Il cervello è l’organo del corpo che invecchia più velocemente e inmaniera più significativa rispetto a tutti gli altri tessuti dell’organismo.1 Il motivo di questo fenomeno è intrinsecamente legato alla biochimica e alla funzione cerebrale. Infatti i neuroni, le cellule principali di cui è composto il cervello, sono post-mitoti- ci, cioè non si duplicano né si rigenerano (lo fanno solo in aree limitate, mediante la neurogenesi, che però incide molto poco in termini di replacement). Di conseguenza, una volta morte, non vengono sostituite da nuove cellule. Inoltre, occorre ricordare che il cervello è una struttura ad alto metabolismo energetico. Infatti, il cervello utilizza grandi quantitativi di ossigeno (1/3 dell’ossigeno che respiriamo è usato dal cervello) e, quindi, produce molti radicali liberi, sostanze altamente reattive, in grado di procurare danni irreversibili a livello cellulare. Le membrane cellulari dei neuroni sono, inoltre, caratterizzate da un’alta concentrazione di acidi grassi polinsaturi, che rappresentano un substrato ideale per il danno ossidativo. Il cervello in alcune aree presenta poi un’alta concentrazione di ferro e rame, metalli che sono in grado di catalizzare la produzione di forme radicaliche molto dannose (reazione di Fenton). Inoltre, e questo rappresenta quasi un paradosso, il cervello ha una bassissima concentrazione di antiossidanti endogeni (proteici e non). Ad esempio i livelli di glutatione, di superossidodismutasi e di catalasi sono circa 1/5 rispetto a quelli del fegato. Di fatto, quindi, il cervello è per sua natura estremamente esposto allo stress ossidativo e di conseguenza invecchia più precocemente di altri tessuti.2 È possibile attraverso adeguate strategie nutraceutiche supportare adeguatamente la fisiologia cerebrale, promuovere un mantenimento delle funzioni cognitive nel tempo, ridurre i danni ossidativi a livello neuronale ed evitare così un invec- chiamento patologico del nostro cervello? Si tratta diun argomento estremamente rilevante, soprattutto nell’ottica diprevenire l’instaurarsi di patologie neurodegenerative collegate all’invecchiamento, che negli ultimi anni stanno aumentando in modo preoccupante a livello globale.
❚ Declino cognitivo, difese naturali e dieta
Negli ultimi anni le patologie neurodegenerative, e in particolare la malattia di Alzheimer (AD), stanno aumentando in maniera esponenziale nei Paesi industrializzati, e anche in quelli in via di sviluppo. Gli ultimi dati presentati dall’Alzheimer Association parlano di una triplicazione dei casi di Alzheimer da oggi al 2050, e per quella data si prospetta che nel mondo occidentale un anziano su tre sarà affetto da Alzheimer. Si tratta di numeri enormi, insostenibili per qualsiasi sistema sanitario.3
In quest’ottica, trovare delle sostanze che aumentino le difese naturali del cervello, rallentando la morte dei neuroni e prevenendo l’insorgenza di patologie cognitive, rappresenta sempre più un’emergenza socio-sanitaria. Tutte le ultime evidenze, risultanti dalle analisi digruppi dipopolazione con fattori genetici di rischio e da soggetti clinicamente normali, suggeriscono che il processo fisiopatologico dell’Alzheimer cominci in realtà molti anni prima della diagnosi clinica di deficit cognitivo, indicando la possibilità della definizione concettuale di un continuum nella progressione della patologia e determinando al contempo un’opportunità critica per interventi potenziali con approcci preventivi e molecole in grado di intervenire modificando il percorso e decorso della patologia.4
Tra le variabili ambientali, la dieta rappresenta sicuramente quella maggiormente in grado di influenzare il nostro stato di salute e la qualità dell’invecchiamento, e questo sembra essere vero anche per il cervello. Recentemente il World Dementia Council (WDC) ha richiesto all’Alzheimer Association di valutare e sviluppare un documento di consenso sui fattori di rischio modificabili per il declino cognitivo e la demenza. L’Alzheimer Association ha concluso che oltre alla regolare attività fisica, al controllo dei fattori di rischio cardiovascolari e al continuo “allenamento” mentale, un elemento critico nel ridurre il rischio di sviluppare deficit cognitivi e demenza durante l’invecchiamento, è giocato dalla