La dieta vegetariana, come noto, riesce a soddisfare i fabbisogni proteici grazie alla varietà degli alimenti assunti e quando soddisfa la quota calorica, non rappresenta di norma un problema.
A ricordarlo è Gian Luca Rizzo, biologo nutrizionista, dottore di ricerca in biotecnologie cellulari, nell’ambito del Congresso nazionale 2018 di SSNV-SINVE (rispettivamente Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana e Società Italiana di Nutrizione Vegetariana).
L’esperto ha fatto il punto su una delle fonti proteiche più accreditate – la soia (Glicine max) – riassumendo le evidenze presenti in letteratura su alcuni suoi controversi aspetti nutrizionali.
Va detto che in occidente il consumo di questo legume è limitato all’1-2 % della popolazione. Ma cresce, se si considerano gruppi specifici come vegetariani, vegani o quello più ampio di chi vuole seguire una dieta che prediliga un maggior contenuto di proteine vegetali rispetto a quelle animali per garantire i fabbisogni totali giornalieri.
La soia infatti, insieme ai lupini, è il legume a maggior contenuto proteico (36,49%, dati USDA Food composition database), con una qualità sperimentalmente molto simile a quella del latte vaccino e delle uova, solitamente usati come riferimento.
I componenti intorno ai quali si è focalizzata l’attenzione dei ricercatori, oltre alle proteine, sono gli isoflavoni, una classe di fitoestrogeni con composizione simile agli estrogeni endogeni animali, legati a una molecola di zucchero dalla quale vengono scissi ad opera della â-glucosidasi dei microorganismi starter usati nelle trasformazioni alimentari o dei ceppi presenti nell’intestino. Tale reazione libera la porzione agliconica che viene assorbita nel tenue (la forma glicosilata invece è scarsamente assorbibile). Molte ipotesi fatte riguardavano il pericolo che gli isoflavoni della soia agissero da regolatori tessuto-specifici dell’attività estrogenica (STEAR) e modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM), in contrapposizione alla meno plausibile attività da interferenti endocrini, grazie ai loro meccanismi di azione diretti e indiretti sui recettori stessiu. L’interazione coi recettori specifici è però variabile e con un’attività ridotta rispetto agli estrogeni endogeni, tanto da far dire che la funzione dei fitoestrogeni non è quella classica degli agonisti estrogenici. Inoltre così come la quantità di queste sostanze dipende da caratteristiche agronomiche della pianta, anche la loro metabolizzazione è strettamente dipendente da una certa variabilità individuale dei soggetti.
Nel 1999 la FDA autorizzò un claim legato al consumo di soia e prevenzione del rischio coronarico, in seguito al consumo di 25g di proteine/die, (per gli effetti che questa avrebbe sulla composizione di LDL). Nel 2012 l’Autorità Europea della Sicurezza Alimentare (EFSA) ha tuttavia dichiarato che la relazione causa-effetto tra proteine isolate della soia e concentrazioni di LDL sieriche non è ancora stata definita. Gli stessi isoflavoni isolati non sembrano avere effetti sui marker dei lipidi ematici in donne in menopausa, probabilmente perché l’effetto protettivo della soia è dovuto alla sinergia fra l’azione delle fibre, delle proteine e degli isoflavoni, ma dipende anche dall’effetto degli acidi grassi polinsaturi della soia, che si sostituiscono a fonti sature.
Un altro aspetto molto discusso riguarda l’uso di integratori a base di fitoestrogeni tra le donne in menopausa, come alternativa alla terapia sostitutiva. L’esito delle ricerche ha dimostrato come gli isoflavoni presentino un buon profilo di sicurezza sulle funzioni della tiroide e la stessa Efsa ha concluso in un’opinione del 2015 che l’assunzione da 35 a 150 mg/die per due anni e mezzo di isoflavoni da cibo o da integratori non presenta effetti avversi sui tessuti ormone-sensibili come il seno, l’utero e la tiroide.
Poco verosimile sembrerebbe poi l’effetto negativo dei fitoestrogeni in qualità di modulatori selettivi del recettore degli estrogeni, sulle vie metaboliche degli estrogeni endogeni stessi. I dati scientifici circa il perturbamento degli ormoni sessuali e il possibile effetto negativo sulla fertilità, attribuita ai cibi a base di soia, contraddicono i dati emersi dagli studi su ampie popolazioni di diversi paesi in cui vi è un consumo elevato di questo legume. Le proteine di soia sono inoltre una fonte di nutrimento importante per certe formule per lattanti. La preoccupazione che il consumo possa generare nella crescita problemi alle funzioni riproduttive non ha trovato riscontro in uno studio epidemiologico(1) retrospettivo eseguito. Anche lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition Study Cohort) non ha evidenziato aumenti del rischio di tumore a causa dell’apporto di isoflavoni della soia.
La soia nel complesso presenta quindi un profilo sicuro. In ogni caso, le attuali assunzioni nella popolazione occidentale, anche tra i vegetariani, difficilmente sono in grado di raggiungere i livelli utili a ottenere i benefici emersi dalla letteratura ma è anche poco verosimile che a tali livelli di assunzione si possano riscontrare effetti nocivi.
1) Isoflavones in food supplements for post-menopausal women: no evidence of harm
2) JAMA. 2001 Aug 15;286(7):807-14.