Il ruolo determinante per l’osso della vitamina D è noto da oltre un secolo ma l’interesse della comunità scientifica e dell’opinione pubblica sulla sua importanza è più recente. Solo da una decina di anni infatti si è sviluppata una consapevolezza sui danni da carenza, dato testimoniato dalla progressiva crescita della prescrizione di farmaci a base di questa molecola. Un mercato che quest’anno supererà il miliardo di dollari nel mondo.
La grande diffusione e la facilità di prescrizione ha fatto ‘rizzare le orecchie’ agli esperti che l’hanno trattata come ‘sorvegliata speciale’ nel timore che il suo utilizzo non fosse sempre appropriato e quindi rappresentasse un aumento ingiustificato della spesa farmaceutica pubblica tanto da spingere alcune regioni a intervenire per contenerne l’utilizzo.
Il risultato di questa osservazione è un documento redatto da clinici e ricercatori del GIOSEG (il Gruppo di Studio sull’osteoporosi da glucocorticoidi e sull’endocrinologia dello scheletro), valutato e approvato da tutti gli oltre 200 membri dal titolo “La vitamina D: un ormone essenziale per la salute scheletrica” con l’obiettivo di chiarire il ruolo fisiologico della Vitamina D, la sua importanza nel trattamento della fragilità scheletrica e il suo corretto utilizzo basato sulle più recenti evidente scientifiche. Il documento da oggi è disponibile per la consultazione sul sito internet del GIOSEG (www.gioseg.org).
Diagnosi, appropriatezza prescrittiva e monitoraggio della terapia sono i tre elementi cardine di una buona pratica clinica in caso di ipovitaminosi D. “Dalla letteratura scientifica abbiamo evidenze, ormai consolidate, che l’ipovitaminosi D sia una condizione dannosa per il metabolismo osseo, rappresentando un importante fattore concausale di fragilità scheletrica e di rischio fratturativo e che, soprattutto nella popolazione anziana, possa vanificare l’effetto di alcuni farmaci, come ad esempio dei farmaci anti – osteoporotici, mettendo a rischio la salute dei pazienti e andando ad incidere in modo significativo sui costi sanitari – ha sottolineato il Professor Andrea Giustina – Presidente GIOSEG e Professore Ordinario di Endocrinologia e Metabolismo all’ Università Vita e Salute San Raffaele Milano – In caso quindi di diagnosi di ipovitaminosi D è necessario iniziare la supplementazione di colecalciferolo come raccomandato dalle linee guida di riferimento, da somministrare con la frequenza ed alle dosi richieste dalla severità della ipovitaminosi”.
La diagnosi di ipovitaminosi D riflette una condizione clinica ben precisa di deficit di Vitamina D. Nonostante vi siano diverse definizioni di “ipovitaminosi”, proposte da diverse società scientifiche ed istituzioni nazionali ed internazionali, è ragionevole affermare che valori circolanti di 25OHvitaminaD (marcatore dello stato vitaminico) inferiori a 30 ng/ml riflettono una condizione sfavorevole per la salute ossea, un ridotto assorbimento del calcio e di conseguenza una scarsa mineralizzazione ossea.
“Nonostante l’ipovitaminosi D sia una condizione che riguarda ben il 70% della popolazione italiana, è bene sottolineare che la vitamina D non è l’unico fattore che aiuta a preservare la massa ossea – ha continuato Giustina – La vitamina D è legata a doppio filo con il fabbisogno di calcio e con il suo introito giornaliero, fondamentale ai fini dell’efficacia terapeutica. Il calcio a differenza della vitamina D, può essere integrato tramite l’alimentazione, è essenziale quindi che il paziente avvii un corretto regime alimentare che preveda il giusto apporto di calcio. Studi scientifici hanno infatti dimostrato che la somministrazione del colecalciferolo in presenza di un basso introito di calcio non sia analogamente efficacie”.
E’ fondamentale la seguente constatazione epidemiologica: nonostante la nostra latitudine favorevole gli italiani soffrono di ipovitaminosi D anche in giovane età. Trascorriamo poco tempo all’aperto, e l’uso di filtri solari e inquinamento atmosferico rappresentano un ulteriore ostacolo alla produzione di vitamina D a livello cutaneo grazie ai raggi solari. Quello che è possibile assumere con la dieta (con l’assunzione di pochi alimenti a prevalente elevato contenuto di grassi come l’olio di pesce e i pesci molto grassi come lo sgombro) non è sufficiente a compensare il deficit. A questo aumento di incidenza corrisponde un aumento di prescrizioni di supplementazione farmacologica.
“Nel 2014 l’AIFA ha pubblicato un rapporto sul tasso di crescita a doppia cifra delle prescrizioni di composti contenenti Vitamina D – ha affermato il professor Giustina- Tra i fattori che hanno contribuito in maniera significativa al loro aumento c’è da un lato la maggiore attenzione della classe medica per le patologie scheletriche correlate alla carenza di vitamina D, dall’altro il reale aumento della prevalenza di ipovitaminosi dovuto sia all’invecchiamento della popolazione che alle modifiche degli stili di vita. Ogni valutazione da parte di medici e decisori sanitari va fatta tenendo conto del rapporto rischio-beneficio, non solo del costo economico”.
A questo proposito che cos’è il paradosso scandinavo? Si tratta del fenomeno epidemiologico che vede una inattesa maggiore prevalenza di ipovitaminosi D nei Paesi del bacino del Mediterraneo rispetto ai Paesi del Nord Europa. Infatti, sul piano teorico la presenza di un ridotto irraggiamento solare che permette la sintesi cutanea del colecalciferolo, uno dei principali precursori della vitamina D. dovrebbe portare ad una maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. Tuttavia, nei Paesi del Nord già da qualche anno è stata su questa base intrapresa una politica di integrazione degli alimenti con vitamina D, mentre nei Paesi del Sud contando sulla maggiore esposizione solare (ma non tenendo conto dell’evoluzione degli stili di vita), non è stata introdotta la fortificazione degli alimenti. Ecco quindi che i Paesi del Mediterraneo sono vittime di quello che è stato chiamato ‘paradosso scandinavo’.
Quando correggere l’ipovitaminosi D? “La supplementazione di vitamina D – conclude Giustina – è una vera e propria terapia, e come tale va trattata. L’appropriatezza prescrittiva è un nodo fondamentale che riguarda sia i dosaggi che il monitoraggio: a seconda che si debba trattare o prevenire una condizione di carenza, è bene diversificare e personalizzare i dosaggi ormonali, sia in fase prescrittiva che in fase di follow up, tenendo conto dell’età e della presenza di patologie concomitanti. Va comunque tenuto presente che dosi giornaliere di colecalciferolo inferiori a 800 UI sono inefficaci nella prevenzione delle fratture, l’evento che vogliamo evitare, ma attenzione anche ai dosaggi elevati somministrati in boli che possono determinare un fenomeno di inibizione paradossa della mineralizzazione”.