità, sia durante l’infanzia che l’adolescenza, a un migliore quoziente intellettivo e perfino al raggiungimento di maggiori traguardi professionali in età adulta. Il latte materno, grazie alla ricchezza dei suoi componenti nutrizionali e funzionali, costituisce un vero e proprio “sistema biologico” che, secondo le attuali conoscenze, si associa non solo a migliori parametri di crescita, ma anche a un migliore sviluppo neuro-comportamentale e alla prevenzione di diverse patologie acute e croniche [3]. Agendo in un periodo critico dello sviluppo e modificando l’outcome di un individuo può essere infatti considerato, in alcuni casi, un fattore epigenetico in grado di in fluenzare positivamente l’espressione genica e quindi il fenotipo individuale. Anche per patologie acute multifattoriali, l’allattamento materno può essere considerato un determinante epigenetico positivo. I fattori di difesa presenti nel latte materno possono essere suddivisi in molecole ad azione antinfettiva diretta (per esempio alcuni lipidi lattoferrina, glutamina, immunoglobuline), promotori della crescita (per esempio fattore bifidogeno), cellule (neutrofili, macrofagi, linfociti) e sostanze ad azione antinfiammatoria (fattori di crescita epiteliale, prostaglandine, attivatori piastrinici, tocoferoli, caroteni e altri antiossidanti) [5]. Il colostro è particolarmente ricco in proteine (le prime due gocce, per esempio, contengono ben 2 grammi di lattoferrina per decilitro) in grado di resistere alla digestione. È bene in ogni caso ricordare che sia gli oligosaccaridi sia i lipidi quali acido arachidonico e DHA esplicherebbero un’azione protettiva nei confronti dell’enterocolite necrotizzante. Il latte materno è ricco anche di sostanze ad azione immunomodulatrice (interferone alfa, interleuchine, citochine, nucleotidi), che possono contribuire alla prevenzione di malattie degenerative nel lungo termine. Il microbiota intestinale del lattante può essere influenzato da fattori ambientali, tra cui la nutrizione, che possono determinare conseguenze a breve, medio e lungo termine sull’individuo e sul suo stato di salute [6]. I batteri probiotici a livello del colon sono responsabili della fermentazione di composti alimentari, in particolare fibre, in seguito alla quale si ha produzione di acidi grassi a corta catena (SCFA) tra cui acido acetico, acido propionico e acido butirrico. Il butirrato è il composto che più di altri ha molteplici effetti benefici sull’intestino e sui tessuti periferici; localmente il butirrato migliora l’integrità della barriera epiteliale intestinale modulando l’espressione di alcune proteine giunzionali come la cingulina e l’occludina; localmente e sistemicamente il butirrato può ridurre lo stato infiammatorio e regolare la risposta immunitaria.
Il latte materno è più di un alimento, più di un tessuto: è un vero e proprio “sistema biologico”, nel quale sono presenti enzimi (PAF, lisozima), fattori di crescita (EGF), citochine e interleuchine (IL-4, IL-5, IL-6, IL-10, TNFá), immunoglobuline (IgA secretorie), prostaglandine (PGE2, PGF2á) cellule e molecole bioattive [4]. I fattori antinfettivi:
– agiscono in diverse sedi anatomiche e mucosali;
– sono spesso caratterizzati da effetto sinergico;
– esplicano un’azione protettiva senza indurre infiammazione;
– la loro produzione decresce con la durata dell’allattamento al seno, parallelamente all’aumento della sintesi degli stessi fattori da parte del neonato.
