La supplementazione di vitamina D può ridurre nelle gestanti il rischio di partorire neonati piccoli per l’età gestazionale, migliorandone la crescita durante l’infanzia. Ecco quanto conclude una metanalisi appena pubblicata su JAMA Pediatrics, primo autore Wei Guang Bi. I ricercatori dell’Università di Montreal in collaborazione con la McGill University, hanno analizzato 728 studi, selezionando 24 trial randomizzati e controllati svolti su 5.405 partecipanti e mirati a verificare gli effetti della vitamina D sulla salute dei bambini. «Le prove esistenti non suggeriscono effetti collaterali dannosi per le madri che assumono integrazione con vitamina D, i cui benefici si verificano senza alcun aumento del rischio né di mortalità fetale o neonatale né di anomalie congenite» scrivono gli autori, spiegando che a spingerli a eseguire la metanalisi è stata l’elevata prevalenza di bassi livelli di vitamina D in gravidanza, nonché l’esigenza, importante anche in termini di salute pubblica, di chiarire il ruolo della vitamina D assunta dalle gestanti per la salute della prole. «Questi risultati sono in contrasto con quelli di un’altra metanalisi pubblicata su BMJ lo scorso novembre, in cui gli autori concludevano che le prove fino a quel momenti sembravano insufficienti a sostenere suggerimenti clinici o politici sull’assunzione di vitamina D nelle gravide» precisa Bi. La metanalisi canadese è uno dei due studi pubblicati questa settimana su JAMA Pediatrics che collegano l’integrazione di vitamina D con la salute delle mamme e della prole. Il secondo, prima autrice, Jenni Rosendahl, è un trial clinico svolto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Helsinki, da cui emerge che l’assunzione di 400 UI di vitamina D3 al giorno è sufficiente per garantire livelli vitaminici adeguati nei bambini al di sotto dei due anni. «Queste osservazioni suggeriscono che la supplementazione prenatale di vitamina D aumenta i valori di 25(OH)D neonatale senza che ne derivino effetti avversi» commenta in un editoriale Hans Bisgaard, dell’Herlev and Gentofte Hospital, Università di Copenaghen, Danimarca.
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