Le malattie cardiovascolari su base aterosclerotica (essenzialmente le malattie coronariche come l’infar- to di cuore e le malattie cerebrovascolari come l’ictus cerebrale) rappresentano nel mondo moderno, e specie nei Paesi industrializzati come l’Italia, la principale causa di invalidità e di morte. Si tratta di malattie a genesi tipicamente multifattoriale, alla cui comparsa contribuiscono molte condizioni (note come “fattori di rischio”) che la ricerca epidemiologica e clinica ha contribuito a identificare con buona chiarezza negli ultimi anni. Alcuni di questi fattori di rischio (ipercolesterolemia, ipertensione, sovrap- peso) sono molto diffusi tra gli adulti, con prevalenze che spesso sono dell’ordine del 50% o più della popolazione totale.1
Ci si potrebbe chiedere quali siano i motivi di questa amplissima diffusione di condizioni che compor- tano rischi per la salute molto elevati (le malattie cardiovascolari sono fatali, al primo esordio, nel 30- 50% dei casi) e che comportano costi sanitari e sociali pure estremamente elevati (cosa di non minore rilevanza, nelle società moderne).
Con ogniprobabilità la spiegazione è relativamente semplice: queste patologie colpiscono, nella grande maggioranza dei casi, individui oltre i 50-60 anni di età; in una fase della vita, quindi, nella quale le persone colpite hanno già avuto “tempo” per generare e crescere (rendendoli autonomi) i figli. Si tratta quindi di malattie che non rappresentano un reale rischio per la continuazione della specie (la genera- zione successiva è “garantita”): e questo probabilmente spiega perché la nostra specie sia relativamente poco dotata di meccanismi di protezione dalla loro comparsa. Molti dei fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, tra l’altro, possono rappresentare addirittura “fattori di protezione” nei primi decenni della vita (specie se si pensa alle condizioni di vita dei nostri progenitori di qualche decina o centinaia di migliaia di anni addietro): è quindi comprensibile come tali condizioni siano state “protette” e non “combattute” dai meccanismi dell’evoluzione descritta da Darwin. Una maggiore aggregazione piastri- nica (che attualmente rappresenta un evidente fattore di rischio per la trombosi, e quindi per tutte le malattie cardiovascolari) rappresentava probabilmente in passato un fattore di protezione dal rischio di emorragie gravi o potenzialmente fatali; valori moderatamente elevati della pressione arteriosa (che oggi consideriamo un grave fattore di rischio cardiovascolare) potevano consentire, anche nelle giornate più calde e umide, una maggiore efficienza fisica e muscolare; la presenza di sovrappeso (e quindi di una certa quantità di grasso di deposito) poteva rappresentare un fattore di protezione durante periodi di carestia o durante gli inverni glaciali.
Queste condizioni, ora divenute “fattori di rischio” a causa del marcatissimo aumento della speranza di vita tipico delle società moderne, ma “fattori protettivi” in un passato non troppo lontano e quindi evoluzionisticamente protette, rappresentano un ambito tipico di intervento “attivo” del singolo soggetto, o della società: che deve farsi carico di una “zavorra genetica” che non svolge quindi più una funzione di supporto, ma piuttosto di grave danno potenziale, e deve quindi controllare, per periodi anche molto lunghi (anni o decenni) queste condizioni spesso del tutto asintomatiche e prive diun efficiente controllo da parte dell’organismo. Questi interventi potranno in molti casi limitarsi a correzioni dello stile di vita (e in particolare dell’alimentazione e dell’attività fisica), ma dovranno includere, in un numero crescente di casi, anche l’uso di integratori mirati e, ove opportuno, di farmaci specifici.2
La prevenzione delle malattie cardiovascolari, tipiche dell’età avanzata (la grande maggioranza degli eventi sia cardio che cerebrovascolari colpisce infatti, come si ricordava, ben oltre i sessant’anni di età, e nella popolazione femminile in genere oltre i settant’anni) pone quindi la specifica necessità di control- lare, mediante interventi appropriati, i fattori di rischio nel corso dell’età adulta, per evitare la comparsa di eventi che, una volta manifestati, comportano spesso una riduzione significativa della qualità di vita del soggetto colpito e un aumento del carico di lavoro e dei costi per i suoi caregivers.
