La conoscenza e lo studio dei meccanismi molecolari preposti al processo fisiopatologico dell’invec- chiamento e delle molte patologie dismetaboliche ad esso correlate (obesità, diabete, ipertensione, dislipidemie, tumori, Alzheimer, Parkinson, depressione e/o stress ecc.) hanno sempre affascinato ed attratto gli interessi sia dei ricercatori sia della popolazione in generale se non altro per un’inconscia, ma comprensibile aspirazione ad aumentare sempre di più le nostre aspettative di vita e, dato ancor più importante, la qualità della vita stessa col progredire degli anni.
In altre parole e più semplicemente: mantenere il più a lungo possibile lo stato di buona salute.
L’invecchiamento è quell’insieme dimutamenti non dovuti a malattia, che intervengono negli individui dopo la nascita, che sono più o meno comuni a tutti i membri diuna specie e che riproducono la capacità di adattamento agli stress ambientali e in definitiva la “capacità di sopravvivere”.
L’invecchiamento è un processo irreversibile correlato all’assetto genetico che comporta di per sé un incremento alla suscettibilità individuale di malattia; è un processo fisiologico ben distinto e spesso contrapposto alla malattia acquisita (occasionale, evitabile, curabile o prevenibile, legata prevalentemente a fattori “estrinseci” ambientali quali l’alimentazione, lo stile di vita ecc.) e, quindi, all’invecchiamento patologico. Di fatto, si può sintetizzare dicendo che invecchiamento e malattia, pur essendo processi fra loro nettamente distinti, spesso si compendiano sinergicamente nell’induzione del danno organico, dato che la senescenza è spesso in grado di aumentare la sensibilità alla malattia e che i deficit funzionali e strutturali conseguenti a patologie dismetaboliche sono un’aggravante costante dei processi dell’in- vecchiamento propriamente detto.
I processi involutivi dell’invecchiamento molto spesso si instaurano sin dalla nascita. Un esempio fra i più eclatanti: il sistema nervoso centrale è composto all’origine da circa cento miliardi di neuroni, che si riducono al 50% alla morte di un individuo di 75-80 anni non affetto da patologie cerebrali. Il dato, però, più significativo è che la perdita avviene in modo pressoché costante sin dai primi periodi di vita.1
Da un punto di vista biochimico le evidenze in assoluto inconfutabili e sulle quali si sono concentra- te le attenzioni e gli studi della più parte dei ricercatori sono l’aumento dei processi perossidativi e dell’infiammazione silente nel corso degli anni e questo, in tutte le cellule dei nostri tessuti, verrebbe a determinare una sorta di spirale di eventi metabolici tra loro concatenati che ci portano ad invecchiare (vedi oltre Figura 1).2,3
Numerose sono le teorie sull’invecchiamento che concorrono a spiegare, tra gli altri, gli eventimetabolici che ci portano ad invecchiare; tutte sono concordi, però, nell’identificare una alterazione nella capacità cellulare di riparazione dei danni insorti, di resistenza agli eventi avversi e nella replicazione cellulare.
Una delle teorie di maggiore interesse vede nel danno ossidativo una concausa della progressiva perdita della funzionalità cellulare che si verifica nel corso dell’invecchiamento ed in molti stati cronico-dege- nerativi ad esso correlati (ad es. diabete, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, aterosclerosi, malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson ecc.).4
Fattori ossidanti sono ad esempio i radicali liberi, specie chimiche ossidanti con un solo elettrone sull’orbitale più esterno anziché due. Essi presentano un’elevata reattività ed instabilità chimica, pronti a reagire con svariate molecole con cui vengono in contatto alle quali sottraggono o cedono un elettrone nel tentativo di acquisire stabilità; tali molecole diventano instabili (radicali) a loro volta, innescando, in tal modo, reazioni di instabilità che si propagano a catena. I più noti sono i radicali liberi dell’ossigeno (ROS), ma ricordiamo anche quelli dell’azoto (ad es. ossido nitrico [NO]) e del carbonio (intermedi della perossidazione lipidica).
I radicali liberi dell’ossigeno (ROS) sono prodotti costantemente in modo fisiologico nelle cellule, soprattutto nel mitocondrio, organello cellulare dove l’ossigeno viene utilizzato nei processi metabolici (ossidazione) per produrre energia. Non tutto l’ossigeno viene consumato per fare energia, ma in parte viene utilizzato per la formazione dei ROS, molecole che contengono uno o più atomidi ossigeno. Grazie al sistema di protezione antiossidante del nostro organismo, i ROS vengono stabilizzati ed inattivati; in caso contrario, la loro reattività chimica potrebbe danneggiare tutti i tipi dimacromolecole cellulari con cui vengono a contatto (lipidi, proteine, acidi nucleici, anche con successive mutazioni e delezioni del DNA nucleare e mitocondriale), dando luogo alla formazione, ad esempio, di molecole dannose quali i perossidi. Una delle reazioni a catena più studiate dei radicali liberi è la perossidazione degli acidi grassi o perossidazione lipidica. L’acido grasso attaccato da un radicale libero diviene esso stesso un radicale, da cui nasce a sua volta un acido grasso perossidato e nuovi radicali liberi che amplificano la reazione.5 Il primo effetto della perossidazione lipidica è l’ossidazione delle lipoproteine a livello plasmatico ed il danneggiamento delle membrane biologiche, con conseguenti effetti dannosi che si evidenziano tipica- mente nel corso dell’invecchiamento e nell’eziopatogenesi di tantissime malattie cronico-degenerative.