Probiotici e prebiotici
Probiotici (ovvero i microrganismi vivi dotati di effetti benefici ad effetti benefici sull’ospite) e prebiotici (ovvero il substrato del probiotico indigeribile dall’uomo) sono ormai entrati a pieno titolo nel lessico sia clinico che scientifico. Il principale effetto riconosciuto a probiotici e prebiotici è quello della modulazione della flora intestinale. Bifidobatteri e Lattobacilli rappresentano i principali ceppi benefici per l’organismo in qualità di probiotici. Lactobacillus GG, Lacrobacillus reuteri, Lattobacillus acidophilus, Bifidobacterium spp. e Saccaromyces boulardii sono i ceppi di cui possediamo documentati effetti positivi sull’organismo. L’attività biologica dei probiotici si esplica principalmente attraverso la loro adesione agli enterociti che inibirebbe il possibile attaccamento da parte dei ceppi enteropatogeni. Anche la produzione di batteriocine e acidi grassi a corta catena (soprattutto l’acido butirrico) potrebbe determinare una inibizione della replicazione dei patogeni. I probiotici sono stati impiegati con successo sia nella terapia di forme gastroenteriche, che nella loro prevenzione. Alcuni ceppi probiotici sembrano in grado anche di modificare processi infiammatori di natura allergica, secondo le osservazioni di studi anche a medio-termine (protraentesi cioè oltre il periodo di utilizzo). Il prebiotico (costituito in genere da oligosaccaridi non digeribili) è un ingrediente alimentare che influisce positivamente sull’organismo stimolando selettivamente la crescita e l’attività di ceppi batterici già presenti nell’organismo, in particolare nel colon. Scopo dell’utilizzo di prebiotici è quello di modificare la composizione della microflora commensale stimolando la colonizzazione da parte di commensali di accertata azione vantaggiosa nei confronti dell’organismo. Gli effetti verificati a tutt’oggi consistono nell’incremento dei Bifidobatteri e Lattobacilli, e nella diminuzione di Escherichia coli e Clostridi. Lattulosio, frutto-oligosaccaridi (FOS, di derivazione vegetale) e galatto-oligosaccaridi (GOS, di sintesi) sono i principali prebiotici di utilizzo su base industriale in grado di influenzare in maniera selettiva e vantaggiosa la microflora intestinale. Un altro razionale di impiego dei probiotici è la modulazione della della risposta immunitaria [7]: agiscono infatti sul sistema linfatico intestinale (GALT) dei neonati favorendo lo switch Th2/Th1 e contribuendo in tal modo allo sviluppo della tolleranza e, come dimostrato dalle evidenze relative ad alcuni ceppi, a contrastare la reattività allergica alla base di patologie respiratorie [8] e cutanee [9] (in questo caso anche sulla base di una supplementazione in gravidanza [10]), per quanto la comunità scientifica non esprima parere unanime circa un possibile ruolo terapeutico e preventivo nel contesto della dermatite atopica [11].
L’ambito di impiego dei probiotici più noto in pediatria è senza dubbio rappresentato dalle infezioni intestinali. Proprio nella la diarrea acuta si sono ottenuti elevati livello di evidenza, al punto che hanno assunto un ruolo terapeutico di primaria rilevanza. Benché nei Paesi occidentali la gastroenterite acuta infettiva abbia perso gran parte della sua rilevanza epidemiologica e sociale, essa rimane tuttora una causa significativa di morbilità, soprattutto nei primi due anni di vita. Basti pensare, a titolo di esempio, che negli Stati Uniti quasi tutti i bambini vengono infettati dal rotavirus entro i 2-3 anni d’età. Diverse evidenze suggeriscono che la somministrazione di Lactobacillus GG riduce la durata e la gravità della gastroenterite acuta e ne diminuisce il rischio di decorso prolungato, con particolare efficacia nelle diarree virali [12]. Nella fattispecie è stato dimostrato che LGG riduce significativamente la durata della diarrea e la durata dell’escrezione del rotavirus, stimolando la risposta immune locale specifica.