In questo contesto, le osservazioni epidemiologiche ed i grandi studi di intervento hanno ben documen- tato l’importanza della frazione della colesterolemia legata alle lipoproteine a bassa densità (LDL) nel determinare il rischio di eventi coronarici come infarto, e l’efficacia della riduzione dei livelli plasma- tici di tali lipoproteine nella riduzione del rischio stesso. Molte evidenze suggeriscono infatti che ogni riduzione della colesterolemia legata alle LDL, nell’intero range delle età sinora considerate (ed anche quindi in età geriatrica – si vedano ad esempio i risultati dello studio PROSPER o delle subanalisi di studi quali l’HPS), con qualunque intervento ottenuta, induca nel tempo una riduzione di pari ampiezza percentuale del rischio coronarico e, più in generale, cardiovascolare.3
Numerosi integratori alimentari sono dotati diuna documentata efficacia su tale parametro, ed è quindi ragionevole assumere (pur in assenza, per la maggior parte di questi prodotti, di studi di intervento controllati) che un loro uso protratto nel tempo consentirà di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari nei soggetti che li assumono. Verrà discusso, al proposito, l’effetto dei fitosteroli, degli integratori a base di “riso rosso fermentato”, del beta-glucano e della berberina.
❚ I fitosteroli
I fitosteroli, o steroli vegetali, sono composti con una struttura molecolare molto simile a quella del co- lesterolo (da cui differiscono solamente per la catena laterale), presenti in quantità variabili in tutti gli alimenti di origine vegetale.4 I fitosteroli competono con i meccanismi intestinali di assorbimento del colesterolo, sostituendosi “molecola per molecola” al colesterolo stesso nella formazione delle micelle miste che vengono poi internalizzate nella cellula intestinale attraverso una proteina di trasporto recen- temente caratterizzata, denominata NPC1L1.5
È noto che l’omeostasi del colesterolo nell’organismo (e quindi i suoi livelli plasmatici, che come si ricordava rappresentano uno dei principali fattori di rischio coronarico) è controllata essenzialmente da due fenomeni: la sintesi epatica e l’assorbimento intestinale. Nonostante i meccanismi della sintesi siano in genere quantitativamente dominanti, l’inibizione dell’assorbimento comporta comunque un calo della colesterolemia, perché il minore afflusso di colesterolo al fegato, attraverso i chilomicroni veicolati dalla linfa, “costringe” il fegato ad aumentare l’espressione dei recettori per le LDL presenti sulla superficie degli epatociti, aumentando la captazione di queste lipoproteine e abbassando quindi la loro concentrazione nel plasma. I fitosteroli, dopo il loro ingresso nella cellula intestinale, vengono riconosciuti da specifici meccanismi di pompa (denominati ABCG5/G8) e vengono nuovamente espulsi nel lume intestinale, dove possono competere nuovamente con l’assorbimento del colesterolo. L’inibizione dell’assorbimento del colesterolo da parte dei fitosteroli è potenziata dalla loro capacità di co-cristallizzare con il colesterolo stesso, aumentandone così l’escrezione fecale.
