Mancando una definizione normativa esplicita delle sostanze nutraceutiche, dobbiamo ricostruirne la possibile rappresentazione giuridica e quindi la collocazione sistematica procedendo da ciò che materialmente viene definito come nutraceutico. Mi sembra che ben ne tratteggi la natura, non giuridica, quanto detto nei Quaderni della Salute [1]: nutraceutico è un alimento che, grazie al contenuto di particolari costituenti, è in grado di rivendicare un effetto benefico svolto su una specifica funzione dell’organismo. Si definiscono nutraceutici quelle sostanze che associano la funzione nutrizionale allo scopo salutistico in una prospettiva d’uso regolare e prolungato nel tempo. Si tratta di prodotti alimentari, e come tali assunti, che trovano la propria disciplina nell’ordinamento alimentare, quindi nell’ambito della regolamentazione giuridica che disciplina la produzione, la comunicazione e il commercio delle sostanze alimentari. La prossimità comunicativa e d’uso, non sempre percepita in maniera pacifica, tra i prodotti farmaceutici e gli stessi alimenti di uso corrente che beneficiano dei così detti claim [3] previsti dalla normativa unionale [4] costituiscono anche i fattori che delimitano i nutraceutici e le categorie di alimenti che potrebbero qualificarsi come tali rispetto alle altre e più prossime [5].
Tentativo di collocazione sistematica dei nutraceutici rispetto ad altri alimenti nutrizionalmente qualificati
Chi ha vissuto l’evoluzione di questi ultimi anni, sa che soltanto 15 anni fa il termine nutraceutico era sostanzialmente sconosciuto anche nell’uso degli addetti ai lavori e non soltanto all’ordinamento alimentare. Come spesso accade, è il settore produttivo e quello consumeristico (talvolta opportunamente attivato anche attraverso i social), a creare un’offerta e una domanda di un qualche cosa che, per il principio generale per cui tutto quanto non è vietato è libero [6], compare sul mercato in quanto non vietato, ma che deve essere regolato e controllato con gli strumenti giuridici preesistenti.
Ancora nel 2012, ragionando sull’accettabilità del termine “nutraceutico” nell’etichettatura alimentare degli integratori alimentari, esso fu ritenuto un termine di fantasia, privo di riscontri normativi, che avrebbe potuto ingenerare nei consumatori una falsa rappresentazione. Evidentemente il timore che il termine comunicasse al consumatore l’attesa di proprietà “salutistiche” particolari, al di fuori della normale informazione d’etichetta, fu tale da giustificare l’interdizione di tale qualificazione. L’alimento funzionale, altra dizione che ha trovato spazio nell’applicazione del regolatorio alimentare, fu definito, in un Consensus Document della Commissione Europea di concerto con FUFOSE (Functional Food Science in Europe) [7] come quella sostanza che possiede effetti addizionali dovuti alla presenza di componenti, generalmente non nutrienti, che interagiscono selettivamente con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo, in modo tale che risultino evidenti un miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o una riduzione del rischio malattia. Questa definizione entrò anche all’interno del lavoro dell’allora Commissione per la Dietetica e la Nutrizione del Ministero della Salute, che definì come funzionale l’alimento «se viene soddisfacentemente dimostrato che può implicare un effetto benefico mirato su una o più funzioni dell’organismo, al di là di adeguati effetti nutritivi, in modo tale che risultino evidenti un miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o una riduzione del rischio di malattia» [8]. Nel dicembre 2002, il Ministero della Sanità definì «Le linee guida su integratori, alimenti arricchiti e funzionali. Criteri di composizione e di etichettatura», così iscrivendo nei documenti nazionali ad effetto regolatorio, o per lo meno di indirizzo, gli alimenti funzionali. Nonostante la presa d’atto dell’uso degli alimenti funzionali anche quelli non possiedono una identità sul piano regolatorio [9]. Fin da subito, con riferimento agli alimenti funzionali, venne la necessità di determinarne un perimetro il più possibile chiaro sia a livello merceologico, che conseguentemente legale. Oltre alla natura di alimento, il «funzionale» deve essere portatore di una componente funzionale che qualifichi il prodotto. Quindi, la natura anche alimentare che accompagna quella funzionale distingue quell’alimento dall’integratore, nel quale l’assunzione di un determinato nutriente è la ragione unica dello specifico consumo.
