Un farmaco, ai fini dell’uso clinico-terapeutico, è sottoposto, come noto, a un rigido percorso di validazione, prima dell’autorizzazione all’immissione in commercio. Lo scopo è quello di valutarne l’efficacia clinica, ma anche la sicurezza d’uso, per poter determinare il rapporto rischio/beneficio associato alla sua somministrazione. Questo percorso, che può durare molti anni, comprende una fase di sperimentazione pre-clinica con studi in vitro, che permettono di definire un potenziale effetto terapeutico ed eventualmente identificare i possibili meccanismi d’azione, e studi in vivo in modelli animali appropriati, seguiti da una lunga fase di sperimentazione clinica sull’uomo. Sulla base degli attuali aspetti regolatori (in Italia, in Europa e in altri Paesi), la complessità sperimentale associata allo sviluppo di un farmaco è spesso presente solo in minima parte nel processo di sviluppo dei nutraceutici. Questi, rientrando nella categoria degli integratori alimentari, vengono immessi in commercio dopo notifica al Ministero della Salute e sono utilizzati anche in assenza di studi clinici che ne possano comprovare l’efficacia. Spesso, le proprietà salutistiche dei nutraceutici (e in generale degli integratori alimentari) vengono talora dedotte da studi di piccola entità o non controllati. Data l’ampia varietà di metodi e protocolli sperimentali e clinici utilizzati durante la sperimentazione di un farmaco, è razionale pensare di applicarne alcuni tra i più validi anche per lo sviluppo di un nutraceutico.
Come nasce un farmaco (e come dovrebbe nascere un nutraceutico)?
1. Identificazione di una molecola con potenziale attività farmacologica
2. Sperimentazione pre-clinica per definire tossicità e meccanismi d’azione:
– in vitro
– in modelli animali
3. Sperimentazione clinica (sull’uomo):
– fase 1 (in volontari sani per definire tollerabilità, farmacocinetica, farmacodinamica)
– fase 2 (su un numero limitato di pazienti per definire attività ed efficacia)
– fase 3 (su un numero elevato di pazienti per definire sicurezza ed efficacia)
4. Farmacovigilanza post-marketing
In questo contesto, appare ragionevole condurre una fase di ricerca pre-clinica, in vitro e su modelli animali, che permettano di studiare i meccanismi d’azione molecolare e cellulare, l’assorbimento, la biodistribuzione, il metabolismo e l’escrezione del composto nutraceutico, la tossicità acuta e cronica, la genotossicità e la tossicità della riproduzione e dello sviluppo e le possibili interazioni cinetiche e dinamiche. Successivamente, occorrono studi clinici condotti secondo le norme della buona pratica clinica (Good Clinical Practice), previo parere positivo del comitato etico di riferimento, e con la valutazione di outcome clinici adeguati alle funzioni fisiologiche che si pensa di modulare o alle condizioni di rischio patologico su cui si pensa di intervenire con il nutraceutico oggetto di interesse. Questi studi clinici vanno condotti su un numero adeguato (in termini statistici) di soggetti con caratteristiche appropriate per la valutazione dell’efficacia del composto indagato e con durata dell’intervento tale da permettere di definire non solo l’efficacia salutistica, ma anche, e sopra ttutto, la sicurezza, la possibilità di interazioni cinetiche e/o dinamiche con altri nutrienti o farmaci e, non da ultimo, l’incidenza di eventuali eventi avversi.