Si parla di stress ossidativo quando si viene a creare uno squilibrio tra sostanze ossidanti e sostanze an- tiossidanti di protezione presenti nel nostro organismo, con eccesso delle sostanze ossidanti.
Lo stress ossidativo può essere dovuto a un aumento della velocità con cui vengono prodotti i ROS e/o ad un declino dei sistemi di difesa antiossidante.
La produzione dei ROS può essere accelerata da diversi fattori quali l’inquinamento atmosferico, la scorretta alimentazione, il fumo, l’esposizione a radiazioni ionizzanti e a prodotti chimici, l’attività fisica intensa, la sedentarietà, i traumatismi, le infezioni, le intossicazioni ecc. Nel corso degli anni, e questo in tutte le cellule dei nostri tessuti, si assiste all’aumento dei processi perossidativi e dell’infiammazione silente.6
Strettamente correlato allo stress ossidativo, è stato riconosciuto di recente dal mondo scientifico il fenomeno dell’infiammazione silente.
Indipendentemente dal tipo di causa scatenante, l’infiammazione è il primo mezzo di difesa che l’orga- nismo mette in atto per inattivare un agente esterno (virus, batteri, allergeni ambientali ecc.) e limitare il danno tissutale; ciò tramite l’attivazione del sistema immunitario.
L’infiammazione silente, tipica concausa dell’invecchiamento, è un particolare stato infiammatorio di bassa intensità ma cronico, prolungato nel tempo, che rimane asintomatico anche per decenni e che può portare a un esaurimento del sistema immunitario. Nell’infiammazione silente vi sono reazioni biochimiche caotiche che determinano, nei tessuti interessati, il rilascio di nuovi radicali liberi che, a loro volta, promuovono nuovamente il processo infiammatorio, innescandosi, così, una propagazione dell’infiammazione e dello stress ossidativo. Tale processo infiammatorio è associato a un costante aumento di molecole pro-infiammatorie nel nostro organismo. Alla base ci sono abitudini alimentari, stili di vita inadeguati, inquinamento ambientale, pesticidi, erbicidi, stress, fattori che conducono, anche, a uno squilibrio ormonale che determinerà il propagarsi dell’infiammazione tramite il torrente circolatorio a livello sistemico con l’instaurarsi di malattie croniche, come diabete, tumori, patologie cardiovascolari e neurodegenerative.
La longevità dipenderebbe, quindi, oltre che da una predisposizione costituzionale, anche dalla adegua- ta alimentazione e dal corretto stile di vita che possono controllare l’infiammazione silente oltre che dall’efficienza dei sistemi di protezione antiossidante.
La diminuita efficienza mitocondriale (il motore della cellula) nella produzione dell’energia vitale (ATP) e nella regolazione dell’omeostasi e nel mantenimento dei livelli adeguati delle difese antiossidanti
Il maggior produttore di ROS è il mitocondrio, organello intracellulare che rappresenta il vero e pro- prio motore della cellula; esso contiene tutti gli enzimi delle principali vie metaboliche energetiche e antiossidanti: la catena respiratoria, il ciclo di Krebs, la β-ossidazione ecc.
Il mitocondrio è responsabile della biosintesi di molecole ad elevato contenuto energetico, ed in particolare dell’ATP (adenosintrifosfato), energia vitale necessaria per i diversi processi della cellula: metabolici, strutturali, di riparazione, di replicazione ecc. Il processo di produzione di energia (ATP) è un processo che necessita di ossigeno; non tutto l’ossigeno a disposizione viene consumato, ma circa l’1-4% dell’ossigeno sfugge al processo energetico e si trasforma in radicali liberi dell’ossigeno (ROS). Il mitocondrio ha, inoltre, anche il ruolo primario di rigenerare le vitamine antiossidanti, mantenendo elevate, in tal modo, le difese antiossidanti che proteggono il mitocondrio stesso e le cellule di tutti i nostri tessuti dagli attacchi dei radicali liberi.7,8
Con il passare degli anni, anche a causa della perossidazione e dell’infiammazione tipiche dell’invec- chiamento, i mitocondri diventano meno efficienti e meno numerosi.
A livello mitocondriale si innesca quindi un circolo vizioso nel quale il mitocondrio stesso, a seguito dei ripetuti danni ossidativi indotti dai radicali liberi da esso stesso prodotti, produce ulteriori ROS por- tando ad una progressiva distruzione cellulare. Diminuiscono, così, nel corso del tempo sia la funzione di produzione di energia (biosintesi di ATP) che quella di rigenerazione delle vitamine antiossidanti.
La diminuita efficienza nella sintesi delle macromolecole funzionali e strutturali di tutti gli organi
La minor efficienza mitocondriale, determinando una minore produzione di energia, porta di con- seguenza anche un rallentamento delle biosintesi (ATP-energia-dipendenti) delle macromolecole strutturali e funzionali delle nostre cellule (ad es. le proteine, gli acidi nucleici, i lipidi complessi delle membrane cellulari ecc.) (Figura 1).
La ridotta disponibilità di queste macromolecole fa sì che non ci sia più una “manutenzione” accurata della “macchina-uomo”, conuna pronta sostituzione delle componentidenaturate e nonpiù funzionanti, riducendosi nel tempo l’efficienza cellulare e dell’organismo in toto. È risaputo come le proteine siano le depositarie di tutte le principali funzioni vitali. Nel caso in cui, ad esempio, la cellula venisse a perdere la funzione metabolica vitale diuna proteina, per non invecchiare (invecchiamento = progressiva perdita di funzioni vitali) deve immediatamente sostituirla; la demolizione della proteina denaturata nei suoi ami- noacidi e il loro riutilizzo per la sua ricostruzione sono processi che richiedono, però, parecchia energia!