L’integratore quindi potrà anche presentarsi, a differenza di un funzionale, in particolari forme e dosi, quali sono la compressa, la pillola, la capsula, in gocce, ecc. [10]. L’alimento funzionale, inoltre, fa parte del regime alimentare normale, a differenza di un integratore alimentare. Non mi pare condivisibile, per le ragioni dette sopra, considerare l’integratore alimentare come appartenente alla famiglia degli alimenti funzionali. La definizione di nutraceutico offerta nell’introduzione di questo breve studio permette di considerare detta dizione come applicabile (con giudizio e molta attenzione al contesto, visto che dal divieto del 2012 la normativa si è modificata ed il consumatore è più informato sulla tematica) alla categoria di prodotti sostanzialmente assimilabile a quella degli alimenti funzionali dei quali abbiamo appena visto i caratteri essenziali e la differenza rispetto agli integratori alimentari [11]. L’alimento addizionato, detto anche arricchito, cioè quello al quale sono state aggiunte vitamine e/o minerali previsti dalla normativa e nelle forme previste dalla stessa [12], è esso stesso nella sua ragion d’essere [13] un alimento al quale il legislatore e il consumatore riconoscono una funzionalità non solo strettamente alimentare, ma per lo meno anche nutrizionale.
Altra categoria collaterale è quella dei così detti “botanici”, vale a dire piante ed altre sostanze vegetali e relative parti da cui possono derivare ingredienti per l’impiego negli integratori alimentari [14]. Il loro uso non è esclusivamente nella forma e nella funzione tipica degli integratori alimentari, ma certamente lo è nella maggior parte dei casi. Vi sono degli impieghi nei quali possiamo immaginare l’utilizzo di un «botanico» quale alimento e non quale integratore, e in tali casi non si può escludere anche una classificabilità di quegli alimenti all’interno dei funzionali. Si collocano più lontani, dal punto di vista sistematico, gli alimenti per specifici gruppi (i Foods for Specific Groups da cui l’acronimo FSG) di cui al Reg. (UE) 609/2013, tra i quali si annoverano le formule per lattanti e quelle di proseguimento di cui alla Dir. 2006/141/CE (che sarà abrogata e sostituita del Reg. (UE) 2016/127 a partire del 22 febbraio 2020), gli alimenti a base di cereali e altri alimenti per lattanti e bambini, di cui alla Dir. 2006/125/CE, gli alimenti a fini medici speciali di cui alla Dir. 99/21/ CE (che sarà abrogata e sostituita dal Reg (UE) 2016/128 dal 22 febbraio 2019), gli alimenti presentati come diete totali per la riduzione del peso corporeo di cui alla Dir. 96/8/CE. Tra gli alimenti che oggi ricadono tra quelli di uso corrente, seppure qualificati nutrizionalmente, annoveriamo i latti di crescita, gli ex alimenti dietetici per sportivi e in genere gli alimenti arricchiti ai quali si applica il Reg. (CE) 1925/2006 sull’aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze. Va anche ricordata la categoria degli alimenti che vantano una funzionalità slegata dall’aspetto nutrizionale e più in generale alimentare. L’utilità di tali sostanze per il consumatore è conseguenza, ad esempio, dell’effetto meccanico del transito dell’alimento, o del suo masticamento. Si pensi all’effetto prodotto per contatto col cavo orofaringeo, o agli effetti facilitativi della respirazione dovuti al masticamento di caramelle balsamiche o alla riduzione del rischio di carie collegata al consumo di talune gomme da masticare. Meccanismi con effetti sul benessere del consumatore diversi tra di loro, ma accomunati dal non essere la conseguenza dal transito nell’apparato digestivo. La particolarità di questa limitata pattuglia di prodotti è nel fatto che, secondo l’indirizzo maggioritario, ad essa non si applicano, in ragione di non produrre un effetto alimentare in senso stretto, le disposizioni in tema di claim.