dieta, identificando nello specifico la dieta mediterranea come la migliore strategia nutrizionale per mantenere una corretta funzione cerebrale.5 Numerosi studi epidemiologici, osservazionali e, recentemente, anche solidi studi di intervento hanno sottolineato l’importanza di alcuni composti contenuti nel cibo nel supportare una corretta fisiologia cerebrale e nel condizionare i processi cognitivi e il tono dell’umore.6 Il ruolo di nutrienti essenziali, di composti non essenziali e addirittura di non nutrienti derivati dalla dieta e l’uso di sostanze nutraceutiche in grado di interferire positivamente su infiammazione e stress sono, quindi, sempre più visti come una potenziale strategia preventiva neiconfrontidelle patologie neurodegenerative e dell’invecchiamento cerebrale in generale.7
Da un punto di vista nutrizionale, la principale risorsa energetica del cervello dipende dai livelli di glucosio disponibile e su questa base l’EFSA ha attribuito un parere favorevole all’indicazione relativa ai carboidrati glicemici (fonte di glucosio) di favorire le normali funzioni cerebrali.8 Oltre al glucosio, benzina da cui dipendono le funzioni cerebrali, molti altri nutrienti essenziali risultano fondamentali per una corretta fisiologia neuronale, come ad esempio la maggior parte delle vitamine, e in particolare quelle del gruppo B.
❚ Vitamine
In generale, il cervello è particolarmente sensibile a carenze vitaminiche, e in particolare alcune vitamine del gruppo B svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento della fisiologia cerebrale. La vitamina B6 aiuta a modulare la sintesi di neurotrasmettitori come serotonina e norepinefrina ed è anche coinvolta nella formazione della guaina che riveste le fibre nervose. La vitamina B12 interviene nella regolazione delle funzioni e del trofismo neuronale e un suo deficit è causa di perdita di memoria e concentrazione, disturbi dell’umore e demenza.9 Vitamine B6 e B12 svolgono, inoltre, azioni protettive contrastando la formazione di radicali liberi e regolando positivamente il metabolismo dell’omocisteina, il cui accumulo impedisce lo svolgimento delle funzioni neuronali.10 L’acido pantotenico, altra vitamina del gruppo B, fondamentale per la formazione di acetil coenzima A e per numerose reazioni biochimiche, tra cui la sintesi dei neurotrasmettitori, ha ottenuto dall’EFSA l’indicazione legata almantenimento delle normali prestazioni mentali.11
❚ Acidi grassi poliinsaturi
Anche gli acidi grassi poliinsaturi essenziali, e in particolare gli omega-3, che originariamente sem- bravano influenzare il cervello solo attraverso i loro effetti sulla fisiologia cardiovascolare, stanno guadagnando una sempre maggiore attenzione da parte del mondo medico-scientifico per le loro molteplici azioni dirette sul sistema nervoso. L’acido docosaesaenoico (DHA), un omega-3 a catena lunga, è l’acido grasso insaturo più abbondante tra quelli presenti nelle membrane cellulari dei neuroni (circa il 40% dei fosfolipidi neuronali contiene DHA). Livelli adeguati di DHA sono associati a un corretto sviluppo cerebrale nella vita fetale e il DHA svolge, anche in età adulta, un ruolo fondamentale nella trasmissione dell’impulso nervoso.12 La biochimica umana non è in grado di sintetizzare questo nutriente in maniera efficiente e, quindi, la corretta composizione lipidica del nostro cervello dipende dall’assunzione con la dieta di DHA, o dei suoi precursori omega-3 a catena più corta. Sulla base di tali considerazioni, l’EFSA ha approvato un’indicazione salutistica del DHA specifica per il supporto della corretta fisiologia cerebrale, a un dosaggio giornaliero di 250 mg,13 e per il contributo a un normale sviluppo cerebrale nell’infanzia (100 mg da 0 a 24 mesi, 250 dai 2 anni in poi).14 La possibilità che gli omega-3, e in particolare il DHA, siano in grado di stimolare i processi cognitivi e la memoria, e in generale di preservare un corretto funzionamento del cervello anche nell’adulto, è supportata da numerose osservazioni epidemiologiche e da studi sperimentali e clinici. In modelli sperimentali animali, ad esempio, è stato ampiamente dimostrato che una carenza di omega-3 nella dieta comporta lo sviluppo di deficit cognitivi e un grave peggioramento delle funzioni di appren- dimento e memoria.
