Il ricorso agli integratori nutrizionali e ai prodotti nutraceutici costituisce un fenomeno sempre più diffuso: già nel 2010 il consumo di questi prodotti interessava un italiano su tre, e non si tratta di un uso sporadico, dal momento che oltre il 60% di questi dichiarava di farne uso da almeno due anni. Un fatturato già imponente, pari a oltre 1,2 miliardi che quattro anni dopo è salito a oltre 2 miliardi per un totale di 148 milioni di confezioni. Dati peraltro in linea con quelli riscontrati a livello mondiale. Sempre restando all’inquadramento delle dimensioni socioeconomiche del fenomeno, va sottolineato che ancora oggi circa l’80% del ricorso a integratori e nutraceutici è mediato dalla farmacia e solo più recentemente si è vista risalire la quota della grande distribuzione organizzata, attorno al 15-16%, grazie ad azioni di marketing e di promozione [1].
In realtà l’integratore alimentare, sotto altro nome, è sempre stato una presenza costante nella farmacia: polivitaminici e ricostituenti andavano a soddisfare bisogni parzialmente sovrapponibili a quelli cui oggi rispondono questi prodotti e, in alcuni casi, si ha a che fare con le stesse sostanze. L’integratore alimentare ha però subito nell’ultimo ventennio una profonda modificazione, in quanto si è passati da prodotti rivolti a ovviare a carenze nutrizionali subcliniche e stati di astenia (i già citati multivitaminici o energetici) a formulazioni capaci di agire su precisi fattori di rischio (ipercolesterolemia, iperglicemia) e, più recentemente, in grado di prevenire e o trattare condizioni patologiche di differente gravità.
Infatti è relativamente recente l’individuazione di un ruolo degli acidi grassi omega 3 nel trattamento delle aritmie, così come la proposta di alcuni probiotici come coadiuvanti nel trattamento delle riniti allergiche [2] o per l’eradicazione dell’H. Pylori nella popolazione pediatrica, dove spesso fallisce il ricorso agli antibiotici [3]. Piuttosto indicativo, rispetto al ruolo che vanno ricoprendo questi prodotti, è un recente studio statunitense che ha preso in considerazione una coorte di oltre 2300 anziani (età media 71 anni) valutando, nel 2005-2006 e nel 2010-2011, la loro assunzione di farmaci su prescrizione, farmaci da automedicazione e, appunto, integratori (dietary supplements). Tra le due valutazioni, il numero delle persone trattate con almeno 5 farmaci è salito dal 30,6% al 35,8%, ma ancora di più è aumentato il numero di coloro che assumevano integratori: dal 51,8% – dato comunque elevato – al 63,7%. In particolare va sottolineato l’aumento del ricorso agli omega-3 dell’olio di pesce, passato dal 4,7% della coorte al 18,5%. Al contrario, il ricorso a farmaci di automedicazione è sceso dal 44,4% al 37,9% [4]. Secondo gli autori, nella coorte il numero delle persone esposte a potenziali interazioni farmacologiche è cresciuto dall’8,4% al 15% circa, e queste potenziali interazioni riguardavano in maggioranza i farmaci etici e i supplementi dietetici. Un altro gruppo spesso indagato che ha mostrato uno schema analogo è la popolazione femminile in post-menopausa.
Una rassegna di qualche anno fa segnalava come il ricorso a medicine complementari, nelle quali gli autori comprendevano tanto l’uso della fitoterapia quanto quello di supplementazioni dietetiche, fosse attuato dal 50- 80% della popolazione. L’insonnia, la depressione i disturbi gastrointestinali, sono le condizioni per le quali più frequentemente si ricorre a supplementi non vitaminici, ai quali si aggiunge la sintomatologia tipica del climaterio (in uno degli studi considerati il consumo di fitoestrogeni della soia toccava il 25% del campione [5]). E’ quindi divenuto fuorviante, come è stato fatto fino a non molto tempo fa, considerare il ricorso alla nutraceutica esclusivamente come una pratica complementare. Sarebbe forse più corretto, in linea di principio, considerarla come una prima fase del trattamento o come il trattamento di pazienti che presentano condizioni alterate ma sono ancora a basso rischio. L’esempio più calzante sono i prodotti proposti, con successo, per il trattamento delle dislipidemie a base di derivati del riso rosso fermentato, la cui azione è dovuta alla monacolina K, sostanza chimicamente identica alla lovastatina.