Vitamina D
La vitamina D promuove l’assorbimento del calcio dall’intestino e il suo successivo deposito nel tessuto osseo e per questa ragione è conosciuta e impiegata per la profilassi del rachitismo. Oltre a essere una sostanza essenziale, da apportare obbligatoriamente con l’alimentazione, però, essa può essere definita un ormone a tutti gli effetti: un componente, cioè, in grado di svolgere un intervento attivo, per esempio nel modulare alcuni processi del metabolismo e della replicazione cellulare. In considerazione delle molteplici funzioni della vitamina D, dell’importanza di assicurare al bambino un apporto ottimale e della necessità di indicazioni pratiche, un gruppo di lavoro multidisciplinare congiunto, a cui hanno partecipato Società Italiana di Pediatria (SIP), la Società italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) e la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), ha condotto una revisione critica della letteratura scientifica [13], ha identificato i quesiti di maggiore rilevanza e ha raccolto i pareri degli esperti: ne è scaturito un documento le cui raccomandazioni possono trovare riscontri applicativi anche in età adulta. Nell’ultimo decennio si sono scoperti effetti della vitamina D extrascheletrici, ossia non direttamente correlati al metabolismo del calcio. È stato infatti documentato che, tra le sue numerose azioni, la vitamina D potenzia la risposta immunitaria dell’organismo: si è infatti osservato che spesso i bambini esposti a malattie ricorrenti delle vie aeree presentano livelli non ottimali di vitamina D (dosabile nel sangue) e che la correzione del deficit si traduce in un miglioramento dello stato di salute e in una riduzione del numero di episodi infettivi. Come suggerisce il documento SIPPS, la profilassi con vitamina D è raccomandata a tutti i bambini indipendentemente dal tipo di allattamento. Il latte materno, infatti, contiene quantità di vitamina D insufficienti per la prevenzione del deficit di vitamina D, mentre un bambino alimentato con latte artificiale è in grado di coprire il fabbisogno se è in grado di assumere un litro di latte formulato quando raggiunge i 5-6 kg di peso: in altre parole alcuni mesi dopo la nascita, nell’epoca cui ha spesso inizio lo svezzamento e dunque si riduce l’apporto di latte. La supplementazione giornaliera con vitamina D è consigliata sin dalla nascita per l’intero primo anno di vita, con la somministrazione di 400 UI, che possono salire a 1000 in presenza di fattori di rischio di deficit. Nel bambino e nell’adolescente obeso si consiglia la profilassi con vitamina D alla dose di 1000-1500 UI/die durante il periodo compreso tra il termine dell’autunno e l’inizio della primavera (novembre-aprile). Nel soggetto obeso, infatti, per garantire uno stato vitaminico D adeguato sono necessari apporti di 2-3 volte superiori rispetto ai fabbisogni consigliati per l’età. Alcuni dati recenti sottolineano come la supplementazione con dosi elevate di vitamina D (tra 500UI/die e 2000 UI/die) possa ridurre anche il rischio di riacutizzazioni d’asma [14].
Yogurt
Il bambino potrebbe, sì, fare anche a meno del latte di per sé, ma non dei suoi preziosi nutrienti (a meno di una complessa e impegnativa sorveglianza e integrazione dietetica). A partire dal calcio, il cui fabbisogno giornaliero sale da 260 mg nel primo anno di vita a 700 mg nella fascia 1-3 anni, a 900 mg tra i 7 e i 10 anni e a 1300 mg nell’adolescenza. Proprio per questa ragione, se non impossibile, è molto difficile (e controproducente) abolire del tutto il latte [15]. Una questione diversa, ma non meno rilevante, è quella legata alla necessità imposta da problematiche quali l’allergia alle proteine del latte, che nei primi mesi può essere ovviata con il ricorso a formule specifiche, e l’intolleranza al lattosio. Quest’ultima tende a manifestarsi dopo lo svezzamento e ricorda che l’uomo rappresenta un’eccezione nel mondo animale, in cui non è affatto scontata la possibilità di assumere latte di una specie diversa dalla propria. Lo yogurt è un alimento bilanciato, di facile “gestione” da parte della mamma per la sua versatilità di impiego e può essere definito un degno sostituto del latte. Oltre alla sua valenza nei bambini e più in generale negli individui con intolleranza al lattosio è opportuno sottolineare che lo yogurt è direttamente coinvolto anche nella modulazione dell’attività peristaltica ed esplica un effetto anticariogeno, probabilmente mediato dalla riduzione della colonizzazione da parte di batteri patogeni, quale Streptococcus mutans [16], che si estrinseca in una minore probabilità sia di erosione dello smalto sia di progressione di eventuali lesioni cariose già esistenti.