Nell’uomo una dieta deficitaria in omega-3 è stata associata a un aumentato rischio di sviluppare declino cognitivo e numerosi disordini mentali, inclusi AD, dislessia, demenza, depressione, disturbi bipolari e schizofrenia.15,16 Alcuni dei meccanismi alla base dell’azione positiva degli omega-3 sulle funzioni co- gnitive sono stati recentemente identificati.17 Ad esempio, una supplementazione alimentare di DHA è stata dimostrata essere in grado di elevare i livelli cerebrali di un fondamentale fattore di crescita neuronale, il brain-derived neurotrophic factor (BDNF). Il BDNF svolge un ruolo importante nella plasticità neuronale, nella formazione di sinapsi e nell’attecchimento di nuovi neuroni derivanti dalla neurogenesi. Gli omega-3 sono inoltre in grado di attivare a livello cerebrale diverse vie metaboliche capaci di modulare l’espressione di altri fattori cellulari in grado di facilitare la trasmissione nervosa e supportare il fenomeno della long term potentiation, meccanismo sinaptico direttamente collegato ai fenomeni di memoria e apprendimento. Numerosi studi suggeriscono un’importante funzione di protezione da parte degli omega-3 anche in numerose patologie neurodegenerative, dall’Alzheimer alla sclerosi laterale amiotrofica.18 Studi recenti ipotizzano infatti un ruolo importante svolto dal DHA nella protezione dei neuroni dallo stress ossidativo e nell’inibizione della sintesi di geni proinfiammatori e proapoptotici, sia nel cervello che nella retina. In tal senso si è scoperto che tra i metaboliti del DHA, molecole attive nel loro complesso chiamate docosanoidi, ve n’è una, la neuroprotettina D1, dotata di potenti attività antiossidanti, antiapoptotiche e in grado di inibire la cascata infiammatoria. Partendo da queste evidenze alcuni studi hanno dimostrato la capacità del DHA e della neuroprotettina D1 di proteggere il nostro cervello dall’invecchiamento patologico e dalle malattie neurodegenerative.19
In studi clinici randomizzati, la supplementazione con DHA (con dosaggi tra 250 mg e 2 g die) è risultata positivamente associata a un miglioramento delle funzioni cognitive in soggetti sani ma anziani. Al contrario, la supplementazione con DHA in soggetti affetti da mild cognitive impairment (MCI) e AD non ha rallentato il declino cognitivo.20-22 Tuttavia, in un recente studio condotto su soggetti affetti da demenza, la supplementazione con omega-3 ha, invece, dimostrato una significativa efficacia nel preservare le funzioni cognitive e addirittura preservare il volume cerebrale nei soggetti alzheimeriani.23 Sulla base degli studi clinici finora condotti, comunque, non risulta che l’assunzione di omega-3 in soggetti già affetti da Alzheimer comporti un beneficio significativo sulla sintomatologia cognitiva.24
❚ Fosfolipidi
I fosfolipidi sono imattoni molecolari alla base della struttura delle membrane cellulari e rappresentano siti dinamici delle funzioni di segnale e della maggior parte dei processi vitali delle cellule. Sono costituiti da una molecola di glicerolo, due acidi grassi e da un gruppo fosforico collegato a una molecola da cui dipende il gruppo di appartenenza dei fosfolipidi. Nel cervello i principali fosfolipidi sono la fosfatidil- colina (PC) e la fosfatidilserina (PS).
La colina
L’elemento che caratterizza la fosfatidilcolina è la colina, una amina quaternaria, presente negli alimenti e attivamente sintetizzata nel nostro organismo. La colina ha una serie di importanti funzioni nella regolazione della struttura e della funzione delle membrane neuronali, essendo un precursore della fosfatidilcolina, e della sfingomielina (componente della mielina nelle cellule nervose). La colina è poi anche acetilitata nei neuroni colinergici, per formare l’acetilcolina, il neurotrasmettitore chiave nei processi di memoria e apprendimento. Nonostante la capacità del nostro organismo di sintetizzare la colina “de novo”, le richieste di questa sostanza spesso superano la capacità di produzione, e quindi, sebbene non si tratti di un nutriente essenziale, siamo obbligati ad assumerne un adeguato quantitativo dalla dieta.
