Gli acidi grassi polinsaturi (omega-3) hanno un’azione pleiotropica, utile quindi per contrastare l’infiammazione e la neurotossicità che, attraverso vari meccanismi, si instaura nei pazienti con Alzheimer (Alzheimer’s disease, AD).
In modelli animali, ma solo nelle fasi iniziali della malattia, l’acido docosaesaenoico (Dha) diminuisce la proteina beta-amiloide e l’apoptosi dei neuroni e delle glia da essa derivante. In parte, tale meccanismo protettivo è legato alla modulazione della via di segnalazione PI3K/Akt, conferendo maggiore protezione dall’apoptosi.
Con l’età, il trasporto di glucosio nel cervello tramite specifici trasportatori (Glut1), tende a diminuire, e questa tendenza è aumentata nelle patologie neurodegenerative. Il Dha, modificando la fluidità della membrana è in grado di aumentare la sua funzionalità ed espressione, con un migliorato trasporto cerebrale di glucosio. Un’altra azione del Dha riguarda l’interazione con la zattera lipidica presente nella membrana delle cellule. Aumentandone la fluidità, può aumentare l’esocitosi con eliminazione dei residui amiloidei, diminuendo l’amiloidogenesi.
La specifica azione antinfiammatoria è legata all’antagonismo degli omega-3 con l’acido arachidonico, noto precursore dell’infiammazione, in particolare nelle aree ippocampali, oltre a favorire la produzione di resolvine. Il Dha aumenta la sintesi di Bdnf (fattore neurotropico cerebrale), fattore particolarmente carente nell’Alzheimer. L’azione anti-apoptotica, derivante dalla neurotossicità indotta dalla proteina beta-amiloide, è contrastata grazie all’inibizione di Bax, Bad, Bik e Bid e all’attivazione di Bcl-2.
Curcumina
La curcumina riveste particolare interesse per le sue proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antiamiloidogeniche, anche se è ad oggi viene limitata dalla sua scarsa biodisponibilità. La curcumina svolge azione antiossidante tramite i classici sistemi enzimatici (Sod, Cat, Gsh). Nell’Alzheimer, vi è una diminuzione dell’attività della catena di trasporto degli elettroni, in particolare del complesso IV, con il rilascio di ossidanti durante questa sequenza di eventi. Vi è inoltre, un concomitante aumento di ioni ferro e rame, entrambi potenziali ossidanti. La curcumina si è dimostrata in grado di legare entrambi questi ioni metallici, riducendo complessivamente i danni da Ros. L’azione antinfiammatoria comprende la riduzione di diverse citochine quali l’IL-1β, IL-6 e Tnf-α; questo avviene attraverso l’inibizione della fosforilazione di STAT3, oltre ad un’ulteriore azione di inibizione del NF-kB, noto induttore di trascrizione di geni proinfiammatori. L’inibizione di NF-kB e AP-1 è legata probabilmente alla rimodellazione della cromatina, modulando l’azione della deacetilazione dell’istone (Hdac). Infine, l’azione antiamilodogenica è legata alla capacità della curcumina di passare la barriera emato-encefalica e disgregare le placche amiloidi, anche attraverso l’induzione di varie Hsp, cha pere in grado di bloccare la formazione di aggregati proteici.
Epigallocatechina gallato
La catechina più studiata del tè verde (Egcg), passa la barriera emato-encefalica, anche se lentamente e con bassa biodisponibilità, mostrando attività antiossidante, in particolare contro gli Age, diminuendo i Ros e la malonildialdeide, fornendo neuroprotezione nell’ippocampo. Come la curcumina, chela anche il ferro bivalente, ed è risultato il più potente chelatore tra 12 composti fenolici testati. Possedendo inoltre attività pleiotropica, interviene anche nella via di segnalazione Mapk (inibizione della sua fosforilazione) e sulla soppressione del già citato NF-kB. Per quanto riguarda la diretta attività sulle placche amiloidi, l’Egcg inibisce la fibrillogenesi dell’Aβ; attraverso una disintegrina e metalloproteasi (Adam10), è anche in grado di clivare l’alfa-secretasi nel processo App (amyloid precursor protein) inibendo altresì chinasi extracellulari quali Erk, anch’essa avente come prodotto finale NF-kB.
Conclusioni
Vi sono diversi fattori di rischio prevenibili. Complessivamente, se questi fattori fossero contrastati efficacemente, si potrebbero prevenire circa 1-1,3 milioni di casi di Alzheimer. Eccoli elencati di seguito:
Diabete
Studi epidemiologici mostrano un rischio relativo, per soggetti diabetici, pari a 1,39 (95% CI: 1,17-1,66). Mediamente, il 2% dei casi di Alzheimer nel mondo è attribuibile al diabete.
Ipertensione
L’ipertensione non trattata, nella mezza età (ma non in età avanzata), concorre per un probabile 5% dei casi di Alzheimer, sempre nel mondo.
Obesità
Considerata un fattore di rischio solo fino alla mezza età. In questo caso, concorre a circa il 2% dei casi di Alzheimer. In età avanzata, invece, risulta essere un fattore protettivo.
Depressione
Il rischio di sviluppare l’Alzheimer, per le persone depresse, è circa il doppio rispetto alla norma, e contribuisce per un 10% nello sviluppo di tale patologia.
Inattività fisica
È stato più volte dimostrato come l’attività fisica regolare contribuisca alla salute cerebrale. Nello specifico, l’inattività porta a un aumento dell’AD del 10%.
Fumo
Gli effetti deleteri del fumo colpiscono in maniera netta gli aspetti cognitivi, contribuendo ad un 14% dei casi di Alzheimer.
Inattività mentale
Scarsi stimoli cognitivi sono un reale rischio per l’Alzheimer, riducendo la neuroplasticità. Si stima che un 19% dei casi mondiali di Alzheimer sia legato a questo fattore negativo.
Neuroplasticità, come cambia il cervello
L’Alzheimer e la demenza senile sono legati soprattutto all’età avanzata, in cui il declino cognitivo è maggiormente presente. Quattro le forme principali di neuroplasticità:
1. mappe mentali (legate principalmente all’abilità di apprendimento),
2. riassegnazione cross-modale (ricostruzione collegamenti dopo trauma),
3. adattamento di aree omologhe (lo spostamento di funzioni cerebrali, spesso nell’emisfero opposto, a causa di traumi),
4. montatura compensatoria (strategia elaborativa alternativa per un dato compito).
Dal punto di vista cognitivo, si distingue una riserva cognitiva anatomica, legata a maggiori dimensioni di specifiche aree, per esempio una corteccia cerebrale più spessa, e una riserva cognitiva vera e propria, che si basa sul miglioramento delle risorse disponibili, con migliori o nuovi collegamenti, ottenibili attraverso un continuo stimolo cerebrale, particolarmente importante nella mezza età e in età avanzata (risoluzione di rebus, studio di una nuova lingua, di informatica eccetera)
Esiri MM, Chance SA, Alzheimers Res Ther. 2012