La medicina di genere è un importante approccio clinico e di ricerca scientifica, mirato ad una più precisa applicazione delle conoscenze biomediche per quanto riguarda l’uomo e la donna, che, come ben sappiamo, presentano, in termini di gestione della salute, numerose somiglianze, ma anche importanti e specifiche peculiarità. In questo contesto, anche la nutraceutica di genere, declinata al femminile in questa rassegna, rappresenta una significativa opportunità. L’opzione nutraceutica nella donna dovrà anzitutto considerare le varie fasi della vita e le relative caratteristiche. I principali cambiamenti che hanno luogo durante la vita di una donna sono rappresentati dal rapido sviluppo in periodo adolescenziale con la comparsa del menarca, dall’età fertile che può comprendere varie condizioni, quali la possibile presenza di gravidanza e allattamento, ma anche l’utilizzo di contraccettivi orali (CO), dalla transizione menopausale e dalla fase di invecchiamento, che oggi è particolarmente prolungata in particolare in Italia. Ognuna di queste fasi presenta necessità nutrizionali specifiche e di conseguenza talvolta anche criticità peculiari. Una nutrizione non corretta e disordinata, le diete a basso apporto calorico e quelle mirate al calo ponderale, se non applicate correttamente, e la scelta di regimi vegetariani/vegani possono infatti rendere la donna ancora più a rischio di squilibri nutrizionali. La nutraceutica può quindi fornire anche in questo ambito un interessante supporto.
Pubertà e adolescenza
La pubertà è il periodo di passaggio dall’infanzia all’età adulta e si associa alla comparsa del menarca e allo sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Nella società attuale, durante questo periodo le ragazze, come del resto anche i maschi, tendono ad avere un’alimentazione non equilibrata con possibili ripercussioni negative sulla regolarità del ciclo mestruale e con la comparsa di anemia carenziale, disturbi della sessualità, depressione e ridotto accrescimento della massa ossea. Il menarca, se associato a ridotto apporto di ferro e di altri micronutrienti associati alla eritropoiesi, quali le vitamine del gruppo B, può infatti portare rapidamente a una anemia carenziale, che sarà ancor più severa se la ragazza pratica attività sportiva intensa. L’adolescenza è anche un periodo molto importante per lo sviluppo dello scheletro, che comporta un aumento del fabbisogno di vitamina D e di calcio. Nel 2008 l’American Academy of Pediatrics [1] ha pubblicato le raccomandazioni per una corretta supplementazione di vitamina D e tali linee guida, recentemente aggiornate [2] e in accordo con l’Institute of Medicine (IOM) [3], propongono come dose giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Dietary Allowance) 400 UI per i neonati sotto 1 anno e 600 UI per tutto il resto della popolazione pediatrica (1-18 anni). Tale integrazione dovrebbe iniziare nei primi giorni di vita, indipendentemente dal tipo di allattamento adottato.
Negli adolescenti vanno tenute in considerazione le variazioni stagionali di esposizione al sole [4]: ogni Paese dovrebbe considerare la propria situazione locale e promuovere eventualmente una supplementazione durante l’inverno. Anche il calcio è necessario per l’accrescimento osseo e la sua assunzione durante l’infanzia e l’adolescenza influenza il raggiungimento del picco di massa ossea. La dose raccomandata di calcio dai 9 ai 18 anni è di 1300 mg/die: ad esempio, 240 mL di latte forniscono circa 300 mg di calcio. Sebbene diversi studi abbiano dimostrato un effetto positivo della supplementazione di calcio sul contenuto minerale osseo [5, 6], una recente metanalisi ha però riscontrato che l’integrazione di calcio non ha effetti sulla densità di massa ossea a livello della colonna vertebrale e del collo del femore; un piccolo effetto positivo è stato rilevato a livello degli arti superiori e sulla massa ossea totale [7]. Il magnesio è un altro componente importante della massa ossea [8-10] e circa la metà di tutto il magnesio presente nell’organismo si trova nell’osso stesso [11]. La dose giornaliera raccomandata è di 240 mg/die per le ragazze (9-13 anni) e di 360 mg/die per le adolescenti (14-18 anni) [12]. Un numero limitato di studi evidenzia come la supplementazione con magnesio diminuisca il turnover osseo e migliori la massa ossea [13-15]. È anche importante che le ragazze abbiano una quota di grasso sufficiente a garantire una regolarità mestruale. Avere un ciclo regolare vuol dire produrre concentrazioni ormonali, e in particolare di estrogeni, in grado di garantire un buon equilibrio psico-fisico. In questa fase può essere utile un’integrazione di aminoacidi e vitamine del complesso B, oltre ai sali minerali. Un problema opposto, ma che vede proprio in questo periodo il maggior rischio di sviluppo, è quello relativo al sovrappeso e all’insorgenza della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) con relativa insulino-resistenza (v. oltre).