Un esempio, tra i tanti, di inefficiente produzione energetica è il caso di un pancreas ipoenergetico che viene a produrre una quantità ridotta di enzimi digestivi proteolitici, atti a digerire le proteine alimentari nell’intestino: non vengono, così, liberati nell’intestino tutti i singoli aminoacidi di cui sono composte le proteine. Per di più, gli aminoacidi, per essere assorbiti attraverso le membrane intestinali, necessitano di “trasportatori” specifici di membrana che sono glicoproteine ATP-dipendenti; perciò, è anche possibile che in un intestino ipoenergetico sia meno efficiente anche l’attività di questi “trasportatori” deputati all’assorbimento degli aminoacidi.9
Analogo all’assorbimento degli aminoacidi è l’assorbimento delle vitamine idrosolubili e di molti minerali: anch’esso è un sistema di trasporto attivo energia-dipendente; quindi, è possibile che in un intestino ipoenergetico sia meno efficiente anche l’attività di questi carrier di trasporto intestinali per l’assorbimento di vitamine e minerali.9-11
In condizioni di ridotta sintesi proteica, anche proteine strutturali quali, ad esempio, la zonulina e l’oc- cludina possono essere espresse in quantità inferiori: tali proteine, deputate a congiungere e compattare fra loro le cellule dell’epitelio intestinale, rendono le pareti intestinali impermeabili all’ingresso dei patogeni. La diminuita disponibilità di zonulina e occludina potrebbe promuovere un aumento della permeabilità intestinale, ad esempio alle endotossine batteriche, con conseguente aumento dell’infiam- mazione silente endotossina-dipendente nell’intestino stesso; da qui, quindi, le endotossine assorbite, trasportate dalle lipoproteine plasmatiche, possono determinare il propagarsi dell’infiammazione silente a livello sistemico in tutti i tessuti.12
L’alterata “fluidità” delle membrane cellulari
Untipico esempio dimanutenzione inefficiente, di rallentamento dei processi riparativi a carico delle ma- cromolecole strutturali e funzionali compromesse, conseguente alla diminuita efficienza mitocondriale, è rappresentato anche dall’alterazione della composizione strutturale della membrana cellulare con un progressivo suo “irrigidimento”. La membrana cellulare presenta una specifica composizione in lipidi e proteine, tra di loro legati, che ne condiziona la corretta fluidità, elemento essenziale che conferisce ad essa una permeabilità selettiva al passaggio di acqua, minerali, metaboliti ecc. Viceversa, una maggiore rigidità dimembrana è causa della modificazione dell’interazione fra lipidi e proteine presenti in essa, con conseguente alterazione delle sue attività funzionali, quali le attività enzimatiche e il trasporto ionico.13
L’alterazione dell’integrità della membrana plasmatica può promuovere un aumento della permeabilità agli ioni, ad esempio al calcio (Ca++), con conseguente distruzione irreversibile della cellula per attiva- zione dei processi proteolitici di digestione proteica.
La “fluidità” (irrigidimento) delle membrane è, quindi, un vero e proprio “orologio biologico” che determina il reale grado di invecchiamento metabolico-funzionale e non solo anagrafico del nostro or- ganismo. Il 60-70% delle proteine (n.b. quelle liposolubili) è legato (inserito) nel doppio strato lipidico delle membrane cellulari: la progressiva perdita di fluidità della complessa matrice lipidica diminuisce il “grado di libertà” (cioè la possibilità di movimento) delle proteine liposolubili di membrana con con- seguente progressivo decadimento di tutte le funzioni biologiche da esse svolte quali ad esempio: a) la quasi totalità delle reazioni biochimiche enzima-dipendenti; b) l’attività di tutti i recettori (proteici) per gli ormoni ed i neurotrasmettitori; c) i carrier proteici (trasportatori indispensabili per l’assorbimento di amino acidi, acidi grassi polinsaturi, vitamine, minerali ecc.); d) le proteine strutturali (esempi tra i tanti: la zonulina e l’occludina, già citate in precedenza) responsabili della permeabilità intestinale.14
I fosfolipidi polinsaturi (aventi acidi grassi con più di 1 doppio legame tra due carboni adiacenti) intervengono ad aumentare la fluidità di membrana, oltre che nell’attivazione degli enzimi legati alla membrana stessa.