Per completezza, è opportuno ricordare che il Ministero della salute definisce esplicitamente sostanze funzionali quelle seguenti:
1) caffeina, per l’aggiunta nelle bevande cosiddette energy drink,
2) coenzima Q, per l’aggiunta nelle bevande,
3) glucuronolattone, per l’aggiunta nelle bevande cosiddette energy drink,
4) luteina,
5) taurina, per l’aggiunta nelle bevande cosiddette energy drink,
sottoponendo l’impiego specifico di dette sostanze nelle individuate matrici alimentari ad uno speciale obbligo di notifica al Ministero stesso. L’EFSA, che per altro è un organismo tecnico (e quindi privo di potere normativo autonomo), definisce gli alimenti funzionali come quelli cui sono riferibili le dizioni (claim) di cui all’articolo 13 Reg. CE 1924/2006, di fatto raggruppando la maggior parte delle categorie viste sopra, nei funzionali. A parere di chi scrive, l’alimento funzionale ha anche perso ogni collegamento con la sua origine: può essere salutistico perché in natura esso contiene il componente funzionale, ma può anche esserlo in quanto arricchito industrialmente con la componente funzionale. Quindi, è plausibile affermare che “funzionale“ non vuol dire e non può necessariamente essere accostato, ad un alimento naturale [15]. Certamente ciò costituisce, almeno per una parte dei consumatori, un appiattimento sia tra simili prodotti (sia per matrice che per funzionalità), che con matrici alimentari differenti (e identica natura funzionale); ma nulla vieta che, rispettando la disciplina sulla informazione del consumatore, possa essere vantata la differenza di origine del componente funzionale o della stessa matrice. Dal mosaico appena tratteggiato emerge come diverse siano le «specializzazioni» degli alimenti secondo i criteri nutrizionali, oltre che in funzione della destinazione. Nell’articolazione del sistema, i nutraceutici, che sono assimilabili ai funzionali, hanno una propria identità merceologica o per lo meno commerciale, pur non mancando tratti in cui determinate sostanze possono avere una duplice natura, anche fuori dall’ambito alimentare.
Accenni sul tema della comunicazione degli alimenti funzionali
L’informazione al consumatore, intesa come quella che si realizza con le etichette degli alimenti preimballati, come per gli sfusi con i documenti previsti, è soggetta a regole che riguardano le notizie di tipo salutistico, oltre che nutrizionale. L’art. 7, punto 3 del Reg. (UE) 2011/1169, in tema di preimballati, in continuità con l’abrogata regolamentazione, dispone che «le informazioni sugli alimenti non attribuiscono a tali prodotti la proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana, né fanno riferimento a tali proprietà». Anche il D.L.vo 109/92, per le parti non in contrasto col Reg. (UE) 2011/1169, quindi principalmente per quanto riguarda gli alimenti sfusi, dispone similmente all’art. 2, 1), d) che l’etichettatura (definita all’art. 1.2 dello stesso D.L.vo come«l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo») (secondo la definizione di cui all’art. 1, 2 del citato D.L.vo 109/92) «non (deve, ndr) attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà, fatte salve le disposizioni comunitarie relative alle acque minerali ed ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare».
Anche il Codice del Consumo [16] si occupa, all’art. 21, punto 1, del tema della qualità dell’informazione al consumatore: «È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso» … specificando al punto 1), a) … «l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto»… Lo strumento centrale che disciplina quanto può essere rivendicato, in maniera scientifica circa gli effetti salutistici e nutrizionali di un alimento, è il più volte citato Reg. (CE) n. 1924/2006 sui claim. Com’è evidente, la norma regola non solo l’informazione vietando ciò che non è vero, ma anche ciò che è scientificamente fondato, ma non riconosciuto attraverso un percorso ufficiale. La domanda d’informazione sui vantaggi nutrizionali e soprattutto salutistici e l’offerta di alimenti vantanti funzioni è costantemente in crescita e preme sulla regolamentazione legale che costituisce un fattore limitativo allo sviluppo del settore qualora non si evolva tenendo conto del contesto scientifico e consumeristico.