Età fertile
Nel corso dell’età fertile, alcune condizioni specifiche possono beneficiare dell’approccio nutraceutico. Fra questi vi è la dismenorrea, un disturbo comune che interessa circa il 60% delle donne [16] e che può essere distinta in primaria o secondaria [17]. Si considera dismenorrea primaria il dolore mestruale senza la presenza di una patologia pelvica; il dolore è ciclico e crampiforme, inizia in genere poche ore prima o appena dopo l’inizio della mestruazione e dura per 48-72 ore [16-18]. La dismenorrea, colpendo sia le adolescenti che le donne adulte, rappresenta un importante e invalidante problema. Sono state proposte varie possibilità di trattamento, tra cui i CO, i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) e trattamenti non farmacologici, come l’esercizio fisico, l’agopuntura, la TENS (trans-electrical nerve stimulation) e integratori alimentari a base di vitamine E, B, C, calcio, magnesio, da soli o associati a erbe medicali [19-22]. I FANS, come ad esempio l’ibuprofene, sono efficaci nel trattamento della dismenorrea, ma possono essere controindicati in alcune tipologie di pazienti, come ad esempio in chi soffre di ulcera gastrica o duodenale, e hanno anche effetti avversi tra cui nausea, dispepsia, diarrea [16]. Per tali ragioni, l’uso di sostanze naturali di recente è aumentato esponenzialmente. Ne è un esempio la cannella, che è stata recentemente utilizzata per svariate applicazioni in campo medico. In uno studio randomizzato, in doppio cieco e placebo-controllato, in cui venivano somministrati 420 mg di cannella a giovani donne con dismenorrea primaria, è stata rilevata una riduzione significativa dell’intensità del sanguinamento e del dolore pelvico nel gruppo che assumeva cannella (Cinnamomum) [23]. Un’altra sostanza naturale utilizzabile è il finocchio (Foeniculum vulgare Mill) [24]. È stato dimostrato che sia i semi che l’estratto, l’aneto, di questa pianta aumentano l’appetito, hanno proprietà digestive, lassative ed anti-spastiche [25- 27]. Proprio quest’azione anti-spastica è probabilmente alla base della sua efficacia sulla dismenorrea [28-31]. Anche la vitamina E può essere utilizzata nel trattamento della dismenorrea primaria, grazie alla sua attività antiossidante, che sopprime l’ossidazione dell’acido arachidonico, diminuendo quindi la produzione di prostaglandina E2 [32-34]. Uno studio recente ha riportato che l’associazione vitamina E/acido mefenamico è in grado di alleviare maggiormente il dolore rispetto all’acido mefenamico da solo [35]. È stato osservato che anche la vitamina E da sola ha un effetto di sollievo dal dolore [34]. In un altro studio in doppio cieco randomizzato è stata confrontata l’efficacia di un’associazione finocchio/vitamina E con l’ibuprofene, osservando che il dolore era minore nel primo gruppo, rendendo questa combinazione una valida alternativa per le pazienti che non possono fare uso di FANS [36].