La minor efficienza mitocondriale, causando anche una minore efficienza delle difese antiossidanti e un aumento della infiammazione silente, determina un aumento della perossidazione degli acidi grassi polinsaturi di membrana con la conseguente perdita dei fosfolipidi polinsaturi e “irrigidimento” di membrana.15
Sicuramente il rapporto tra acidi grassi saturi, mono e polinsaturi dei fosfolipidi di membrana, è legato alla loro introduzione con la dieta.16
Gli acidi grassi saturi (senza doppi legami), presenti soprattutto negli alimenti di origine animale (le carni, in particolare quelle rosse, il latte e suoi derivati: burro e formaggi), tendono ad irrigidire, mentre i monoinsaturi (1 doppio legame), ad esempio l’acido oleico di cui è ricco l’olio di oliva, e soprattutto i polinsaturi tendono a fluidificare la matrice lipidica dei fosfolipidi di membrana. In particolare, tra i polinsaturi, il pesce ed alcune alghe sono gli unici alimenti atti ad apportare gli omega-3 a più elevato grado di insaturazione: l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA); gli oli ve- getali quali soia, mais, riso, noci ecc. apportano gli acidi grassi essenziali ac. linoleico (omega-6) e ac. al- fa-linolenico (omega-3). La fluidità dipende, quindi, anche dall’indice di insaturazione degli acidi grassi che la compongono ed in particolare dal rapporto omega-6/omega-3 il cui valore ottimale è di 4:1.17,18
Anche i livelli del colesterolo di membrana sono importanti: il colesterolo, se in eccesso nelle mem- brane (oltre il 25% dei lipidi totali delle stesse), è il principale responsabile, insieme ai già citati acidi grassi animali, del progressivo irrigidimento della membrana cellulare. L’eccesso di colesterolo, comunque, è dovuto soprattutto ad un’eccessiva sintesi endogena di colesterolo più che al suo ap- porto con gli alimenti. Occorre sottolineare che anche una riduzione del colesterolo di membrana è altrettanto dannosa quanto l’eccesso, poiché le membrane troppo fluide sono incapaci di svolgere al meglio il loro ruolo di controllo e regolazione del passaggio dell’acqua e dell’eliminazione delle scorie metaboliche dei diversi nutrienti.19
Con l’avanzare dell’età, con la riduzione del metabolismo, si assiste anche ad un aumento dei processi di glicazione proteica, dovuto all’incremento della concentrazione endocellulare di carboidrati sem- plici (glucosio, fruttosio, ribosio ecc., soprattutto nelle loro forme fosforilate). In queste condizioni è maggiore la probabilità che ci siano casuali “sfortunati scontri” tra una proteina ed un carboidrato con la creazione di legami forti (covalenti) fra le due molecole. Se la glicazione avviene nell’intorno del sito attivo di un enzima o di un recettore o di un trasportatore (di aminoacidi e/o di vitamine) questa pro- teina funzionale può essere inattivata irreversibilmente.20 La cellula verrebbe a perdere, così, la funzione metabolica vitale della proteina e, per non invecchiare, deve immediatamente sostituire la proteina de- naturata utilizzando notevole energia! Un bel guaio per una cellula senescente e ipoenergetica. Inoltre, la glicazione delle proteine di membrana aumenta la perossidabilità delle proteine e degli acidi grassi polinsaturi dei fosfolipidi di membrana; la glicazione è, quindi, un altro fattore implicato nella riduzione della fluidità di membrana.21,22
L’aumento della forza ionica Ca2+ e K+ dipendente nel citosol cellulare
Un’ulteriore conseguenza della perdita di fluidità delle membrane riguarda le pompe ATP-asiche del Ca2+ e del K+. Queste pompe sono tra gli enzimi di membrana quelle che consumano la maggior quantità di energia: circa il 20-25% di tutto l’ATP prodotto. Il lavoro continuo diqueste pompe assicura il mantenimento delle concentrazioni ottimali del calcio (Ca2+) e del potassio (K+) endocellulari. La minor efficienza delle pompe è alla base dell’aumento della concentrazione di Ca2+ e K+ nel citosol delle cellule senescenti23-25 con conseguenti complessi deragliamenti metabolici che comportano:
- un aumento dei processi perossidativi;
- un calo degli acidi grassi polinsaturi dei fosfolipidi di membrana;
- un’attivazione ulteriore dell’infiammazione silente;
- una diminuita disponibilità endocellulare di proteine ed acidi nucleici per una loro aumentata di- struzione (catabolismo) e diminuita sintesi (anabolismo).
Infatti, l’aumento del Ca2+ promuove, fra i tanti, anche l’attività degli enzimi endocellulari atti a cata- bolizzare le proteine e gli acidi nucleici; mentre, al contrario, l’aumento del K+ diminuisce l’efficienza degli enzimi atti a sintetizzare le nuove proteine e gli acidi nucleici. In altre parole si assiste a una minor efficienza del turnover delle proteine (e degli acidi nucleici che ne regolano la sintesi).
Si chiude e si cortocircuita in tal modo una spirale di danni strutturali e funzionali a carico delle cellule e dei tessuti che, come evidenziato nella Figura 1, parte dalla diminuita efficienza energetica del mito- condrio nel sintetizzare l’ATP (causata dall’aumento deiprocessidiperossidazione e dall’infiammazione silente) e ad essa ritorna amplificata attraverso le tappe degenerative della diminuita velocità di sintesi delle macromolecole (proteine, acidi nucleici, lipidi complessi di membrana ecc.), della perdita di flui- dità delle membrane cellulari, dell’aumento del Ca2+ e del K+ endocellulare e dell’accrescimento della endotossinemia plasmatica e tissutale (infiammazione silente).
L’innesco di questa spirale se non più controllato può, in tempi più o meno lunghi, portare ad una diminuzione sempre maggiore di efficienza metabolica e ad una perdita dello stato di buona salute più precoce nei diversi tessuti danneggiati.2,3
Le alterazioni dell’asse brain-gut-microbiota e il conseguente aumento della permeabilità intestinale e dell’infiammazione silente
Di recente l’attenzione di moltissimi ricercatori è stata attratta dall’importante ruolo del microbiota intestinale (insieme dei microrganismi che fisiologicamente vivono nel nostro intestino) e degli agenti patogeni microbici nel concorrere alla suscettibilità alla malattia e all’invecchiamento.
