La vitiligine, un disordine della pigmentazione cutanea, fa parte del vasto gruppo delle patologie autoimmuni, malattie per le quali la strategia nutrizionale è presa sempre più in considerazione dalla ricerca scientifica. Accanto a studi di valutazione sul ruolo della dieta nella prevenzione o gestione dei pazienti affetti da vitiligine, si moltiplicano pubblicazioni cartacee e web in cui vengono consigliati integratori e abitudini alimentari privi di qualunque logica oltre che fondamento scientifico. Il lavoro appena pubblicato su Dermatologis clinics si prefigge di fare ordine e discriminare tra le informazioni già raccolte in ambito accademico. La maggior parte degli integratori è utile associata alla terapia farmacologica grazie all’attività antiossidante e immunomodulante. È il caso di vitamina B12 e acido folico che hanno dimostrato di favorire la ripigmentazione sia da soli sia associati alla fototerapia, o dello zinco che può offrire un leggero vantaggio quando combinato con steroidi topici. Gli studi su animali suggeriscono inoltre che molti di questi supplementi possono avere qualche efficacia come monoterapia e ne sono un esempio il tè verde, in cui l’Egcg riduce l’infiammazione e la formazione di immunocomplessi, e la piperina, il principale alcaloide del pepe nero, che ha già dimostrato di stimolare la replicazione dei melanociti quando non vi è esposizione alle radiazioni UV e che in modelli animali con vitiligine ha mostrato potenzialità. Il lavoro prende in esame oltre 10 composti i cui studi sono promettenti e meritano un ulteriore approfondimento sotto forma di studi clinici, ben progettati e grandi.
Grimes PE, Nashawati R. Dermatol Clin. 2017 Apr;35(2):235-243.