Un’altra condizione frequente è la sindrome premestruale (PMS), che affligge milioni di donne. È stato infatti stimato che l’80-90% delle donne in età riproduttiva ne sia affetta e che il 3-8% di queste lamenti una sintomatologia severa [37]. Questo disturbo consiste in una serie di sintomi fisici, emotivi e comportamentali [38, 39]. Oltre al trattamento farmacologico tradizionale, sono stati proposti trattamenti a base di vitamine, che sono risultati essere sicuri ed efficaci. La vitamina B1 ad esempio non ha alcun effetto indesiderato, sebbene un suo uso prolungato possa causare cefalea e, a volte, palpitazioni [40]. La vitamina B1 è utilizzata per trattare nausea e vomito e ha anche un’azione sulla depressione, la fatica, la dismenorrea e i crampi muscolari [41]. In uno studio randomizzato in doppio cieco è stato visto che la somministrazione di vitamina B1 riduceva i sintomi fisici e psichici della PMS rispetto al placebo [42]. Un altro possibile trattamento proposto è il magnesio, in quanto è stato osservato che i suoi livelli all’interno degli eritrociti e dei leucociti di donne con PMS risultano diminuiti rispetto alle altre donne [43]. Anche la vitamina B6, agendo mediante vari meccanismi dovrebbe ridurre la sintomatologia della PMS [15]. Sebbene alcuni studi riportino un’associazione inversa tra i livelli di vitamina D e il rischio di depressione [44, 45], fibromialgia [46], dismenorrea [47] e fibromi uterini [48, 49], l’utilità della supplementazione di questa vitamina nella prevenzione e nel trattamento della PMS deve invece essere ancora chiarita. In uno studio è stato osservato che le donne che assumono 400 UI/die di vitamina D hanno il 40% di rischio in meno di avere una diagnosi di PMS nei 2-4 anni successivi, quando paragonate alle donne che ne assumono 100 UI/die [50].
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è il più comune disordine endocrino nelle donne in età fertile, presente in più del 18% della popolazione femminile [51] e caratterizzata da un quadro clinico complesso (alterazioni dell’ovulazione, sovrappeso, insulino-resistenza, iperandrogenismo). Studi osservazionali hanno riscontrato nelle pazienti con PCOS una correlazione tra i marker di iperandrogenismo e i livelli di vitamina D. Le donne affette da irsutismo mostrano livelli di 25-OH-vitamina D (25-OH-D) più bassi rispetto ai controlli [52] e le donne con irsutismo e PCOS presentano livelli inferiori rispetto alle donne con PCOS senza irsutismo [53]. Ci sono ancora pochi studi sull’effetto della supplementazione di vitamina D sui marker di iperandrogenismo e si è visto che essa modula i livelli di testosterone e di altre molecole correlate [54, 55]. Un possibile approccio nutraceutico nella PCOS è rappresentato dall’inositolo, uno zucchero carbociclico, con proprietà insulino-sensibilizzanti. Due diversi stereoisomeri sono impiegati nel trattamento della PCOS: il myo-inositolo e il d-chiro-inositolo. Il myo-inositolo è l’isoforma dell’inositolo più abbondantemente rappresentata in natura; da questo, grazie all’azione di un’epimerasi, viene sintetizzato il d-chiro-inositolo. Questa reazione, dipendente dall’insulina, ha luogo prevalentemente nei tessuti insulino- sensibili, quali il fegato e il muscolo. Entrambi gli stereoisomeri presentano in vivo un’azione insulino-simile. La somministrazione di d-chiro-inositolo in donne con PCOS ha portato a una riduzione dei livelli sierici di testosterone e a un miglioramento del tasso di ovulazione e di parametri metabolici quali la pressione arteriosa e la trigliceridemia [56, 57]. Risultati simili sono stati ottenuti dopo somministrazione orale di myo-inositolo, precursore del d-chiro-inositolo [58-60]. Queste osservazioni sono in accordo con i comprovati effetti benefici dell’inositolo nel ridurre l’insulino-resistenza, migliorare la funzione ovarica e ridurre l’iperandrogenismo [61] e le manifestazioni cutanee a esso associate, in maniera sovrapponibile a quelli ottenuti con metformina [62, 63]. Il myo-inositolo possiede inoltre un’azione positiva nelle donne con forme PCOS-simili sottoposte a tecniche di procreazione assistita [64] e, quando associato alla monacolina K, riduce i livelli di androgeni e migliora il profilo lipidico [65].