La regolarità del commercio, la corretta informazione al consumatore, la veridicità dei messaggi sono i punti focali di ogni disciplina legale nel settore alimentare, ma proprio la lentezza di aggiornamento e la difficoltà nell’armonizzazione a livello unionale sono causa di difficoltà ben note ai diversi soggetti coinvolti. La procedura, d’altronde, prevede che l’evidenza scientifica posta alla base della valutazione ufficiale unionale sia condotta allo standard più alto possibile. La procedura per ottenere il riconoscimento della funzionalità di un alimento, nonostante i chiarimenti e il fatto che oramai si possa definire matura [17], si conclude nella maggioranza dei casi con il non accoglimento della domanda, il che pone l’osservatore di fronte al legittimo dubbio che i petenti non chiedano, in maniera corretta e/o con presupposti corretti, quanto loro interessa o la metodologia di verifica imposta all’EFSA sia carente. Nel caso degli integratori vegetali, il ritardo sulla stessa road map del 2015 [18] non è stato ancora recuperato e i claim sui botanicals non hanno ancora visto la luce. Mentre l’alimento funzionale può comunicare soltanto quanto previsto nel quadro della normativa claim, l’integratore botanico, per lo meno allo stato attuale quindi in un regime transitorio, comunica quanto è legato ad un effetto plausibile, ma non necessariamente verificato scientificamente, conformemente alle Linee guida ministeriali.
Ma anche per questo genere di prodotto il mancato rispetto delle dizioni ammesse è oggetto di sanzione [19]. Il merito principale del seppur non completamente attuato – si pensi al tema dei profili nutrizionali- Reg. (CE) n. 1924/2006 è quello di aver contribuito in maniera fondamentale all’armonizzazione dell’informazione salutistica e nutrizionale dei consumatori che, nonostante le forzature di ogni processo di unificazione, ha permesso di superare le visioni dei diversi Paesi membri con le proprie norme e usi in quella materia. Pur in vigenza della normativa legale, continua ad esistere una certa fluidità della nomenclatura, alla quale chi scrive non riesce a sottrarsi. Anche senza una rassegna completa, possiamo cogliere detta “fluidità” ad esempio negli atti sanzionatori. Un provvedimento in tema di pasta per diabetici [20], ad esempio, sanziona la comunicazione dell’alimento funzionale in ragione dell’assenza di una specifica autorizzazione da parte del Ministero, ma come emerge dall’analisi fattuale del regolatorio vigente, non abbiamo né una vera e propria definizione di alimento funzionale, né allo stato attuale esistono dei procedimenti di autorizzazione ministeriale per quei prodotti.
Nell’esperienza sanzionatoria italiana, si perviene alla condanna per violazione del Codice del Consumo per il tramite dell’accertamento della violazione del Regolamento claim il quale costituisce la guida dal punto di vista della fondatezza scientifica (oltre che dell’ammissibilità) del claim controllato, e la violazione alla disciplina dei claim, secondo l’interpretazione nazionale, diventa l’elemento oggettivo per la contestazione della violazione al Codice del Consumo [21]. Non sfugge che tutto il settore sia principalmente polarizzato agli estremi: tra chi rispetta ogni norma e chi si pone, eufemisticamente, sul limite estremo della legalità tendente all’illegalità. Col supporto di blog e simili strumenti di comunicazione, via internet ma anche attraverso i canali tradizionali, si è creato anche un lato oscuro del sistema solo parzialmente giustificato dalla rigidità normativa e nel quale il compendio regolatorio, di controllo e sanzionatorio rischia di essere parzialmente virtuale. Un accenno va doverosamente fatto a quelli che potrebbero essere gli sviluppi del settore dal punto di vista normativo. Raggiunta, seppure con molte criticità, l’armonizzazione unionale sia relativamente alla procedura di delibazione di nuovi prodotti, che relativamente alle modalità di comunicazione al consumatore, nuovi scenari potranno prodursi in base agli obblighi internazionali assunti dai Paesi membri e dalla stessa UE verso organismi internazionali o Stati non comunitari. Mi riferisco in particolare agli accordi in seno all’Organismo mondiale del commercio (WTO) che molto opera in tema di barriere tecniche al commercio attraverso il comitato TBT (Technical Barriers to Trade), o il CETA, «Trattato economico comprensivo» tra UE e il Canada [22]. Le norme sul commercio internazionale, come più radicalmente il Trattato CETA, che introduce un generale principio di equivalenza (art. 5.6) delle norme in tema di sicurezza applicate dall’altra parte dell’accordo, tendono a creare un sistema nel quale ogni soggetto può esportare secondo le norme del Paese di produzione, (insomma qualcosa di simile al principio di libera circolazione intracomunitario), ma non sulla base di norme armonizzate, ma su quello del riconoscimento dell’applicabilità delle disposizioni valevoli nell’altra parte, anche se meno stringenti. Quindi, non è ingiustificato ipotizzare che accanto ai prodotti nazionali o fabbricati in altri Stati UE secondo le norme unionali, possano trovare spazio alimenti funzionali disciplinati da regole di Paesi extra UE.