Anche la componente genetica del microbiota (microbioma), che questo complesso di coinquilini aggiunge al nostro corpo, influirebbe in maniera determinante sullo stato di salute, o viceversa sullo stato di infiammazione e dimalattia, anche al di fuori del tratto gastrointestinale; il microbioma, infatti, sembra provvedere a importanti funzioni biologiche e metaboliche. Le caratteristiche individuali del microbiota si instaurano molto precocemente durante la vita. Infatti, entro i 3 anni di vita, in funzione dell’alimentazione attuata, dei farmaci assunti e dialtri fattori che possono modulare il microbiota, esso si stabilizza (e risulta essere simile a quello dell’adulto) determinando una specie di imprinting metabolico che può essere responsabile, ad esempio, diuna maggiore suscettibilità all’obesità, alla resistenza periferica all’insulina e a danni del sistema nervoso centrale. La variabilità individuale di questi microrganismi è notevole anche tra i soggetti sani e nel corso di tutta la vita può essere influenzata da tantissimi fattori quali l’età, la alimentazione, lo stile di vita, la presenza di patologie, i farmaci assunti (ad es. antibiotici) ecc. L’omeostasi e la buona salute del microbiota sono indispensabili al controllo della permeabilità intestinale responsabile sia dell’assorbimento di acqua, minerali, nutrienti, sia della difesa nei confronti di patogeni (microrganismi, tossine, antigeni potenziali).
Infatti, un aumento della permeabilità intestinale (PI), tipica dell’invecchiamento, è associato a:
- un’alimentazione non adeguata (qualità dei cibi, diete iperglicemizzanti e/o iperlipidiche, insufficien- te apporto di aminoacidi essenziali e/o di vitamine e/o diminerali, eccesso dibevande alcoliche );
- un esercizio fisico eccessivo o la sedentarietà;
- fumo, stati depressivi e/o di stress, eccessiva esposizione ai raggi UV o a inquinanti, uso prolungato e/o eccessivo di antibiotici, antidolorifici ed
L’aumento della PI, oltre ad alterare l’assorbimento di acqua e nutrienti, permetterebbe ad agenti pa- togeni, antigeni e a tossine esogene che arrivano nel lume intestinale, di superare la barriera intestinale permettendo la propagazione dell’infiammazione silente e dello stress ossidativo dalla mucosa intestinale a livello sistemico.
In particolare, il cambiamento quali-quantitativo della composizione del microbiota, con la conseguente deviata funzionalità, determinerebbe un aumento della produzione e/o assorbimento dei liposaccaridi (LPS) microbici (componenti della parete batterica). Il conseguente aumento dei LPS plasmatici che ne deriva (endotossinemia metabolica) contribuirebbe a innescare l’infiammazione silente a livello intestinale che si verrebbe poi a propagare a livello sistemico con la possibilità di insorgenza di stati dismetabolici quali l’obesità, l’insulino-resistenza, malattie autoimmunitarie ecc.
L’aumento della PI, quindi, precederebbe l’esordio dell’infiammazione silente e della malattia.26,27
Un aumento della permeabilità intestinale, tipica dell’invecchiamento, correla anche con le principali patologie dismetaboliche (obesità, sindrome metabolica, tumori, Alzheimer, Parkinson ecc.), con di- sturbi digestivi e/o di assorbimento dei principali nutrienti e con intolleranze e/o allergie alimentari.
Recenti ricerche hanno messo in evidenza l’importanza del microbiota nelle interazioni tra l’intestino e il sistema nervoso. Il microbiota interagirebbe con il sistema nervoso centrale (SNC) in modo bidi- rezionale con segnali diretti dal microbiota al SNC e dal SNC al microbiota: questi segnali sarebbero neuronali, endocrini, immunitari, umorali. Si viene, così, a creare un asse brain-gut-microbiota in grado di legare i centri cognitivi ed emozionali del cervello con l’intestino.28 Nella pratica clinica, infatti, ci sono evidenze di associazione tra disbiosi e disordini del SNC (quali ad esempio autismo, ansia, depres- sione) e disordini funzionali gastrointestinali. Il microbiota influenzerebbe anche la fisiologia del SNC. regolando il rilascio di neurotrasmettitori, di fattori neurotrofici tramite la produzione di numerosi metaboliti biologicamente attivi non del tutto conosciuti.
Ad esempio, un microbiota efficiente è in grado di fermentare le fibre alimentari producendo gli acidi grassi a catena corta (AGCC: acetato, propionato e butirrato). Gli AGCC, tramite l’attivazione di recet- tori intestinali, promuoverebbero la sintesi di endocannabinoidi-antagonisti (E-ant: oleoiletanolamina, palmitoiletanolamina, stearoiletanolamina ecc.) a livello intestinale che tramite il circolo sanguigno verrebbero trasportati in altri tessuti tra cui il cervello.29
Tali molecole sarebbero in grado di modulare sia la permeabilità intestinale sia la permeabilità della bar- riera emato-encefalica, bloccando il passaggio delle endotossine batteriche (probabilmente inducendo la produzione diproteine sigillanti quali la occludina e la zonulina).30,31 In tal modo verrebbe contrastata la propagazione dell’infiammazione silente a livello cerebrale, una delle più probabili concause dell’Al- zheimer, del Parkinson e di molte altre patologie degenerative del sistema nervoso centrale!
Un’adeguata alimentazione ed un corretto stile di vita sono, quindi, fondamentali nel modulare la funzionalità della flora batterica intestinale con effetto protettivo nei confronti dell’infiammazione silente, dei disordini metabolici e delle patologie cronico-degenerative ad essa correlati e, quindi, dell’in- vecchiamento patologico.32
❚ Conclusioni
Facendo seguito alle argomentazioni scientifiche e ai razionali alla base della spirale dell’invecchiamento esposti sopra, vediamo di trarre qualche utile consiglio sullo stile di vita, le abitudini alimentari e la ade- guata supplementazione che possono contribuire a mantenere uno stato di buona salute ed a realizzare un invecchiamento fisiologico.