Un’altra condizione che si può giovare dell’approccio nutraceutico è la cellulite o pannicolopatia edemato-fibro-sclerotica. Essa consiste in una locale alterazione del rilievo cutaneo che acquisisce un aspetto a buccia d’arancia, poiché i lobuli di grasso sporgono dalla struttura di collagene e penetrano nel derma. Questo fenomeno si manifesta sui fianchi e sulle cosce, ma può estendersi anche ad altre aree, come l’addome. Il problema, che inizia solitamente nel periodo dell’adolescenza, è presente a vari gradi in circa il 90% delle donne [66-68] e ha una fisiopatologia complessa, comprendente fattori genetici e legati allo stile di vita [69]. Sebbene l’esatta eziologia della cellulite sia dibattuta, la maggioranza degli autori concorda nel coinvolgimento di ridotta microcircolazione, edema, ipertrofia localizzata degli adipociti, aumentato stress ossidativo e una persistente infiammazione di basso grado, conalterazioni della matrice extracellulare [70-74]. Anche l’estensibilità e l’elasticità della pelle risultano alterate [75]. La patogenesi della cellulite potrebbe essere innescata da un’attivazione delle metalloproteinasi (MMP) indotta dagli ormoni che, indebolendo le pareti capillari e interrompendo l’integrità della matrice extracellulare [76], favorirebbero la fuoriuscita di liquido dai vasi, con reclutamento di cellule infiammatorie e ulteriore rilascio di MMP. Nel tentativo di riparare il danno, la matrice alterata diventa fibrosclerotica [72], mentre gli ormoni, stimolando l’attività metabolica degli adipociti, ne aumentano il volume. I lobuli ipertofici iniziano a esercitare una pressione sui capillari circostanti, aggravando la già fragile e ostacolata circolazione [75]. Come prevenzione e trattamento della cellulite si utilizzano preparazioni fitoterapiche che esercitano effetti positivi sul tessuto adiposo e sul tessuto connettivo e migliorano la microcircolazione. Possono essere usati per via orale, a livello topico o per via transdermica. I composti attivi comprendono caffeina, retinolo, forskolina (Coleus forskohlii), loto (Nelumbo nucifera), carnitina e escina. La caffeina, la cui azione è confermata in letteratura, è in grado di attivare la lipolisi inibendo l’azione della fosfodiesterasi e aumentando i livelli di adenosina-monofosfato negli adipociti [67, 77]. Numerosi studi sottolineano come l’associazione del trattamento con caffeina ad altre preparazioni possa aumentarne gli effetti terapeutici. Infatti l’assunzione di caffeina e di estratto di N. nucifera aumenta i benefici di una dieta equilibrata nel trattamento della cellulite [78], mentre l’associazione di caffeina, carnitina, forskolina e retinolo ne migliora i parametri [79]. Inoltre l’associazione di retinolo, caffeina e ruscogenina aumenta la microcircolazione migliorando quindi l’aspetto a buccia d’arancia [80]. Anche i singoli ingredienti hanno una documentata attività anti-cellulite; infatti il retinolo migliora lo spessore della pelle nelle pazienti con cellulite. L’escina, derivante dall’ippocastano, ha trovato applicazione come anticellulite, in quanto rafforza i capillari e limita l’edema [81]. La Centella asiatica è un ingrediente comune usato nei cosmetici e nei prodotti anti-cellulite. Contiene una varietà di composti attivi, tra cui asiaticoside (un glucoside triterpenico), brahmoside e brahminoside, madecassoside (un glucoside con forti proprietà antinfiammatorie), l’acido madecassico, tiamina, riboflavina, piridossina, vitamina K, aspartato, glutammato, serina, treonina, alanina, lisina, istidina, magnesio, calcio e sodio [82]. La Centella asiatica ha effetti benefici sul sistema venoso; è stato, infatti, dimostrato che la frazione triterpenica della centella è efficace nel migliorare le alterazioni della parete venosa nell’ipertensione venosa cronica e nel proteggere l’endotelio venoso [83]. La Centella asiatica è attiva sul microcircolo nella microangiopatia venosa e diabetica e può migliorare segni e sintomi di ipertensione venosa ed edema [83-85].