Tutti questimeccanismisono dose-dipendenti: l’azione dei fitosteroli sull’assorbimento del colesterolo è infatti correlata alla quantità dei fitosteroli stessi presente nel lume intestinale. Tale correlazione, de- finita in modo accurato sul piano quantitativo ormai da almeno 10 anni6 prevede che, per svolgere un significativo effetto ipocolesterolemizzante, vengano somministrate quantità di fitosteroli dell’ordine di almeno 1,5 g/die; tale dose va assunta con uno dei pasti principali perché la maggiore presenza di colesterolo diorigine alimentare nell’intestino, e la secrezione biliare contenente colesterolo indotta dal pasto, ottimizzano l’efficacia diquesti composti.7 Alle dosi ricordate (1,5-2,0 g/die) i fitosteroli riducono la colesterolemia LDL del 9-10% circa;8 tale riduzione, se protratta nel tempo, indurrà un analogo calo della probabilità del soggetto che li assume di incorrere in un evento cardiovascolare maggiore (infarto miocardico fatale o non fatale).
L’inserimento nella dieta di prodotti arricchiti in fitosteroli o integratori a base di queste molecole può quindi consentire di risolvere l’eccesso di rischio associato a modesti aumenti della colesterolemia LDL (fino al 10% oltre il proprio valore ottimale); in linea di principio queste molecole possono tuttavia anche efficacemente sinergizzare con le statine, i farmaci più impiegati nel controllo della colestero- lemia. I fitosteroli possono infatti neutralizzare l’aumento dell’assorbimento del colesterolo indotto compensativamente dalle statine stesse; il calo della colesterolemia da loro indotto, inoltre, si somma a quello indotto dalle statine e corrisponde approssimativamente, sulla base della farmacologia di questi composti, ad una quadruplicazione del dosaggio della statina impiegata. Tale associazione va comunque realizzata sotto il diretto controllo del medico.
❚ Il riso rosso fermentato
Il riso rosso fermentato, ormai molto popolare sul nostro mercato nazionale, rappresenta il prodotto, purificato, diun fungo (Monascus purpureus) che produce una molecola ad attività inibitoria sulla sintesi epatica del colesterolo, la monacolina K.9 Chimicamente indistinguibile dalla lovastatina, la monacolina K è dotata della capacità di inibire l’enzima chiave nella sintesi del colesterolo, l’HMGCoA reduttasi. La molecola, peraltro, è caratterizzata da una biodisponibilità sensibilmente maggiore rispetto a quella del farmaco di sintesi: l’efficacia nella riduzione della colesterolemia LDL è infatti superiore rispetto a quanto si osserva per analoghi dosaggi del farmaco stesso.
È interessante osservare che un prodotto con le caratteristiche del riso rosso fermentato (xuezhikang) è stato esaminato, in Cina, in uno studio clinico randomizzato, condotto su una popolazione di circa 5000 soggetti, di cui circa 1400 di età adulta o avanzata (da 65 a 75 anni all’arruolamento), con un pregresso evento coronarico come l’infarto. Lo studio (China Coronary Secondary Prevention Study) ha valutato sia la capacità del prodotto di ridurre la colesterolemia totale e LDL, e sia soprattutto la possibilità di ridurre, grazie al controllo del profilo lipidico, l’incidenza di recidive coronariche.10
Il prodotto ha indotto un’ampia riduzione della colesterolemia LDL, e questo si è tradotto, nei circa 4 anni di durata dello studio, in una riduzione statisticamente significativa e clinicamente sensibile degli eventi coronarici fatali e non fatali, degli ictus cerebrali e della mortalità per qualunque causa (-31%, -44% e -32%, rispettivamente).
L’elevata biodisponibilità del prodotto, e quindi la possibilità di ottenere un effetto farmacologico significativo con dosi più basse rispetto a quelle del farmaco corrispondente, può forse contribuire a spiegare il migliore profilo di sicurezza, osservato in alcuni studi (come nello studio clinico prima citato); questo profilo di sicurezza e tollerabilità si tradurrebbe anche in una maggiore adesione del paziente allo schema terapeutico prescritto.11
❚ Il beta-glucano
Efficace nel controllo della colesterolemia LDL è anche il beta-glucano, una fibra insolubile presente in piccole quantità nei cereali e in alcuni funghi, e in quantità maggiori nell’orzo e nell’avena, attualmente disponibile come integratore o come ingrediente di alimenti fortificati.