Ridurre l’infiammazione silente ed i processi perossidativi
Abbiamo visto come l’infiammazione silente, strettamente connessa allo stress ossidativo, sia una concausa importante dell’invecchiamento ed alla base di malattie croniche quali il diabete, l’obesità, i tumori, le patologie cardiovascolari, neurodegenerative ecc. Un corretto stile di vita che comporti una adeguata attività fisica giornaliera ed una restrizione calorica moderata con una alimentazione corretta anche nella qualità dei nutrienti assunti, è alla base del controllo di questa insidiosa infiammazione così come dei processi perossidativi ad essa strettamente collegati.
Una dieta antinfiammatoria prevede una riduzione dell’assunzione di alimenti pro-infiammatori quali gli acidi grassi idrogenati (prodotti da forno, di pasticceria, prodotti da fast food, margarina ecc.), gli acidi grassi saturi (le carni, in particolare quelle rosse, il latte e suoi derivati: burro e formaggi) e gli acidi grassi omega-6 (da cui deriva l’acido arachidonico). Vanno privilegiati quelli monoinsaturi (ad es. olio di oliva) e soprattutto gli acidi grassi polinsaturi omega-3. Degli omega-3, vanno preferiti quelli a più elevato grado di insaturazione: l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA). L’EPA e il DHA abbiamo visto in precedenza promuovere una corretta fluidità di membrana ma essi svolgono anche una importante azione antinfiammatoria (promuovendo la formazione di molecole antinfiammatorie) e di protezione cardiovascolare.
Il DHA avrebbe, inoltre, un effetto trofico a livello cerebrale. Per contro, gli alimenti ricchi in acido arachidonico (AA) (ad es. carni rosse, grasse, frattaglie) portano alla formazione di molecole favorenti l’infiammazione. Il rapporto ideale nella comune alimentazione omega-6/omega-3 è di 4:1. Nel plasma il rapporto ideale omega-6/omega-3 secondo l’OMS è espresso da AA/EPA = 4:1 e AA/DHA = 2:1. Come per le vitamine, la cottura dei cibi a base dipesce a temperature elevate determina la perossidazione dei grassi di questi alimenti con la quasi completa perdita del loro contenuto in EPA e DHA; per di più, i pesci di allevamento hanno una notevole riduzione del contenuto in omega-3. Per tali motivi, spesso si rende necessaria una loro integrazione (fish oil, algal oil, olio di krill).
Anche il colesterolo, se in eccesso, è responsabile del progressivo irrigidimento della membrana cellu- lare. Occorre ridurre l’introduzione di cibi ricchi di colesterolo (carni, soprattutto quelle rosse, uova, il latte ed i suoi derivati). Anche le farine integrali e ricche di fibre sono sempre da preferire alle farine 00 raffinate: le fibre alimentari sequestrano nell’intestino il colesterolo e i sali biliari. Inoltre, le fibre alimentari fermentate dal microbiota intestinale con produzione di acidi grassi a catena corta (ac. ace- tico, propionico e butirrico) sono in grado di rallentare la sintesi endogena del colesterolo. L’eccesso di colesterolo, comunque, è dovuto soprattutto ad un’eccessiva sintesi endogena del colesterolo più che al suo apporto con gli alimenti.
Una supplementazione con integratori contenenti: a) inibitori naturali degli enzimi deputati alla sintesi endogena del colesterolo (ad es. il riso rosso fermentato, le catechine del the verde, le proantocianine dell’uva ecc.) e/o b) molecole cannabinoide-antagoniste, quali la oleoil-etanolamina (OEA) e la pal- mitoil-etanolamina (PEA), nonché più complesse miscele contenenti due o più di questi composti naturali, si stanno rivelando di grande efficacia nel prevenire e/o coadiuvare il trattamento di questi stati dislipidemici.33
Per quanto riguarda l’assunzione di alimenti con alto potere antiossidante (frutta nera, rossa, verdure tipo spinaci, cavoletti di Bruxelles ecc.), occorre specificare che tale loro proprietà è stata dimostrata in vitro; in vivo i risultati sono, invece, spesso contraddittori e non risolutivi. Per quanto riguarda, però, i polifenoli (curcuminoidi, resveratrolo, quercitina, catechine, pro-antocianine ecc.) introdotti con alimenti quali frutta, verdure e spezie, di recente è stato dimostrato come il microbiota possa fer- mentarli trasformandoli in composti fenolici di basso peso molecolare (ad esempio: ac. fenilacetico, ac. fenilpropionico ecc.). Questi composti sono facilmente assorbiti e sono dotati di elevate proprietà antiossidanti grazie alla loro capacità di attivare i recettori PPARs (peroxisome proliferator activated receptors).34
Anche un intervento dietetico anti-glicante, atto a ridurre il più possibile l’assunzione e la produzione di AGE (advanced glycation end-products) è un approccio atto a controllare l’infiammazione silente, lo stress ossidativo ed a prevenire le malattie croniche correlate, ad esempio la sindrome metabolica ed il diabete di tipo 2.35,36
Il termine AGE si riferisce a una serie di composti chimici prodotti quando gli zuccheri si legano con proteine (glicazione avanzata). Gli AGE, come visto in precedenza, si possono formare per via endogena in seguito all’incremento della concentrazione endocellulare di carboidrati semplici (glucosio, fruttosio, ribosio ecc., soprattutto le loro forme fosforilate) secondaria al picco glicemico plasmatico. Ciò accade soprattutto in seguito all’assunzione di zuccheri ad alto indice glicemico assorbiti velocemente. A tale picco glicemico l’organismo contrappone un picco insulinico per permettere agli zuccheri in eccesso di penetrare dal circolo sanguigno nelle cellule. Nel tempo, queste stimolazioni iperglicemiche ripetute più volte al giorno, soprattutto se lontano dai pasti principali, possono comportare l’insorgere dello stato di resistenza periferica all’insulina che predispone a future, gravi patologie quali obesità, diabete (di tipo 2), dislipidemie, ipertensione, arteriosclerosi, tumori ecc.
