Le gestanti iperglicemiche hanno maggiori probabilità di partorire figli con difetti cardiaci congeniti rispetto alle coetanee con glicemia normale, anche se il livello di zucchero è inferiore al cut-off per il diabete. Sono queste le conclusioni di uno studio pubblicato su Jama Pediatrics dai ricercatori della Scuola di medicina dell’Università di Stanford, che amplia le conoscenze sui legami tra iperglicemia materna e difetti cardiaci fetali essendo il primo svolto su donne senza diagnosi di diabete. «Sapevamo che le diabetiche sono a rischio di avere bambini con cardiopatia congenita, ma questi dati indicano che le probabilità si alzano anche nelle donne con elevati valori di glucosio in gravidanza ma senza diabete conclamato» esordisce James Priest, coautore dell’articolo. Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno esaminato i campioni di sangue prelevati da 277 donne in attesa di bambini con tetralogia di Fallot o trasposizione destrorsa delle grandi arterie, confrontandoli con quelli di un gruppo di controllo composto da 180 gestanti con feti senza cardiopatie congenite. «I campioni di sangue sono stati raccolti in diversi momenti della giornata, senza chiedere alle partecipanti di digiunare prima del prelievo» scrivono i ricercatori, che dosando la glicemia e i livelli circolanti di insulina hanno scoperto che i livelli medi di glucosio ematico erano significativamente più elevati dei controlli nelle donne i cui feti avevano una tetralogia di Fallot ma non la trasposizione delle grandi arterie. «Viceversa, in quest’ultimo sottogruppo era l’insulinemia a essere più elevata di quella delle gestanti con feti sani» riprende Priest, sottolineando che questi dati sollevano molte domande su come il metabolismo materno possa correlarsi alla comparsa di cardiopatie congenite nel feto anche in assenza di diabete. «Ci sono molti altri tipi di difetti congeniti, oltre a quelli cardiaci, legati al diabete materno, e servono nuovi studi per capire se anche una glicemia moderatamente aumentata possa aumentarne il rischio» concludono i ricercatori.
Jama Pediatr. doi: 10.1001/jamapediatrics.2015.2831
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26457543