In numerosi studi controllati il beta-glucano ha documentato la propria capacità, per quantità di con- sumo dell’ordine di 3 g al giorno, di ridurre la colesterolemia LDL di circa 5/6 punti percentuali. No- nostante il meccanismo d’azione di questo composto non sia del tutto noto (anche se è probabile che i meccanismi in gioco siano essenzialmente legati a effetti sull’assorbimento o sull’escrezione fecale del colesterolo stesso, o degli altri grassi alimentari) la sua efficacia è ormaiben documentata,13,14 e riconosciu- ta da EFSA con claims sia ex art. 13 e sia ex art. 14: alcune recenti meta analisi (l’ultima pubblicata nel 2014), in particolare, hanno definito con grande accuratezza la portata dell’effetto sulla colesterolemia LDL, in assenza di effetti significativi sulle altre frazioni del profilo lipidico.
Il beta-glucano svolge altri effetti metabolici di tipo favorevole: sembra infatti in grado di influenzare favorevolmente la glicemia (probabilmente per un effetto di adsorbimento del glucosio liberato dagli enzimi digestivi, che ne rallenta l’assorbimento) e svolge probabilmente un effetto di tipo prebiotico (migliora cioè selettivamente la presenza di alcuni ceppi batterici del microbiota intestinale).
❚ La berberina
La berberina è l’ultima apparsa (in ordine di tempo) sul mercato degli integratori finalizzati al miglio- ramento del profilo lipidico. Caratterizzata da una significativa capacità di ridurre il colesterolo legato alle lipoproteine aterogene LDL, ma anche da effetti favorevoli sul profilo glicemico, la molecola è dotata di meccanismi d’azione multipli, tuttora in fase di studio. Da un lato sembra infatti in grado di ridurre i livelli plasmatici di una proteina recentemente scoperta e caratterizzata, denominata PCSK9, che riduce la capacità dei recettori per LDL di ritornare sulla superficie cellulare dopo aver completato il ciclo di internalizzazione e di digestione di una LDL. L’effetto finale della PCSK9, in altre parole, è di ridurre la presenza dei recettori per le LDL sulla superficie degli epatociti (e quindi la capacità del fegato di “catturare” le LDL dal plasma): la sua attività correla quindi in modo inverso con la concentrazione plasmatica delle LDL stesse, e la riduzione dei suoi livelli plasmatici svolge un chiaro effetto ipocole- sterolemizzante. È interessante sottolineare che soggetti con anomalie genetiche che comportano una perdita di efficacia della PCSK9 hanno valori ridotti della colesterolemia LDL, ed un ridotto rischio di infarto di cuore: confermando così l’importanza di questa proteina nel determinismo della malattia aterosclerotica coronarica nell’uomo. Ilmeccanismo di inibizione della PCSK9 è diparticolare interesse, tanto che sono ormai in fase avanzata di sviluppo alcuni farmaci (anticorpi monoclonali) finalizzati a ridurre l’attività di quest’enzima nel plasma, e che sono in grado di indurre riduzioni molto ampie (fino al 50%) dei livelli delle LDL plasmatiche.
La berberina, d’altra parte, svolgerebbe anche effetti genici più specifici, stabilizzando l’RNA messaggero che codifica per il recettore per le LDL. La combinazione di questi due meccanismi (stabilizzazione dell’mRNA e riduzione dell’attività della PCSK9) porta ad un’aumentata presenza del recettore stesso sulla superficie dell’epatocita ed incrementa quindi, conseguentemente, la captazione cellulare delle LDL, riducendone i livelli plasmatici (in media del 20-30% circa).15
Il meccanismo di controllo della glicemia da parte della berberina è pure complesso, e correla sia con la capacità diquesta molecola di ridurre l’assorbimento intestinale di glucosio e sia con l’effetto di aumento della captazione muscolare ed epatica del glucosio stesso.15
Nonostante l’elevata efficacia, e i complessi meccanismi d’azione, la berberina sembra caratterizzata da un elevato profilo di tollerabilità.