Oggi con la dieta consumiamo più AGE di quanto accadeva anni fa. Si trovano per esempio sulle su- perfici dorate o abbrustolite di cibi fritti o grigliati, oppure sul pane tostato. Alcune aziende alimentari trasformano eccessivamente alcuni alimenti o aggiungono AGE artificiali per esaltare il sapore (ad es. nei prodotti da forno, nei derivati del latte ecc.).
Pertanto, una dieta antiglicante deve ridurre l’assunzione di zuccheri semplici ad alto indice glicemico (ad es. merendine, soft drink) ed incrementare i carboidrati integrali. Infatti, le fibre o le farine integrali sono in grado di ridurre l’impatto glicemico dei cibi, al contrario delle farine 00 contenute nei cibi raffinati (pane, pasta, riso e fecola di patate ecc.).
Anche l’utilizzo di spezie, ricche di sostanze antiglicanti (curcuma, rosmarino, origano, zenzero) può essere utile così come la cottura dei cibi a bassa temperatura.
Importante è, anche, aumentare l’esercizio fisico: esso contribuisce ad aumentare i consumi totali e la velocità di utilizzo metabolico dei carboidrati, riducendo i rischi di picchi glicemici troppo elevati e frequenti. Naturalmente l’entità dell’impegno fisico deve essere adeguata alla preparazione e alle caratteristiche soggettive di ciascuno di noi. Si è evidenziato, ad esempio, che un’adeguata attività fisica è in grado di ridurre la permeabilità intestinale e l’infiammazione silente, mentre, al contrario, un’attività fisica esagerata sortisce l’effetto contrario!
Si può anche ricorrere all’uso di nuovi integratori in grado di ridurre i processi di glicazione e/o di contrastare l’insorgere dell’insulino-resistenza. Numerosi studi hanno dimostrato che molti polifenoli naturali (ad esempio quelli di alcune specie di spezie mediterranee) hanno la capacità di ridurre “in vitro” i processi diglicazione proteica. Nel nostro laboratorio abbiamo testato molte diqueste spezie e abbiamo ottenuto risultati davvero interessanti.37-39 La più attiva è risultata una frazione di polifenoli ottenuta da un estratto idro-alcolico di origano. Un’altra serie di composti naturali con proprietà anti-glicazione sono risultati 2 aminoacidi (il triptofano e l’istidina) e una serie di peptidi che li contengono.
I peptidi intestinali GPL-1 e GPL-2 (GLP, glucagon-like-peptide) sono in grado, se increti in quantità fisiologiche corrette, di prevenire l’insulino-resistenza e l’iperglicemia alla base dei processi di glicazio- ne. La somministrazione di endocannabinoidi-antagonisti naturali (meglio se in forma di fosfolipide precursore: NOFE) si è dimostrata in grado di normalizzare i livelli plasmatici di GLP-1 e GLP-2 che normalmente tendono a diminuire con l’età, drammaticamente nei diabetici di tipo 2, ma significati- vamente anche nelle persone sane.40-42
L’approccio dietetico antinfiammatorio e anti-glicante è fondamentale anche per il mantenimento della salute del microbiota; utile l’assunzione di yogurt, latti fermentati, fibre alimentari. Ricordiamo come il microbiota possa essere influenzato durante tutta la vita dalla dieta, dallo stile di vita, dall’età, dall’assunzione di farmaci, di prebiotici e probiotici.
Mantenere l’efficienza mitocondriale
Mantenere il mitocondrio in efficienza è sicuramente alla base di qualsiasi approccio atto a mantenere uno stato di buona salute; ciò per ottimizzare la produzione di energia vitale (ATP) e per mantenere elevate le nostre difese antiossidanti. Sicuramente un approccio volto a ridurre l’infiammazione silente e i processi perossidativi sortisce anche un beneficio nel mantenere in salute il mitocondrio.
Vale la pena di menzionare due nuovi meccanismi molecolari di grande interesse e di recente scoperta atti a conservare più a lungo l’efficienza del motore mitocondriale.