Studi clinici e nutraceutici: aspetti attuali e prospettive future
La definizione dell’efficacia salutistica e della sicurezza di un nutraceutico passa necessariamente attraverso studi clinici e traslazionali/pre-clinici condotti secondo precise regole. Con la Direttiva 2001/20/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 4 aprile 2001 vengono definite regole sulla cui base possono essere condotte sperimentazioni cliniche. Al riguardo, ormai da alcuni anni, anche in ambito nutraceutico vari studi clinici di intervento presentano un disegno sperimentale di buona qualità, con uno schema in doppio cieco, randomizzato e contro placebo [1-5]. La pubblicazione di studi clinici di qualità rappresenta quindi un passaggio fondamentale nella definizione della possibile attività salutistica di un nutraceutico; tuttavia, per evitare la pubblicazione selettiva di studi con esito positivo, che può portare a conclusioni errate riguardo le proprietà di una sostanza, sarebbe opportuna la registrazione dello studio clinico su un registro pubblico, come avviene per i farmaci, in modo che sia possibile verificare l’esistenza anche di studi a sfavore. L’International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE) raccomanda che tutte le riviste scientifiche richiedano, come condizione per la pubblicazione, la registrazione dello studio clinico prima o al momento del reclutamento del primo paziente (http://www.icmje.org/recommendations/ browse/publishing-and-editorial-issues/clinical-trial-registration.html).
Esistono al riguardo vari registri pubblici (ClinicalTrials.gov, ClinicalTrialsRegister.eu, www.controlled-trials.com) che forniscono informazioni riguardanti il protocollo dello studio, lo sponsor, il composto valutato e lo stato dello studio, così come informazioni riguardanti i soggetti reclutati, le loro caratteristiche di inclusione ed esclusione, gli end point e gli eventi avversi. La presenza di questi registri ha aumentato l’integrità dei risultati riportati in letteratura riducendo di fatto il publication bias (o errore sistematico di pubblicazione). Tuttavia, ci sono ancora molte riviste che pubblicano studi clinici su nutraceutici o functional foods senza richiedere la registrazione dello studio clinico come prerequisito per la pubblicazione. D’altra parte, è anche vero che non tutti gli studi clinici che vengono registrati hanno come esito finale una pubblicazione, e questo suggerisce che la registrazione in sé non è sufficiente a garantire la trasparenza dello studio stesso. Ma d’altra parte, poiché la European Food Safety Agency (EFSA) per poter dare un parere su un’indicazione salutistica richiede prove scientifiche che possano confermare tale effetto, negli ultimi anni si è posto il problema, da parte delle aziende produttrici di nutraceutici, di allocare un adeguato investimento economico per condurre studi clinici di qualità che abbiano le caratteristiche richieste, tenendo conto degli standard scientifici completamente modificati rispetto a 10-15 anni fa, anche per quanto riguarda i prodotti di origine naturale, quali i nutraceutici stessi. La natura stessa del nutraceutico, che a volte si presenta come fitocomplesso o comunque miscela naturale di varie sostanze, lo rende molto diverso dal farmaco. Infatti, gli effetti di un nutraceutico sono di solito inferiori rispetto a quelli determinati da un farmaco e possono essere influenzati in modo più marcato da numerosi fattori, quali le abitudini alimentari, il fumo e altri fattori. Questo rende, per certi versi, ancora più complicata la dimostrazione scientifica di un effetto positivo sulla salute e richiede, quindi, un maggior rigore nella definizione e conduzione dello studio clinico. Naturalmente, la definizione del quesito clinico di fondo (primary question) a cui deve rispondere lo studio clinico è fondamentale per il successo dello studio stesso. Ciò implica una conoscenza già approfondita dei meccanismi d’azione a livello molecolare e cellulare, del metabolismo del composto, dei possibili target, delle dosi efficaci e della possibile durata del trattamento determinati dagli studi pre-clinici. Va inoltre tenuto conto che uno studio clinico ha delle implicazioni etiche che impongono la corretta scelta dei possibili soggetti da reclutare e la definizione di end point coerenti con il tipo di sostanza oggetto di studio. La scelta errata della popolazione da studiare o degli end point da valutare può portare al fallimento dello studio clinico. Un singolo studio clinico chiaramente non può dare risposte definitive nella valutazione dell’attività di un nutraceutico, né in termini di efficacia, né in termini di sicurezza. Quindi, per dare fondatezza scientifica all’utilizzo di un nutraceutico da solo o in combinazione con altri nutraceutici o come add-on therapy (o trattamento aggiuntivo) con farmaci, è importante poter condurre delle rigorose metanalisi che, combinando i risultati di studi clinici indipendenti, possano dare una stima complessiva dell’effetto del trattamento, che metta in evidenza eventuali aspetti critici, quali l’eterogeneità degli studi inclusi (ad es. soggetti reclutati, misure di outcome, ecc.) e che pesi il valore di ogni singolo studio nella determinazione dell’effetto globale riportato [6-8].