In conclusione, le diverse azioni benefiche della centella sul sistema venoso e sul tessuto connettivo la rendono utile per il trattamento dei problemi venosi e della ritenzione di liquidi associata a cellulite e in genere frequentemente presente nella donna, anche in associazione con l’uso di CO [86]. Gli effetti benefici del trattamento della cellulite con la Centella asiatica sono però confermati solo da pochi studi di qualità non elevata [87]. L’uso di CO può associarsi a carenze vitaminiche e quindi la loro integrazione mirata può essere utile. La vitamina B2, o riboflavina, è una vitamina idrosolubile presente sia nei tessuti animali che in quelli vegetali [88]. Alcuni studi hanno dimostrato che la carenza di riboflavina è comune nelle donne in età fertile e che l’uso di CO aggrava tale deficit [89]. Uno studio successivo ha dimostrato che gli integratori vitaminici inducono un significativo miglioramento nelle carenze preesistenti di vitamina B2 in donne che sono in trattamento con CO a basso dosaggio [90]. Questi risultati suggeriscono che la supplementazione di vitamina B2 nelle donne che assumono CO può essere importante soprattutto nelle aree geografiche dove la carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi è comune [91]. La vitamina B6 è una vitamina idrosolubile presente in molti alimenti [92]. Una carenza di vitamina B6 può causare bassi livelli di serotonina e/o alterazione della conversione del triptofano in niacina. La vitamina B6 è importante anche per mantenere livelli normali di omocisteina [93]. È stato riportato che l’uso di CO diminuisce i livelli di vitamina B6; poiché bassi livelli di vitamina B6 sono associati ad aumentato rischio di tromboembolismo venoso e arterioso (TE), è possibile ipotizzare che l’uso di CO aumenti il rischio di TE [94]. Evidenze più recenti sui CO a basso dosaggio confermano i dati precedenti e suggeriscono che la supplementazione può essere necessaria per mantenere adeguati livelli di vitamina B6 nelle donne che assumono CO [95]. La vitamina B12 o cobalamina è un nutriente essenziale e numerosi studi ne hanno rilevato bassi livelli sierici in donne che usano CO, rispetto a controlli [96-99]. Anche se vi è una stretta correlazione tra folati e vitamina B12, i meccanismi che determinano bassi livelli sierici di vitamina B12 in pazienti che usano CO sembrano essere diversi da quelli che causano bassi livelli sierici di folato; infatti la terapia con folati non corregge i bassi livelli sierici di vitamina B12 nelle donne che usano CO [99, 100]. I meccanismi che portano alla riduzione dei livelli sierici di vitamina B12 non sono ancora completamente chiari. La vitamina C è una vitamina idrosolubile che agisce come cofattore in una serie di reazioni metaboliche. Si è visto che i livelli di vitamina C nelle piastrine e nei leucociti sono ridotti in pazienti che usano CO, in particolare quelli contenenti estrogeni; pertanto è stato ipotizzato che l’estrogeno aumenti il metabolismo della vitamina C [101-104]. La vitamina E fa parte di un gruppo di potenti antiossidanti liposolubili. Alcuni autori hanno dimostrato che i CO combinati diminuiscono i livelli di tocoferoli nel plasma e, di conseguenza, hanno proposto che le donne che assumono questi farmaci facciano un’integrazione di vitamina E [105].