Unprimo meccanismo è relativo alla presenza esclusivamente nel mitocondrio diun particolare fosfolipi- de, la cardiolipina, che circonda gli enzimidella catena respiratoria e ne regola la funzionalità.43 I quattro acidi grassi delle cardiolipine sono tutti uguali e sono molecole di acido linoleico. Con il passare del tempo la disponibilità di cardiolipina può essere inadeguata, così come può verificarsi che siano presenti cardiolipine anomale. Le nostre cellule provvedono immediatamente a riparare il danno mitocondriale utilizzando nuove molecole di acido linoleico, laddove ce ne sia biodisponibilità. Un adeguato apporto nutrizionale di nuovi integratori che apportino acido linoleico, cardiolipine e/o specifici fosfolipidi precursori delle cardiolipine si sta rivelando di estrema utilità nel prevenire e/o riparare questi danni mitocondriali.44
Il secondo meccanismo riguarda la capacità del mitocondrio (in condizioni di sofferenza e stress meta- bolico conseguente ad un aumento del Ca2+) di attivare due enzimi di norma silenti in grado di bio- sintetizzare una nuova classe di composti con attività cannabinoide antagonista: le N-acil-etanolamine ed in particolare la oleoil-etanolamina (OEA) e la palmitoil-etanolamina (PEA). OEA e PEA per la loro azione antiossidante, antinfiammatoria e di controllo dei canali del Ca2+ sono in grado prevenire ulteriori danni almitocondrio in “sofferenza”.45,46 Un adeguato apporto nutrizionale con nuovi integratori che apportino quantità adeguate diquesti endocannabinoidi-antagonisti, meglio se sotto forma dei loro fosfolipidi precursori (N-oleoil-fosfatidiletanolamina [NOFE] ed N-palmitoil-fosfatidiletanolamina [NPFE]) si sta dimostrando di grande utilità ed efficacia nel mantenere in buona salute il “motore mitocondriale”.47,48
Un fattore fondamentale nel mantenere l’efficienza mitocondriale è sicuramente un adeguato turno- ver delle proteine in grado di assicurare la continua presenza di tutti gli enzimi delle vie metaboliche mitocondriali e la loro sostituzione quando usurati. Ricordiamo, comunque, che le proteine sono le depositarie di tutte le funzioni vitali dell’organismo e indispensabili al mantenimento del trofismo di tutti i tessuti.
Le proteine diorigine animale hanno composizione in aminoacidi di elevato valore biologico (contengo- no tutti gli aminoacidi essenziali e nelle proporzioni richieste dal metabolismo proteico umano) e sono altamente digeribili. Sono presenti in quantità elevata nella carne, nel pesce, nelle uova, nel latte e derivati. L’adeguato rapporto tra proteine animali e vegetali nell’alimentazione può essere considerato di 1:1.
Nel corso degli anni si assiste ad una ridotta biodisponibilità energetica che limita la digestione e l’assor- bimento intestinale delle proteine. Sicuramente è diutilità ricorrere ad alimenti (e/o integratori) ricchi in proteine pre-idrolizzate a basso peso molecolare di più facile digeribilità: latte e prodotti lattiero-caseari fermentati, bolliti di carni, pollame, pesce ecc.
Per il corretto funzionamento dei metabolismi mitocondriali è indispensabile anche un’ottimale bio- disponibilità sia delle principali vitamine del gruppo B sia di quelle antiossidanti che a vario titolo sono coinvolte e che proprio dal mitocondrio vengono rigenerate e rese nuovamente disponibili.7,8
Nelle popolazioni del mondo occidentale, nonostante l’abbondanza del cibo, spesso la più parte della popolazione sana può essere in carenza di micronutrienti essenziali (vitamine e/o minerali) tale da ren- dere necessaria una integrazione. Le cause possono essere riconducibili alla perdita divitamine e minerali nella preparazione e conservazione degli alimenti, nell’impiego di pesticidi ed erbicidi, nell’utilizzo di additivi. Qualunque sia il tipo di cottura dei cibi (in acqua, a pressione, al forno, al vapore, la frittura, il forno a microonde ecc.) le perdite vitaminiche sono sempre ingenti. Allo stesso modo la cottura dei cibi a base di carne e pesce a temperature alte determina la perossidazione dei grassi di questi alimenti con la quasi completa perdita del contenuto in vitamine.
Queste perdite sono in parte ridotte se il cibo a base di carne o pesce è consumato con aggiunta di ver- dure colorate! La frutta e le verdure, ma anche i vini (specialmente quelli rossi), la birra, il tè e il caffè apportano alla dieta i polifenoli, molti dei quali sono in grado di ridurre il rischio dello scatenarsi delle reazioni di perossidazione lipidica.49
La biodisponibilità delle vitamine, cioè il loro assorbimento, è legata anche alla corretta fluidità delle membrane dell’epitelio intestinale e al corretto grado di permeabilità intestinale. A questo proposito uno studio condotto su soggetti sani, ma in sovrappeso (non obesi) e sottoposti ad una dieta bilanciata ed ipocalorica, ha messo in evidenza come un’integrazione della dieta con una preparazione a base di endocannabinoidi-antagonisti naturali (le già citate NOE e NPE, nella loro forma di precursori fosfolipidici NOFE ed NPEA) si è rivelata in grado di ridurre l’infiammazione silente intestinale e di aumentare l’assorbimento e la biodisponibilità di vitamine e minerali.
Ulteriori, buoni risultati sono ovviamente prevedibili e si sono evidenziati con l’uso di adeguati inte- gratori in grado di aumentare la produzione intestinale di ATP: acidi grassi a catena corta (meglio se in forma di sali di glutammina) stanno fornendo risultati molto promettenti al riguardo. Infine in questi casi è anche utile il ricorso a integratori dienzimi diorigine animale e/o vegetale che sinergizzano l’azione degli enzimi endogeni “carenti”. Mantenere l’efficienza mitocondriale, grazie alla produzione di ATP, significa anche mantenere l’efficienza delle pompe Ca2+ e K+ ATPasiche prevenendo così i danni da eccesso di Ca2+ e K+ citoplasmatici.50
Da quanto sopra esposto, le nuove conoscenze ci aiutano a perseguire un “invecchiamento in salute” predisponendo innovativi adeguamenti dell’alimentazione e dello stile di vita coadiuvati, se necessario, da un’opportuna supplementazione con nutraceutici.
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