EFSA e health claims: valore e criticità
L’EFSA, nata nel 2002 per fornire consulenza scientifica indipendente sul tema delle norme che regolamentano la sicurezza alimentare in Europa, è un organismo incaricato della valutazione del rischio e dell’elaborazione di pareri basati sulle informazioni scientifiche disponibili per fornire una solida base all’attività legislativa europea e dei singoli Stati membri nel campo della sicurezza alimentare. Il Regolamento (CE) N. 1924/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 stabilisce regole che garantiscono l’uso di indicazioni nutrizionali e sulla salute presenti sulle etichette degli alimenti che abbiano fondatezza scientifica, allo scopo di tutelare il consumatore. L’esistenza di regole europee stabilite permette una tutela consapevole della salute del consumatore, in quanto non consente di riportare in etichetta effetti non veritieri. Infatti il Regolamento stabilisce che un’indicazione nutrizionale o salutistica non può essere falsa, ambigua o fuorviante, né generare nel consumatore dubbi sulla sicurezza o sull’adeguatezza nutrizionale di altri alimenti, o incoraggiare o tollerare un consumo eccessivo di un determinato alimento; tale indicazione non può affermare, suggerire o sottintendere che una dieta varia ed equilibrata non possa fornire quantità adeguate di tutte le sostanze nutritive, né fare riferimento a variazioni delle funzioni corporee che potrebbero suscitare o sfruttare timori nel consumatore. Naturalmente, le indicazioni sulla salute (health claims) consentite devono essere corredate di tutte le condizioni necessarie per il loro impiego e devono includere anche eventuali restrizioni. Esistono anche delle restrizioni sull’impiego di alcune indicazioni sulla salute, comprese quelle che suggeriscono che la salute potrebbe essere compromessa dal mancato consumo dell’alimento, o che facciano riferimento a percentuale o entità di perdita di peso o infine che riferiscano il parere di un singolo medico o associazione. Il successivo Regolamento (UE) N. 432/2012 della Commissione Europea del 16 maggio 2012 ha definito un elenco di indicazioni sulla salute consentite e il registro europeo delle indicazioni nutrizionali e salutistiche (EU Register of Nutrition and Health Claims) sugli alimenti riporta tutte le indicazioni salutistiche autorizzate, le condizioni e le restrizioni d’uso, così come le indicazioni salutistiche non autorizzate e le ragioni per cui non sono applicabili. Esiste una procedura specifica (Regolamento 1924/2006) per richiedere l’autorizzazione di utilizzo di indicazione salutistica, che prevede la trasmissione della domanda alla competente autorità nazionale, la quale a sua volta informa l’EFSA; quest’ultima, per formulare il parere scientifico valuta se la richiesta per l’indicazione salutistica abbia fondamento scientifico e soddisfi tutti i criteri inclusi nel regolamento. Recentemente è stato pubblicato un documento guida che chiarisce quali sono i principi scientifici generali in base a cui l’EFSA valuta le richieste di health claims e indica quali sono gli elementi necessari per la compilazione delle richieste di approvazione [9].