Gravidanza
Il concepimento, l’impianto e lo sviluppo iniziale della gravidanza, ma anche lo sviluppo placentare, richiedono energia e micronutrienti, tra cui le vitamine [106]. Vari studi clinici hanno dimostrato come l’uso di multivitaminici in epoca pre-concezionale sia protettivo nei confronti di patologie gravidiche quali la preeclampsia [107, 108], i rallentamenti di crescita e il parto pretermine [109, 110], ipotizzando che essi possano agire proprio sullo sviluppo e la funzione placentare [111, 112]. L’utilizzo di folato, da solo o contenuto in un multivitaminico, è raccomandato prima e nelle fasi iniziali della gravidanza, principalmente per il suo chiaro ruolo nella prevenzione dei difetti del tubo neurale [113, 114].
Particolare attenzione dovrebbe essere data all’anamnesi della donna prima dell’inizio della maternità, quando si pensa a proporre integratori specifici. Conoscere le caratteristiche del ciclo mestruale, la familiarità verso alcune patologie metaboliche quali diabete mellito di tipo 2 o ipotiroidismo, la pressione arteriosa e il peso corporeo aiuta a personalizzare la prescrizione di un integratore rispetto a un altro, in modo da correggere condizioni deficitarie (anemia sideropenica, elettroliti sotto i limiti della norma, pH urinario basso) e nello stesso tempo perseguire la prevenzione di patologie neonatali e gravidiche. Tra le varie vitamine assumono particolare rilievo quelle del complesso B, le vitamine A e D, l’acido folico o vitamina B9. Nelle donne non anemiche, inoltre, è raccomandato l’utilizzo intermittente di folato e ferro al fine di prevenire lo sviluppo di anemia in gravidanza e migliorare l’outcome della gravidanza stessa. È stimato che il 41,8% delle donne gravide di tutto il mondo sia anemico [115]. Di queste, circa la metà ha un’anemia da carenza di ferro [116], mentre nell’altro 50% le cause di anemia sono da ricercarsi in stati carenziali di folato, vitamina B12 o vitamina A, infezioni croniche e disturbi a esse correlati. Riguardo la vitamina A, essa risulta utile nel promuovere la crescita delle ossa e lo sviluppo dentale e possiede azioni preventive nei confronti dei disturbi visivi. Importanti sono le concentrazioni di vitamina A presenti nei vari integratori: concentrazioni di 3500 UI esplicano al massimo le loro potenzialità senza essere teratogene. Recentemente è stato ipotizzato un ruolo preventivo della vitamina A nei riguardi della formazione e crescita di fibromi uterini.
Il contenuto in minerali di un integratore da somministrare in gravidanza rappresenta un punto di forza, in quanto minerali come calcio, magnesio, fosforo e zinco sono elementi indispensabili per la formazione dello scheletro fetale e per il mantenimento dell’integrità di quello materno. Il magnesio, inoltre, possiede azioni antiacide, rinforza lo smalto dei denti, ha azione stimolante sulla funzione muscolare e nervosa e normalizza il ritmo cardiaco. Lo zinco, oltre a promuovere una crescita regolare del feto, in associazione alle vitamine C ed E, esercita una spiccata azione antiossidante in grado di avere effetti preventivi nei confronti della preeclampsia. Poiché le donne con obesità e diabete gestazionale risultano più a rischio di malformazioni a carico del feto dovute all’eccessivo passaggio placentare di nutrienti che si rilevano embriotossici mediante processi di stress ossidativi, l’azione antiossidante degli integratori sembrerebbe essere utile anche in queste donne in stato di gravidanza. Un preparato multivitaminico ad azione antiossidante potrebbe prevenire tali malformazioni in associazione a una dieta ipocalorica. Non va trascurato l’apporto del ferro, che in concentrazioni adeguate – come 30 mg – e soprattutto se somministrato dall’inizio della gravidanza previene e cura l’anemia sideropenica dovuta a una dieta carente o a un aumentato fabbisogno.
