In una recente “opinion” pubblicata su JAMA sono riassunte le evidenze che suggeriscono come il microbioma intestinale (ossia i geni – da 200 a 800 volte maggiori rispetto a quelli umani – delle cellule microbiche enteriche o microbiota) possa influenzare il rischio di sviluppare alcune importanti patologie, come l’obesità e il diabete mellito.
Obesità. «Il microbiota intestinale potrebbe influenzare il rischio di obesità attraverso diversi meccanismi, condizionando innanzitutto l’assorbimento calorico. Gli enzimi umani non riescono a digerire molti polisaccaridi ingeriti con la dieta, mentre gli enzimi prodotti dal microbiota possono trasformarli in risorse energetiche, in particolare monosaccaridi e acidi grassi a catena corta» riporta Francesco Tassone, SC di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, ASO S. Croce e Carle, Cuneo. Circa il 90% dei batteri intestinali sono di due tipi (‘phyla’): Bacteroidetes e Firmicutes. I Firmicutes contribuiscono a estrarre più energia rispetto ai Bacteroidetes e colonizzano maggiormente i pazienti obesi. «Vari studi» riprende Tassone «hanno suggerito che il microbiota abbia un ruolo importante nell’influenzare l’obesità nei mammiferi». a) in topi magri germ free alimentati con la stessa quota calorica giornaliera, il trapianto di microbiota intestinale, derivato da topi obesi e da topi magri, porta i topi che hanno ricevuto il microbiota dai topi obesi a diventare obesi nel giro di due settimane; b) in seguito a trapianto di microbiota intestinale derivato da animali “convenzionali” nell’intestino di topi germ free, il contenuto di grasso corporeo dei topi è aumentato del 60% in 14 giorni senza incrementare la quota calorica giornaliera, con aumento dell’insulino-resistenza; c) confrontando topi obesi sottoposti a by-pass gastrico Roux-en-Y (RYGB) o a chirurgia placebo, solo i topi sottoposti a RYGB andavano incontro alla perdita di peso prevista e a un cambiamento tipico del microbioma intestinale. Trasferendo i batteri dai topi che sono stati sottoposti a RYGB ai topi sottoposti a chirurgia placebo si osservava perdita di peso (peraltro in minor misura) anche in questi ultimi. «Globalmente» commenta Tassone «questi esperimenti suggeriscono che la composizione del microbiota intestinale può influenzare l’obesità. Al contrario, altri esperimenti suggeriscono che l’obesità può influenzare la composizione del microbiota intestinale: quando pazienti obesi in dieto-terapia perdono peso, aumenta la proporzione di Bacteroidetes rispetto a quella dei Firmicutes; viceversa, alla ripresa dell’alimentazione normale, con conseguente re-incremento ponderale, aumenta la percentuale di Firmicutes».
Diabete mellito tipo 2. L’infiammazione intestinale cronica di basso grado indotta dal microbiota, oltre a condizionare il rischio di sviluppare obesità, può svolgere un ruolo favorente l’insorgenza di diabete mellito tipo 2 (DM2). «Sembra che siano coinvolti più meccanismi, oltre a quello dell’aumento dell’assorbimento dei carboidrati» osserva Tassone. «In particolare, una proporzione maggiore di Firmicutes rispetto ai Bacteroidetes sembrerebbe influenzare non solo il metabolismo dei carboidrati, ma anche un’alterata produzione di acidi grassi a catena corta: aumento della produzione di acetato e riduzione di quella di butirrato. Un recente studio ha rilevato che l’aumento dei livelli ematici di acetato può causare insulino-resistenza e aumentare la produzione di ghrelina gastrica (ormone con effetto oressante). Inoltre, ridotti livelli intestinali di butirrato favorirebbero l’infiammazione cronica di basso grado, che aumenta l’insulino-resistenza». Studi nell’uomo suggeriscono che pazienti affetti da DM2 hanno una ridotta presenza di specie microbiche che producono butirrato, con conseguente infiammazione intestinale di basso grado, mentre in uno studio prospettico in più di 7000 bambini è stata trovata una relazione tra l’uso di probiotici durante il primo mese di vita e un rischio inferiore di sviluppare auto-anticorpi anti-insule pancreatiche, a suggerire che il microbioma intestinale potrebbe avere un ruolo anche nel DM1. «Un ulteriore studio sembra confermare una relazione causale tra microbioma intestinale e DM2» aggiunge Tassone. «Pazienti affetti da sindrome metabolica mai trattati, in cui è stata eliminata la flora intestinale (attraverso lavaggio intestinale con polietilenglicole), sono stati randomizzati a ricevere infusioni intestinali (tramite sonda gastro-duodenale) da donatori maschi magri o dalle proprie feci. In coloro che ricevevano le infusioni da individui magri, la sensibilità all’insulina è aumentata, anche se l’effetto diminuiva nel tempo ed era presente una notevole variabilità individuale».
Conclusioni. «Le nuove tecnologie (in particolare il sequenziamento rapido ed economico degli acidi nucleici) hanno fornito gli strumenti per capire come il microbiota possa influenzare la salute umana» afferma Tassone. «È biologicamente plausibile che il microbioma umano possa influire sul rischio di obesità, DM 2 e altre malattie come l’aterosclerosi e che le sue manipolazioni possano ridurre questo rischio. Tuttavia, saranno necessari ulteriori studi per provare/confermare queste ipotesi». Secondo l’autore di questa ‘opinion’ – sottolinea Tassone – la patologia “è il risultato di una biochimica disordinata”: i geni guidano la biochimica e il microbioma contiene più geni di quelli umani, producendo molecole che possono influenzare la fisiologia umana; negli ultimi 50 anni gli scienziati hanno imparato molto sui fattori di rischio modificabili per obesità e DM2 e negli ultimi dieci anni si è scoperto che il microbiota è forse il più importante tra tutti.