Oggi è ben documentato che il tipo di dieta può condizionare il tipo di batteri presenti nell’intestino. In un recentissimo lavoro (1), l’irlandese Liam O’Mahony ha descritto in modo avvincente l’importanza di butirrato e propionato (due acidi grassi a catena corta – SCFA) nel controllare la progressione della malattia allergica respiratoria o alimentare nei bambini di un anno. I bambini con il maggior contenuto di acido butirrico e di acido propionico nelle feci avevano infatti una ridotta prevalenza di disturbi allergici e soprattutto avevano una minore prevalenza di malattia allergiche (dall’asma alle allergie alimentari) negli anni successivi. Perché l’intestino contenga un buon livello di questi acidi grassi, è importante che siano presenti la fibra alimentare e un microbioma attivo: è grazie alla fibra che i batteri possono costruire degli acidi grassi a catena corta che sono in grado di modulare il sistema immunitario. Senza fibra il microbioma non cresce e si sviluppa in modo anomalo. O’Mahony ha anche valutato la somministrazione di butirrato e di propionato a topi allergici, ottenendo una netta riduzione della sintomatologia rispetto ai controlli non trattati. Questo apre ovviamente la strada a nuove possibilità terapeutiche che non possono e non devono limitarsi alla semplice “somministrazione” di un po’ di acidi grassi a catena corta, ma devono agire sulla rielaborazione di un piano dietetico personalizzato, sul controllo dell’infiammazione e sul mantenimento di un microbioma attivo. Inoltre, le evidenze epidemiologiche segnalano che sia l’obesità sia l’asma siano entrambi segnali di una disbiosi, cioè di una alterazione del microbioma e che l’evidenza di queste condizioni si può trovare anche in tutte le altre superfici di rivestimento dell’organismo. Questo è in linea con le indicazioni originate coi lavori di Sozanska (2) e poi riproposte recentemente. Una analisi effettuata su una popolazione polacca (area vicina a Sobotka), profondamente rurale fino al 2000 e poi divenuta gradualmente industrializzata, ha permesso di definire che la presenza nei primi 2 anni di vita di un bambino del contatto con animali da fattoria (in particolare le mucche) comporta una condizione di tipo tollerogeno durante tutta la vita successiva. In pratica, se il bambino ha vissuto a contatto con il microambiente delle stalle, ricco di possibili batteri “contaminanti” e sicuramente favorente la biodiversità intestinale, nella vita sarà molto meno allergico di qualunque suo coetaneo cresciuto in città. Un tempo si diceva che la campagna faceva bene, e che l’inquinamento faceva male mentre oggi sappiamo che la causa di questa differenza dipende soprattutto dai batteri intestinali con cui è entrati a contatto da piccoli.
Fonti:
1) Allergy. 2018 Nov 3. doi: 10.1111/all.13660. [Epub ahead of print]
2) Allergy. 2007 Apr;62(4):394-4000