I principi attivi sul mercato, quindi, consentono di intervenire sulla colesterolemia LDL con una vasta gamma di interventi, la cui efficacia ipocolesterolemizzante varia dal 5% al 30% circa. Alcune di queste molecole, inoltre, possono sinergizzare per la complementarietà dei rispettivi meccanismi di azione, e rafforzare gli effetti di diete o farmaci ipocolesterolemizzanti.
Ci si può a questo punto chiedere quale sia l’utilizzabilità pratica diquesti integratori per il controllo della colesterolemia nella popolazione nazionale italiana. Datirecentemente pubblicati dal nostro gruppo, ela- borando le informazioni raccolte in un ampio studio epidemiologico osservazionale, lo studio CHECK, consentono dirispondere inmaniera relativamente precisa aquesta domanda.15,16 Applicando al campione CHECK (selezionato inmanierarandomizzata, equindi rappresentativo della popolazione italiana adulta di età tra i 40 e 79 anni) le linee guida per il controllo della colesterolemia della Società Europea dell’A- terosclerosi, che prevedono per soggetti con crescente rischio cardiovascolare il raggiungimento di livelli progressivamente più bassi della colesterolemia LDL (“target levels”, o valori obiettivo), è infatti possibile calcolare quanti soggetti abbiano bisogno di ridurre la propria colesterolemia e quanti, in particolare, possano raggiungere il proprio valore obiettivo stesso mediante interventi di tipo non farmacologico.
Ne emerge che circa 5 milioni di soggetti distano dal proprio target tra il 5 e il 30%, e potrebbero pertan- to, in linea teorica, raggiungere il proprio valore obiettivo utilizzando appropriatamente gli integratori ipocolesterolemizzanti disponibili sul mercato nazionale; tale numero non tiene poi conto del fatto che anche i soggetti già “a target” possono ridurre ulteriormente il loro rischio cardiovascolare portando a valori ancora più bassi (secondo il concetto “the lower, the better”) la propria colesterolemia LDL.
❚ Grassi polinsaturi
Un meccanismo d’azione completamente differente, ed in larga parte svincolato da effetti sul profilo lipidico, è invece appannaggio dei grassi polinsaturi della famiglia degli omega-3.
Questi acidi grassi a lunga catena, ad elevato tasso di insaturazione, sono naturalmente presenti in molti alimenti di origine vegetale, in genere in piccola quantità, sotto forma del capostipite a 18 atomi di carbonio, l’acido alfa-linolenico, o ALA; nel pesce e negli animali marini si trovano invece in quantità più abbondanti le due molecole a più lunga catena (acido eicosapentenoico, o EPA, e acido docosae- saenoico, o DHA, a 20 e 22 atomi di carbonio, rispettivamente). La conversione in vivo dell’ALA a EPA, è efficiente, mentre quella dell’EPA e DHA lo è molto meno, rendendo opportuna, ove possibile, l’assunzione diretta di questo acido grasso con alimenti o integratori.
Gli omega-3, nel loro complesso, svolgono azioni varie e integrate, essenziali sia per il normale sviluppo diorgani e tessuti (e specie la retina, il cervello, il cuore) e sia per una loro corretta funzionalità. Svolgono anche effetti efficaci nella prevenzione cardiovascolare, e di alcune condizioni patologiche molto diffuse, a dosaggi e con tempi di latenza differenti.17,18
A dosaggi adeguati, gli omega-3 (e specie quelli a lunga catena) svolgono un’azione di tipo antinfiam- matorio (in parte per l’azione di sostituzione dell’acido arachidonico, e degli eicosanoidi che ne deri- vano – come i leucotrieni ed i trombossani da parte dell’EPA), ma anche per la capacità di dare origine a molecole più complesse, sintetizzate a partire dal DHA, dotate della specifica capacità di modulare i fenomeni infiammatori (le resolvine). Hanno anche capacità di tipo antiaggregante (comportandosi quindi come una sorta di“aspirina alimentare”) pure dovute all’azione di competizione dell’EPA rispetto all’acido arachidonico, e, ad alti dosaggi (oltre i 3 g/die), di riduzione della trigliceridemia.