Necessità di valide linee guida, basate su evidenze, in nutraceutica
Così come vengono definite linee guida per la diagnosi e la terapia di patologie specifiche, sulla base delle evidenze scientifiche, allo stesso modo è opportuno che vengano definite linee guida anche per i nutraceutici, poste magari all’interno dei precedenti documenti. Ad esempio, le più recenti linee guida per il trattamento delle dislipidemie riportano una serie di trattamenti farmacologici disponibili per i vari target lipidici con comprovata efficacia terapeutica stabilita da numerosi studi clinici [10]. Tra le varie opzioni, vengono anche indicati gli acidi grassi omega-3 (acido eicosapentaenoico [EPA] e acido docosaesaenoico [DHA]), componenti dell’olio di pesce e utilizzati per la riduzione dei livelli plasmatici di trigliceridi, con indicazione dei vari studi clinici che hanno verificato l’effetto ipotrigliceridemizzante, e vengono definite la sicurezza di tali composti e le eventuali possibili interazioni con altri farmaci [10]. Allo stesso modo, viene indicata la possibilità di utilizzare integratori alimentari e functional foods, come ad esempio fitosteroli, proteine della soia, fibre alimentari, policosanoli e estratto di riso rosso fermentato, che hanno un’efficacia scientificamente provata nella modulazione dei livelli plasmatici di lipidi, e viene suggerito che possano essere utilizzati come alternativa o in aggiunta a farmaci ipolipidemizzanti [10].
Aspetti controversi e prospettive future
Così come la fase di sviluppo di un farmaco prima della sua approvazione prevede un lungo processo di studio con requisiti ben definiti, anche la successiva fase di utilizzo è sottoposta a una rigorosa farmacovigilanza (Fase 4, sorveglianza post-marketing), cioè a un processo che permette di valutare, una volta sul mercato, la sicurezza dei farmaci per poter determinare se il rapporto rischio/beneficio rimane favorevole per la popolazione. Questa fase può inoltre identificare reazioni avverse non evidenziate durante la fase di sperimentazione clinica (ad es., effetti avversi che richiedono anni per la loro comparsa) e quindi permette di valutare la sicurezza e l’efficacia a lungo termine. Inoltre, i farmaci vengono sottoposti a sperimentazioni cliniche a lungo termine che includono anche la valutazione della capacità del farmaco di ridurre i cosiddetti hard end point, ossia quegli eventi patologici ben definiti che possono essere misurati in modo oggettivo, come gli eventi cardiovascolari.
Poiché un nutraceutico viene proposto in quanto ha o dovrebbe avere effetti benefici sulla salute, è importante che venga gestito il più possibile come un farmaco, anche in termini di standard produttivi e di sorveglianza post-marketing. Infatti, la presenza sul mercato di un così elevato numero di prodotti definibili in vario modo “nutraceutici”, che possono contenere composti di diversa origine o provenienti da Paesi dove mancano adeguati controlli di produzione, così come la possibilità di acquistare tali prodotti online, rende più complicato il controllo della qualità e, come conseguenza, della sicurezza di tali sostanze. Inoltre, la mancanza di obbligo di studi clinici che ne valutino efficacia e sicurezza prima dell’immissione sul mercato non permette di valutare l’eventuale tossicità di una esposizione a lungo termine. Proprio per ovviare a queste problematiche, sarebbe necessaria una qualche forma di “nutraceuticovigilanza”, che consenta di verificare, secondo gli stessi parametri definiti per i farmaci, la sicurezza e gli eventuali effetti a lungo termine dell’assunzione di un determinato nutraceutico, in termini di riduzione degli eventi clinici maggiori e di incidenza di effetti avversi. Infine, una nuova possibilità, non ancora completamente esplorata dagli studi clinici, è quella di associare il nutraceutico al farmaco come add-on therapy. Infatti, la maggior parte delle patologie ha origine multifattoriale e spesso non viene affrontata adeguatamente con un singolo farmaco, ma con una strategia terapeutica che prevede l’utilizzo di più farmaci che possano intervenire su diversi aspetti della patologia stessa. In quest’area si inserisce il concetto di associare farmaci e integratori alimentari ad azione nutraceutica ai fini di un migliore successo nel trattamento. La categoria di persone che può rientrare in questo discorso comprende soggetti che potrebbero assumere nutraceutici come add-on alla loro terapia, per esempio nel caso in cui non riescano, con il solo farmaco, a raggiungere l’obiettivo terapeutico [11] o in caso di intolleranza al farmaco.