Luteina
Le attività ascritte alla luteina sono molteplici: inibizione della perossidazione dei lipidi di membrana, in modo particolare per i fotorecettori, in quanto molto ricchi di acidi grassi polinsaturi; azione antiossidante diretta; capacità di assorbire la luce blu; attività antinfiammatoria, immunomodulante e antitumorale [17]. La presenza di luteina nella macula protegge la retina dal danno indotto dalla luce e dalle specie reattive dell’ossigeno, in quanto la luteina assorbe i raggi della lunghezza d’onda blu e agisce come scavenger dei radicali liberi attraverso il fenomeno della neutralizzazione (effetto quenching). L’ischemia retinica è una caratteristica comune della retinopatia diabetica e della retinopatia del prematuro (ROP). In entrambe le malattie oculari, inizialmente si verifica una compromissione del normale apporto di sangue alla retina cui segue formazione di nuovi vasi sanguigni anomali con ulteriore aggravamento della malattia. In vari modelli sperimentali è stato riscontrato che la supplementazione con luteina diminuisce il fattore di crescita vascolare endoteliale, blocca l’apoptosi dei fotorecettori indotta da paraquat e perossido di idrogeno, promuove la sopravvivenza e la differenziazione dei fotorecettori stessi e modula le risposte infiammatorie nelle cellule dell’epitelio retinico a seguito di foto-ossidazione [18]. Nel neonato, soprattutto se pretermine, l’assottigliamento della retina e l’ipopigmentazione della macula sono reperti comuni. La luteina incrementa la densità del pigmento maculare e svolge un’azione di protezione con due meccanismi sinergici: l’assorbimento della luce blu e il già citato effetto quenching. Studi condotti su neonati hanno dimostrato che i livelli di carotenoidi nei primi quattro/sei mesi di vita sono molto bassi. Ciò è da ricondurre al fatto che la dieta del neonato è esclusivamente a base di latte e priva di elementi solidi (come verdura a foglia larga e verde), uniche fonti di questo nutriente. Tuttavia i bambini allattati al seno hanno livelli plasmatici di luteina più elevati dei bambini nutriti con latte artificiale, in quanto le diverse formulazioni di latte attualmente in commercio non risultano arricchite con luteina. Esistono pochi studi in letteratura circa gli effetti della supplementazione con luteina nei neonati, con risultati non definitivi. Va precisato che nel neonato pretermine, utilizzata a basso dosaggio è ben tollerata, ma ha scarsi effetti sull’incidenza della ROP.
Nutraceutici immunomodulatori
Resveratrolo
Il resveratrolo (3,4,5-tri-idrossi-trans-stilbene) è un composto polifenolico presente in varie specie vegetali, alcune delle quali entrano a far parte della dieta umana: more di gelso, noccioline e uva/vino. Questa molecola viene classificata come fitoalexina La sorgente principale risulta essere la Vitis vinifera, la vite comune, che ne può contenere (nella buccia) da 50 a 100 μg/g. Esso esplica una serie di attività: blocca la replicazione di virus; inibisce una serie di mediatori dell’infiammazione; stimola la funzione immunitaria ed è un potente antiossidante. In particolare, il resveratrolo esplica la sua azione antinfiammatoria a diversi livelli: inibisce l’attività del fattore nucleare NF-kB, responsabile della sintesi di alcune proteine pro-infiammatorie; riduce la biosintesi di prostaglandine e inibisce la produzione di TNF-a. I meccanismi d’azione antivirale vanno dall’inibizione dell’attività della proteinchinasi C (PkC) al bloccaggio della traslocazione nucleo-citoplasma del complesso ribonucleoproteico virale [19]. Per l’attività antiossidante, alcuni studi hanno evidenziato che il resveratrolo inibisce la perossidazione dei lipidi e inibisce lo stress ossidativo indotto in vitro in cellule mononucleate da sangue umano sottoposte a stress ossidativo. Il resveratrolo ha una letteratura numericamente importante sulle malattie dell’anziano e anche sulla patologia tumorale.
Lattoferrina
La lattoferrina è una glicoproteina basica, appartiene alla famiglia delle transferrine, composta da 692 aminoacidi. La Lattoferrina è presente nel secreto di numerose ghiandole esocrine (latte, saliva, lacrime, muco bronchiale, fluidi gastrointestinali in particolare latte, …). La lattoferrina sierica proviene dai granuli dei granulociti neutrofili: durante i processi infiammatori la quota liberata sottrae il ferro legato alla transferrina. La Lattoferrina è in grado di legare il ferro e possiede proprietà antivirali, antibatteriche e immunomodulanti [20].
Zinco
Lo zinco è un minerale essenziale, presente nell’organismo in quantità superiore a quella di qualsiasi altro oligoelemento al di fuori del ferro. Lo zinco assolve svariate funzioni: è essenziale per il funzionamento di molti enzimi; è necessario per il funzionamento di alcuni mediatori cellulari; contribuisce alla stabilizzazione della membrana cellulare (citoscheletro); regola l’apoptosi da parte dei linfociti in vitro e in vivo. Il ruolo svolto dallo zinco nell’integrità del sistema immunitario è ben conosciuto e si possono ipotizzare interventi di salute quali supplementazione di zinco per prevenire l’alterazione del sistema immunitario e per migliorare la resistenza alle infezioni [21].
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