Sul piano più strettamente clinico, gli omega-3 a lunga catena posseggono una diretta e spiccata proprietà di tipo antiaritmico (che spiega probabilmente l’effetto di riduzione della mortalità per qualunque causa osservato in alcuni grandi studi di intervento, come il GISSI Prevenzione, ed in molti studi di epidemiologia osservazionale).
L’uso di integratori a base di omega-3 ha un significato preciso nei soggetti nei quali, per i motivi più vari, l’apporto sia inadeguato, e non possa essere corretto. È importante sottolineare, al proposito, la rilevanza diquesti fenomeni nella persona anziana, che spesso, per i motivi più vari, fatica ad assumere le quantità necessarie di pesce (e specificamente di pesce grasso). Più difficile è immaginare di raggiungere i dosaggi efficaci nella prevenzione della morte improvvisa in prevenzione secondaria, tipica di dosaggi farmacologici di questi principi.
Aree di maggiore complessità, sul piano scientifico e formale, sono quelle legate al controllo dello stress ossidativo. Nonostante lo stress ossidativo (essenzialmente il danno causato dai radicali liberi a molecole complesse come le proteine, i grassi polinsaturi, gli acidi nucleici, e cioè DNA e RNA) sia certamente coinvolto nella genesi delle malattie degenerative, l’impiego di molecole ad azione antiossidante nel controllo e nella prevenzione del danno ossidativo stesso ha sortito risultati di non agevole interpre- tazione. Alcuni studi con antiossidanti purificati (essenzialmente beta-carotene e vitamina E) hanno avuto una conclusione non favorevole o senza evidenze di effetto protettivo; è tuttavia probabile che le molecole ad azione antiossidante debbano lavorare “in concerto” tra di loro, e che quindi complessi costituiti o contenenti vari principi ad azione antiossidante possano svolgere in maniera più efficace la loro azione protettiva.
Sarebbe tuttavia concettualmente pericoloso abbandonare la ricerca nel settore, che necessita solamente di una migliore comprensione di questi fenomeni, e della possibilità di controllarli mediante interventi mirati.
La ricerca nel settore, molto attiva, sta accumulando informazioni che potranno, in tempibrevi, portare ad affiancare aiprodotti già sul mercato altre molecole, o combinazioni dimolecole, in grado dimodulare in modo adeguato questi fenomeni, ai quali correlano, per esempio, molte delle risposte infiammatorie coinvolte nello sviluppo delle malattie degenerative.
L’ambito della prevenzione cardiovascolare, in conclusione, probabilmente per motivi di natura evolu- zionistica, si caratterizza per la necessità di controllare fattori di rischio specifici, per tutta la durata della vita umana, alla cui presenza si associa un aumento del rischio di eventi clinici come l’infarto miocardico o l’ictus cerebrale. La gestione del profilo lipidico, probabilmente il principale fattore di rischio per le malattie coronariche, può contare su un’articolata serie di efficaci principi attivi, in grado di controllare le alterazioni della colesterolemia in un’ampia gamma di valori. Gli omega-3 arricchiscono il bagaglio degli integratori ad azione protettiva sull’apparato cardiovascolare con effetti più complessi, e solo in parte compresi. Il controllo dei fenomeni ossidativi, tuttora in fase di studio, potenzierà, intervenendo su fenomeni di grande rilevanza teorica, le capacità preventive nei riguardi di queste diffuse patologie.
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