A fronte dei dati di efficacia e, d’altra parte, dei dati di mercato, sono opportune alcune considerazioni. In primo luogo ci si deve interrogare sul perché del gradimento da parte della popolazione che, a mio avviso, è dovuto in buona misura alla convinzione che la nutraceutica costituisca una sorta di via alla salute “demedicalizzata”. È abbastanza chiaro che questo convincimento porta delle conseguenze potenzialmente pericolose a più livelli, già segnalate in letteratura. Per esempio, l’assunzione di integratori indipendentemente dal fatto che siano in atto terapie farmacologiche, magari mirate alla stessa condizione su cui interviene il prodotto nutraceutico; oppure che si riproponga quanto già accaduto per il farmaco di automedicazione, cioè l’uso sistematico a insaputa del medico curante. Atteggiamenti che costituiscono una risposta fallace al bisogno di avere un atteggiamento attivo e autonomo nei confronti della propria salute. Per il farmacista si impone dunque un allargamento del suo intervento anche su questo aspetto. Un compito non semplice che richiede innanzitutto uno sforzo culturale: come mostra uno studio pubblicato un paio di anni orsono, le conoscenze del farmacista di comunità in merito ai supplementi nutrizionali è ancora limitata. In una scala da 1 a 100 la conoscenza di questi temi esibita dai campioni arruolati in oltre 5000 studi raggiungeva un valore mediano pari a 64 [6]. Sforzo culturale che, per inciso, non riguarda soltanto il farmacista o il medico, ma anche la stessa industria se, come segnalato da altri studi, non sempre i prodotti nutraceutici sono corredati da quegli studi, per esempio di farmacocinetica, condotti per qualsiasi farmaco, al di là del fatto che siano o meno richiesti dagli enti regolatori o dalle autorità sanitarie [5]. Senza questo ampliamento di conoscenze è arduo per il farmacista aiutare il paziente a fare un uso consapevole e razionale di questi presidi, sottolineandone funzioni e importanza e, come prescrive l’OMS in tema di automedicazione, stabilendo aspettative realistiche.
L’integratore – per usare un gioco di parole – va integrato nello schema generale dell’autocura, che comprende il ricorso al farmaco da banco ma anche lo stile di vita e le pratiche igieniche nel senso più ampio. Tenendo in considerazione che ormai, come avviene per il farmaco, il pubblico ricorre massicciamente a Internet anche nel nostro Paese per ottenere informazioni e che è difficile definire il livello dell’informazione accessibile per questa via [7]. Si apre poi l’importante capitolo della farmacovigilanza. Anche in Italia stanno cominciando a comparire studi sulle segnalazioni relative a prodotti nutraceutici, ma occorre sviluppare questo aspetto [8]. Da questo punto di vista, l’attuale struttura del mercato offre un’opportunità unica per impostare correttamente questo capitolo: il fatto che oltre l’80 per cento degli integratori sia acquistato in farmacia e che lo stesso cittadino preferisca in ogni caso rivolgersi al farmacista quando si tratta di prodotti più immediatamente percepiti come vicini al farmaco. A questo proposito sarebbe anche opportuno valutare se il dossier farmaceutico aggiornato dal farmacista – previsto come standard all’interno del Fascicolo sanitario elettronico – non debba considerare anche il ricorso ai nutraceutici tra gli elementi da tracciare, così da renderlo visibile a tutti gli attori che hanno in carico il cittadino-paziente, esattamente come viene richiesto per l’uso del farmaco di automedicazione. Se, come è evidente, l’integratore nutrizionale è a pieno diritto un presidio per il mantenimento della salute, la prevenzione e sempre più spesso la cura, non è pensabile che non sia oggetto dell’attenzione che si riserva a tutti i presidi. E in questa fase l’azione del farmacista è uno degli elementi cardine per ottenere questo risultato.
Bibliografia
[1] Nielsen Market Track Healthcare. 2014.
[2] Wassenberg J et al. Efficacy and safety of the probiotic Lactobacillus paracasei LP-33 in allergic rhinitis: a double-blind, randomized, placebocontrolled
trial (GA2LEN Study). Eur J ClinNutr. 2014; 68: 602-7.
[3] Hassan ST, Šudomová M. Probiotics as Dietary Supplements for Eradication of Helicobacter pylori Infection in Children: A Role Beyond
Infection. Children (Basel). 2016; 3: pii: E27.
[4] Qato DM et al. Changes in Prescription and Over-the-Counter Medication and Dietary Supplement Use Among Older Adults in the United
States, 2005 vs 2011. JAMA Intern Med. 2016; 176: 473-82.
[5] Gardiner P et al. Concomitant use of prescription medications and dietary supplements in menopausal women: an approach to provider preparedness.
Maturitas. 2011; 68: 251-5.
[6] Waddington Fetal. A systematic review of community pharmacist therapeutic knowledge of dietary supplements. Int J Clin Pharm. 2015; 37:
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[7] Lombardo S, Cosentino M. Internet Use for Searching Information on Medicines and Disease: A Community Pharmacy-Based Survey Among
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[8] Mazzanti G et al. Adverse reactions to dietary supplements containing red yeast rice: assessment of cases from the Italian surveillance system.
Br J Clin Pharmacol. 2017 Jan 17 [Epub ahead of print].