I batteri che vivono nell’intestino offrono una prima linea di difesa contro le infezioni gravi da Listeria, e somministrare tali batteri sotto forma di probiotici potrebbe proteggere gli individui che sono particolarmente sensibili al batterio, comprese le donne in gravidanza e pazienti affetti da tumore in chemioterapia, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Medicine. «Listeria monocytogenes è un patogeno importante acquisito da cibo contaminato, ma gli adulti sani possono in genere sopraffare l’Infezione con qualche giorno di gastroenterite» afferma Simone Becattini, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, autore principale dello studio, che poi aggiunge: «Tuttavia alcuni individui tra cui neonati, donne in gravidanza e pazienti immunocompromessi affetti da tumore, possono presentare forme più severe di listeriosi, in cui il batterio sfugge al tratto gastrointestinale e si diffonde in tutto il corpo causando setticemia, meningite e in molti casi anche morte».
I ricercatori hanno scoperto che disgregare il microbioma di topi in laboratorio con antibiotici li rendeva più suscettibili all’infezione da Listeria monocytogenes e aumentava la capacità del patogeno di colonizzare il tratto gastrointestinale e di diffondersi nel sistema circolatorio per causare la morte degli animali, con un effetto ancora più evidente nei topi immunocompromessi. Inoltre, i topi trattati con doxorubicina e ciclofosfamide, farmaci comuni in chemioterapia, erano vulnerabili all’infezione e sono diventati ancora più suscettibili quando sono stati trattati anche con antibiotici. Nello studio sono state identificate quattro specie di batteri intestinali dell’ordine Clostridiales che insieme hanno saputo limitare la crescita di Listeria nelle colture di laboratorio, e trasferendo questi batteri probiotici in topi senza germi sono stati in grado di proteggere i roditori dall’infezione, limitando la capacità del patogeno di colonizzare l’apparato gastrointestinale e di diffondersi in altri tessuti. «I nostri risultati sollevano anche la possibilità che in altre categorie a rischio di listeriosi, come i neonati o le donne in gravidanza, le disfunzioni del microbioma intestinale possano essere un fattore che contribuisce alla suscettibilità» spiegano gli autori che poi concludono: «Le donne in gravidanza nel terzo trimestre, la fase in cui la suscettibilità a Listeria è nota per essere più alta, mostrano infatti un alterato microbioma, con una marcata riduzione proprio delle specie Clostridiales».
I ricercatori hanno scoperto che disgregare il microbioma di topi in laboratorio con antibiotici li rendeva più suscettibili all’infezione da Listeria monocytogenes e aumentava la capacità del patogeno di colonizzare il tratto gastrointestinale e di diffondersi nel sistema circolatorio per causare la morte degli animali, con un effetto ancora più evidente nei topi immunocompromessi. Inoltre, i topi trattati con doxorubicina e ciclofosfamide, farmaci comuni in chemioterapia, erano vulnerabili all’infezione e sono diventati ancora più suscettibili quando sono stati trattati anche con antibiotici. Nello studio sono state identificate quattro specie di batteri intestinali dell’ordine Clostridiales che insieme hanno saputo limitare la crescita di Listeria nelle colture di laboratorio, e trasferendo questi batteri probiotici in topi senza germi sono stati in grado di proteggere i roditori dall’infezione, limitando la capacità del patogeno di colonizzare l’apparato gastrointestinale e di diffondersi in altri tessuti. «I nostri risultati sollevano anche la possibilità che in altre categorie a rischio di listeriosi, come i neonati o le donne in gravidanza, le disfunzioni del microbioma intestinale possano essere un fattore che contribuisce alla suscettibilità» spiegano gli autori che poi concludono: «Le donne in gravidanza nel terzo trimestre, la fase in cui la suscettibilità a Listeria è nota per essere più alta, mostrano infatti un alterato microbioma, con una marcata riduzione proprio delle specie Clostridiales».
J Exp Med. 2017 Jun 6. pii: jem.20170495. doi: 10.1084/jem.20170495
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28588016