Va sottolineato che alcune categorie di donne sono più a rischio di carenze nutrizionali; le obese, ad esempio, hanno un rischio aumentato di deficit di vitamina D, le fumatrici hanno spesso livelli più bassi di acidi grassi omega 3 nel latte materno e le donne che seguono una dieta vegetariana/vegana invece sono esposte a un maggior rischio di carenza di vitamine B12, D e calcio. Per questo andrebbe individuata un’attività di screening per ogni paziente, allo scopo di identificare possibili stati carenziali alimentari. Dopo il parto, alla donna in puerperio viene generalmente prescritto un prodotto a base di ferro per consentire un più rapido ripristino dei normali livelli di emoglobina, per un periodo limitato di circa 20-30 giorni. Il neonato riceve vitamina A nel latte materno per formare i propri depositi, mantenere una crescita rapida e armoniosa e sviluppare il suo sistema immunitario, in quanto questa vitamina possiede una scarsa capacità di passare la placenta [117, 118]. Il colostro contiene concentrazioni di vitamina A e di beta-carotene più elevate rispetto al latte [119, 120]. Anche i tempi di ingestione del colostro sembrano giocare un ruolo nell’efficienza dell’assorbimento intestinale della vitamina A. Si ipotizza che, durante l’allattamento, una grande percentuale della vitamina A della dieta è diretta alla ghiandola mammaria anziché al fegato, al contrario di quanto avviene al di fuori dell’allattamento [121]. I livelli circolanti di vitamina E alla nascita sono molto bassi. Di conseguenza l’assunzione di vitamina E attraverso il latte è di massima importanza per fornire al neonato un’adeguata difesa antiossidante e per stimolare lo sviluppo del suo sistema immunitario [122, 123]. L’anemia emolitica nel neonato, per esempio, dovuta alla perossidazione lipidica nelle membrane eritrocitarie, è uno dei sintomi della carenza di vitamina E nelle fasi iniziali della vita. La membrana eritrocitaria dei neonati, infatti, è particolarmente suscettibile al danno ossidativo. Contrariamente al trasferimento placentare, il trasferimento attraverso colostro e latte può essere aumentato tramite una maggiore ingestione di vitamina E da parte della madre [124].
Periodo perimenopausale e postmenopausale
Il decremento dei livelli di estrogeni a partire dal periodo peri-menopausale fino alla menopausa conclamata si accompagna a un’alterata funzione di molti sistemi della donna, tra cui la termoregolazione e la stabilità vasomotoria [125, 126]. Alcuni fattori legati alla menopausa, che possono modifcare la percezione della qualità della vita, sono sintomi tipici della carenza estrogenica, tra cui i sintomi vasomotori o/e i disturbi del sonno, i disturbi del trofismo urogenitale (irritazione, secchezza vaginale, disturbi della minzione); altri disturbi psicologici ed emotivi (ansia, irritabilità, umore depresso, ridotta capacità di concentrazione, senso di fatica ecc.) non sono invece esclusivamente riconducibili alla carenza estrogenica. Le modificazioni dell’immagine corporea, con l’atrofia cutanea, l’aumento ponderale e la distribuzione addominale del grasso corporeo, di tipo androide, sono in parte legate alla carenza di estrogeni e possono avere ripercussioni negative nella vita sociale e interpersonale delle donne. In questo ambito, si sono affermati come trattamenti nutraceutici i fitoestrogeni, sostanze che oltre a rappresentare una buona alternativa alla terapia ormonale sostitutiva si sono dimostrate in grado di esercitare una spiccata attività antiossidante e antinfiammatoria.