Quindi lo scopo del nutraceutico non è in questo caso quello di sostituire il farmaco, ma di integrare o migliorare l’effetto del farmaco stesso. E’ per esempio il caso della berberina o degli acidi grassi polinsaturi omega-3, che possono essere somministrati in aggiunta a terapie farmacologiche. Le statine riducono i livelli di colesterolo plasmatico anche attraverso l’aumento dell’espressione del recettore LDL (LDLR) epatico, ma aumentano anche l’espressione di proprotein convertase subtilisin/kexin type 9 (PCSK9), che ne è un regolatore negativo. Ciò ha come effetto finale un’attività terapeutica della statina inferiore a quella attesa [12]. La berberina, un alcaloide ad azione nutraceutica, oltre ad aumentare l’espressione di LDLR, riduce anche quella di PCSK9 [13]. Per questo, la berberina, se combinata con una statina, potrebbe bilanciarne l’effetto su PCSK9 [14], portando così ad un’aumentata attività farmacologica [15] e/o a minori effetto avversi del farmaco [16] (Figura 1).
Gli acidi grassi omega-3 hanno effetti positivi su diversi fattori di rischio cardiovascolare, inclusi i livelli plasmatici di trigliceridi, i mediatori dell’infiammazione e la pressione arteriosa [17-19]. Considerando i risultati ottenuti in numerosi studi clinici, l’EFSA ha approvato alcune indicazioni salutistiche consentite relative agli omega-3 (Regolamento (UE) n. 432/2012 della Commissione del 16 maggio 2012; Regolamento UE n. 536/2013 della Commissione dell’11 giugno 2013). Fra queste Opinions vi sono anche le seguenti: a) “EPA e DHA contribuiscono alla normale funzione cardiaca” [20]; b) “DHA e EPA contribuiscono al mantenimento di livelli normali di trigliceridi nel sangue” [20]; c) “DHA ed EPA contribuiscono al mantenimento di una normale pressione sanguigna” [21]. Tutte le indicazioni consentite devono essere accompagnate da informazioni relative alle dosi necessarie per ottenere l’effetto riportato. Spesso gli acidi grassi omega- 3 vengono somministrati in combinazione con altri farmaci come add-on therapy e questo richiede studi clinici disegnati ad hoc che verifichino l’assenza di importanti interazioni nutraceutico-farmaco e valutino la reale efficacia di questa possibile combinazione in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari.
Conclusioni
La disponibilità di studi clinici ben disegnati e ben condotti, nonché registrati, anche in ambito nutraceutico rappresenta ormai un aspetto importante ai fini sia della validazione dei singoli prodotti, sia in generale della promozione della qualità globale in questo ambito. Questo approccio richiederà un nuovo e notevole sforzo economico e organizzativo da parte delle aziende e dei ricercatori e probabilmente potrà anche richiedere nuove norme in ambito regolatorio. Tutto ciò rappresenta senz’altro un valore per tutti i protagonisti della nutraceutica: la persona con richiesta di salute in senso lato, i professionisti sanitari (farmacista, medico di medicina generale, medico specialista), aziende produttrici e autorità regolatorie
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of normal blood glucose concentrations (ID 566), maintenance of normal blood pressure (ID 506, 516, 703, 1317, 1324), maintenance of
normal blood HDL-cholesterol concentrations (ID 506), maintenance of normal (fasting) blood concentrations of triglycerides (ID 506, 527,
538, 1317, 1324, 1325), maintenance of normal blood LDL-cholesterol concentrations (ID 527, 538, 1317, 1325, 4689), protection of
the skin from photo-oxidative (UV-induced) damage (ID 530), improved absorption of EPA and DHA (ID 522, 523), contribution to the normal
function of the immune system by decreasing the levels of eicosanoids, arachidonic acid-derived mediators and pro-inflammatory cytokines
(ID 520, 2914), and “immunomodulating agent” (4690) pursuant to Article 13(1) of Regulation (EC) No 1924/2006. EFSA Journal. 2010;
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