Conclusione
Negli alimenti funzionali in generale ed in quelli definiti come nutraceutici l’aspettativa di un effetto ulteriore rispetto a quello alimentare è prevalente e sovente la ragione unica che guida il consumatore all’acquisto. Il sogno alimentare di un soggetto indistinto ed anonimo, qual è il consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto [23], spinge alla medicalizzazione dell’alimento. Lasciando ad altri la questione sociologica, è evidente la centralità del ruolo normativo che deve permettere di verificare l’efficacia nutrizionale degli alimenti, di ricondurre alla corretta informazione gli alimenti che non possono vantare alcunchè od ove la vanteria eccede l’ammesso, di tutelare la ricerca, di tutelare il prodotto corretto dalla concorrenza sleale. L’Italia, in questo contesto, ha un ruolo di prim’ordine a livello europea in materia di funzionali, integratori e specialmente degli integratori vegetali, anche per gli sforzi per la loro disciplina posti in essere in questo settore molto prima di quanto avvenuto a livello unionale e per tale ragione credo che possa, con la forza che le deriva dalla grande esperienza regolatoria, ma anche produttiva delle aziende nazionali, incidere con un particolare titolo nelle determinazioni di settore a livello di UE.
Bibliografia e note al testo
[1] Nutrire il pianeta, nutrirlo in salute. Equilibri nutrizionali di una sana alimentazione. Feeding the planet, feeding it healthy. Nutritional balance
of a healthy diet, Quaderni della Salute, n. 25, ottobre 2015, disponibile anche su: http://www.quadernidellasalute.it/quaderni-html/25-
ottobre-2015.php, ultimo accesso 3 gennaio 2017.
[2] Governance dell’azienda alimentare ed etica della legislazione, Roma, Unionalimentari, 2010.
[3] Reg CE 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
[4] Circ. Ministero della Salute DGISAN 0027074-P-24/06/2013.
[5] Cescatti G, Feller E, Ferrarini S, Novelli E. La sicurezza alimentare per la produzione e il consumo, Padova, 2013; 248-250. Cfr per comprendere
meglio le basi dell’attuale sistema regolatorio: MacMaolain C. Eu Food Law, Protecting Consumers and Health in a Common Market,
Oxford, 2007; 228; Guidarelli L, Copparoni R, Scarpa B. Prodotti destinati ad un’alimentazione particolare, Roma, 2001.
[6] Principio che è stato adottato anche in Svizzera con la Legge federale sulle derrate alimentari e gli oggetti d’uso del 20/06/2014 ed entrata
in vigore il 01/05/2017.
[7] Scientific Concepts of Functional Foods in Europe, Consensu Document, https://www.cambridge.org/core/services/aop-cambridge-core/content/
view/B4C837254CBFCE95E11BA1BBF89FF047/S0007114599000471a.pdf/div-class-title-scientific-concepts-of-functional-foods-ineurope-
consensus-document-div.pdf , ultimo accesso 3 gennaio 2017.
[8] Scarpa B. Alimenti funzionali, novel food e claims, in atti 8° Neotron Conference, Nonantola, 2007. Si veda anche: Claudio Mazzini, L’esplosione
dei Functional food: come coniugare business, rigore scientifico e tutela dei consumatori, in atti dell’8° Neotron Conference. 2007.
[9] Come scrive il Ministero della Salute, con tale denominazione si fa riferimento ad alimenti che per qualche aspetto particolare della composizione
apportano un beneficio aggiuntivo all’organismo che va oltre il semplice apporto di nutrienti. Va sottolineato che non si tratta di una
categoria di alimenti autonoma sul piano normativo. http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1266&area=Alimen
ti%20particolari%20e%20integratori&menu=addizionati, ultimo accesso 3 gennaio 2017. Un’interessante definizione di integratori alimentari
è rintracciabile nella nuova Ordinanza del DFI sugli integratori alimentari (OIAI), ad oggi senza numero, ma che sarà applicabile dal 1°
maggio 2017, che così statuisce all’art. 1: sono derrate alimentari destinate ad integrare la dieta normale. Costituiscono una fonte concentrata
di vitamine, di minerali o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo e fisiologico, sia monocomposti sia pluricomposti, e sono immessi sul
mercato in forme di dosaggio.