Gli integratori che oltre ai fitoestrogeni contengono vitamina D e calcio sono indicati nella prevenzione dell’osteoporosi poiché, grazie alla loro azione combinata, sono in grado di aumentare l’assorbimento di calcio a livello intestinale e quindi favorirne l’apposizione a livello dell’osso, rendendolo meno fragile .Negli anni sono state messe in commercio numerose associazioni tra fitoestrogeni e sostanze vitaminiche e sali minerali, come pure probiotici e estratto di magnolia e altri fitoderivati [127]. Un sintomo fastidioso che spesso si associa alle vampate in un gran numero di donne è rappresentato da uno stato d’ansia che può indurre un profondo stato di prostrazione psicologica; questa condizione è anche correlata a un senso di stanchezza e astenia, con un peggioramento della qualità del riposo e una diminuzione delle ore effettive di sonno. Per quanto riguarda questo sintomo sono ben conosciute le spiccate proprietà anti-ansiogene dell’estratto di magnolia [128-130], che ha virtù tranquillanti e rasserenanti senza però provocare sonnolenza nelle ore diurne, e che soprattutto risulta privo di quegli effetti indesiderati che caratterizzano gli ansiolitici. I principali principi attivi sono il magnolio e l’honokiolo che hanno capacità modulanti sui recettori GABA-A del sistema limbico cerebrale. Poiché durante la post-menopausa l’aumento di peso rappresenta una condizione clinica frequente, e nella maggior parte dei casi è legato all’ansia, questo circolo vizioso si trasforma in un maggior senso di fame con predilezione per i cibi contenenti carboidrati e zuccheri semplici che danno un senso di appagamento psico-fisico. Per questo tipo di comportamento non sono stati riportati effetti avversi rilevanti e l’utilizzo di sostanze naturali come i fitoestrogeni rappresenta un ottimo rimedio, che peraltro non interferisce in maniera negativa con l’apparato genitale e con il rischio di sviluppare un tumore mammario.
Per quanti riguarda il tessuto osseo, se già in perimenopausa si rende necessaria l’integrazione di vitamina D e calcio al fine di contrastare il rischio di sviluppare osteoporosi e conseguentemente il rischio di fratture, una delle più importanti sequele a lungo termine della menopausa, questa integrazione risulta ancor più utile durante la post-menopausa. Durante la menopausa, dopo una prima fase di ipoestrogenismo in cui la mucosa vaginale non ne risente, il decremento cronico dei livelli estrogenici riduce il trofismo e peggiora la qualità della vita di relazione. Le modificazioni anatomo-funzionali vaginali si traducono in un ambiente particolarmente ricettivo a una varietà di patogeni che spesso conducono a vaginiti acute, ma che possono anche cronicizzarsi. In tali condizioni è evidente l’importanza di un intervento che tenda a ricreare il substrato ottimale e questo avviene in modo certo cercando di ristabilire il trofismo vaginale, tipico della maturità sessuale femminile. A questo scopo è noto come la terapia locale a base di estrogeni sia funzionale per recuperare il trofismo vaginale, ma questa terapia a base di ormoni non è facile da far utilizzare alle donne e per questo sono state messe a punto soluzioni più naturali. È stato studiato l’utilizzo della vitamina D come promotore della differenziazione e proliferazione dei cheratinociti a livello dell’epidermide. Una buona efficacia è anche presente nei preparati a base di fitoestrogeni di soia in associazione a vari tipi di vitamine [131]. Inoltre, recentemente, sono stati messi a punto preparati a base di lattobacilli da soli, come il Lactobacillus plantarum, o in associazione con lattoferrina in grado di ripristinare un equilibrio in termini di flora vaginale con significativi miglioramenti dei sintomi e prevenzione degli stessi. Il problema è quello legato al tempo di somministrazione, che richiede lunghi periodi per ripristinare il danno locale e pertanto sarebbe più utile somministrarli come prevenzione. In conclusione, in questa breve sintesi abbiamo considerato alcuni degli approcci nutraceutici che possono essere utilizzati in modo specifico nelle varie età della donna. Anche in questo ambito, come in altre aree della nutraceutica, si avverte tuttavia la necessità di maggiori evidenze scientifiche, solidamente basate su studi clinici di qualità
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