Per combattere l’obesità gli acidi grassi omega-6 e omega-3 dovrebbero essere riequilibrati nella nostra alimentazione, secondo quanto si legge in un editoriale a quatto mani pubblicato sulla rivista OpenHeart firmato da Artemis Simopoulos, del Centro di genetica, nutrizione e salute di Washington DC, e James DiNicolantonio, del Saint Luke’s Mid America Heart Institute, in Missouri. «Gli esseri umani si sono evoluti seguendo una dieta con circa la stessa quantità di omega-3 e omega-6, un equilibrio fondamentale per lo sviluppo del feto in gravidanza, per il neonato durante l’allattamento e nella prevenzione e trattamento delle malattie croniche» affermano gli autori, precisando che il precedente rapporto ottimale di 1:1 (o al limite 2:1) è stato progressivamente sostituito da uno squilibrio di 16:1 a favore degli omega-6.
«Divario conseguente alle modifiche alimentari verificatesi negli ultimi cento anni» scrivono gli autori, spiegando che la tecnologia alimentare e l’agricoltura moderna hanno portato alla produzione di oli vegetali, tra cui quello di girasole, di soia e di mais ricchi in omega-6. Lo squilibrio riguarda anche gli animali, che prima pascolavano sull’erba contenente omega-3, mentre adesso vengono alimentati con cereali, mais e soia a elevato contenuto di omega-6. «E nel settore dei mangimi animali sono aumentati i livelli di acido linoleico e arachidonico due omega-6» riprendono i ricercatori, ricordando che elevati livelli di omega-6 possono portare a un aumento del tessuto adiposo bianco e dell’infiammazione cronica, condizioni proprie dell’obesità e legate al diabete di tipo 2, alle cardiopatie, alla sindrome metabolica e al cancro.
Secondo gli editorialisti l’organismo necessita anche di omega-3, e l’equilibrio 1:1 è cruciale: gli acidi grassi agiscono sul sistema nervoso influenzando l’assunzione di cibo e la sensibilità agli ormoni coinvolti nel controllo della glicemia e nella soppressione dell’appetito. Ma non solo: precedenti ricerche collegano gli omega-3 a una riduzione del tessuto adiposo e al calo ponderale, mentre gli omega-6 si associano a un aumentato rischio di salire di peso. «È quindi giunto il momento di aumentare nella dieta gli omega-3 e diminuire gli omega-6 modificando gli oli per cucinare e mangiando meno carne e più pesce» aggiungono gli autori. E concludono: «È responsabilità dei governi e delle organizzazioni internazionali stabilire politiche nutrizionali basate su dati scientifici, evitando di focalizzarsi esclusivamente sull’introito calorico e sul dispendio energetico, strategie che negli ultimi 30 anni hanno fallito miseramente».
Open Heart 2016. doi:10.1136/openhrt-2015-000385
http://openheart.bmj.com/content/3/2/e000385.full?sid=ed61a003-16d3-43f1-b783-4852ea1dfbce