[10] Nella normativa unionale, la materia è disciplinata dalla Dir. 2002/46/CE, attuata in Italia con il D.L.vo 21/5/2004, n. 196. Gli integratori
sono regolati dalla Direttiva 2002/46/CE (mod. da Dir. 2006/37/CE, Reg. (CE) 1137/2008, Reg. (CE) 1170/2009, Reg. (CE) 1161/2001,
Reg. (CE) 119/2014, Reg.(CE) 2015/414) recepita ed attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169) come: “prodotti alimentari
destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre
sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di
origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”, dove per nutrienti si intendono le vitamine ed i minerali. Si veda
anche: Consiglio d’Europa, Forum sur les aliments fonctionnels-Actes, Strasbourg, 1998.
[11] Sulla definizione di alimento funzionale e del suo inquadramento all’interno del diritto unionale: Leire Escajedo San Epifanio, Esanyoas clinicos
con alimentos funcionales en la Union Europea: reflexiones juridicos-costitucionales, in UE: sociologia y Derecho Alimentarios, Estudios
Juridicos en Honor de Luis Gonzales Vaquè, a cura di L. A. Bourges, Navarra. 2013; 287. Alimentos funcionales: https://fr.scribd.com/document/
231301679/Alimentos-funcionales ultimo accesso 3 gennaio 2017.
[12] Reg (CE) n. 1925/2006, mod.dai Reg (CE) n. 108/2008 e 1170/2009, e dai Reg (UE) n. 1161/2011 e 1169/2011. A livello nazionale si
veda la Circ. Ministero Salute 6/3/2008, n. 4075-P.
[13] La «carenza di una o più vitamine e/o minerali nella popolazione o in gruppi specifici di popolazione dimostrata o indicata da stime di bassi
livelli di assunzione di sostanze nutritive, o possibilità di migliorare lo stato nutrizionale della popolazione o di gruppi specifici di popolazione
e/o compensare le eventuali carenze negli apporti dietetici di vitamine o minerali dovute a cambiamenti delle abitudini alimentari, o evoluzione
di conoscenze scientifiche generalmente accettabili riguardo al ruolo nutrizionale delle vitamine e dei minerali e ai conseguenti effetti sulla
salute» come indicato all’art. 3, punto 2 del Reg. (CE) n. 1925/2006.
[14] Come definiti dal DM 9/7/2012 del Ministero della Salute.
[15] In senso diverso, cfr Pirillo A., Catapano A.L., Nutraceutica: definizione, regolamentazione e applicazione, Giornale Italiano di Farmacoeconomia
e Farmacoutilizzazione. 2014; 6: 23-30.
[16] D.L.vo 6/9/2005, n. 206.
[17] General scientific guidance for stakeholders on health claim applications, EFSA Journal. 2016; 14: 4367 [38 pp.]; Outcome of a public consultation
on the draft scientific and technical guidance for the preparation and presentation of a health claim application, http://onlinelibrary.
wiley.com/doi/10.2903/j.efsa.2017.4680/full, ultimo accesso 2 febbraio 2017; Scientific and technical guidance for the preparation and
presentation of a health claim application (Revision 2), EFSA Journal 2017;15(1):4680 [31 pp.].
[18] EC Healt Claims Roadmap 071015.
[19] Si veda da ultimo Provvedimento n. 26250, AGCM, Aloe Ghiglione, proprietà terapeutiche.
[20] Provvedimento n. 24189, AGCM.
[21] Provvedimenti n. 24990, 26147, 25794, ed altri dell’AGCM.
[22] Pubblicato in GUUE 14/01/17, L11/23.
[23] Sentenza della Corte di Giustizia (Seconda Sezione), 8/2/2017 nella causa C-562/15, Carrefour Hypermarchès SAS contro ITM Alimentaire
International SASU.