La colina è presente nel cibo soprattutto come fosfatidilcolina, come colina libera o come citicolina. L’assunzione di colina con la dieta è stata stimata tra i 300 i 1000 mg die. I cibi con la maggior presenza di colina sono le uova, il fegato, la soia, la carne dimaiale. Sebbene non ci siano evidenze cha associno una carenza alimentare di colina allo sviluppo di deficit cognitivi, è invece possibile che i livelli di assunzione con la dieta possano favorire la fisiologia dei processi cognitivi. Uno studio condotto su 1391 persone adulte/anziane non affette da demenza, ad esempio, ha dimostrato una correlazione positiva tra livelli di assunzione di colina con la dieta e le funzioni mnemoniche.25 Lo stesso studio ha anche evidenziato una correlazione tra assunzione di colina e dimensioni della materia-bianca cerebrale. Recentemente la citicolina, un intermedio della sintesi dei fosfolipidi, ha ottenuto l’approvazione EFSA come novel food, a dosaggio di 500 mg die,26 e in quanto fonte di colina viene proposto come supplementazione per il supporto delle funzioni cognitive. L’assorbimento della citicolina è elevato e i sui metaboliti si distribuiscono rapidamente in vari tessuti, incluso il cervello. Oltre a fornire colina, la citicolina fornisce citidina, che viene parzialmente trasformata in uridina, ambedue nucleosidi (componenti degli acidi ribonucleici [RNA]), con un ruolo sull’efficienza cerebrale non ancora chiaramente definito. Sebbene, ben prima di ottenere lo status di novel food, la citicolina sia stata abbondantemente sperimentata in termini di effetti sulla fisiologia cerebrale, a oggi sono ancora esigui gli studi che dimostrano una sua chiara efficacia nel favorire o preservare i processi cognitivi nell’uomo.
La fosfatidilserina
La fosfatidilserina (PS) è il principale fosfolipide acidico dell’organismo e si trova particolarmente concentrato nel cervello, costituendo circa il 15% dei fosfolipidi della corteccia celebrale. La PS è localizzata nello strato interno (citoplasmatico) della membrana cellulare, dove è parte integrante di meccanismi molecolari legati alla modulazione e all’attivazione di fondamentali vie di segnale. In tal senso la PS supporta numerose funzioni cellulari particolarmente importanti per il cervello, incluse l’integrità della membrana mitocondriale per la produzione di energia, la depolarizzazione delle membrane neuronali, il rilascio presinaptico dei neurotrasmettitori, le attività recettoriali po- stsinaptiche, l’attivazione della protein kinasi C (una molecola cruciale per la fisiologia dei processi cognitivi, memoria e apprendimento).
Da un punto di vista nutrizionale la PS si trova in diversi alimenti di origine sia vegetale che animale, e presenta una diversa composizione in termini di acidi grassi in funzione della fonte di origine. In parti- colare, quella derivata dalla lecitina di soia è particolarmente ricca in acidi grassi mono- e poliinsaturi, quella da fonti animali (un tempo derivata da cervello bovino) di grassi saturi, quella da fonti marine, come il krill, ricca in omega-3. È stato dimostrato che la supplementazione con PS è in grado di miglio- rare le funzioni cognitive in modelli sperimentali animali. Anche nell’uomo un’integrazione con PS di soia è risultata favorire le funzioni cognitive in soggetti anziani e affetti da lieve grado di demenza,27 ridurre gli effetti deleteri dello stress psicogeno28 e migliorare le performance mentali durante test di calcolo in giovani atleti dopo esercizio fisico. In uno studio randomizzato in doppio cieco, soggetti tra i 50 e i 69 anni di età con lievi deficit mnemonici hanno ottenuto benefici significativi dopo 6 mesi di integrazione con PS di soia.29 Altri studi condotti con PS derivata da organismi marini e quindi ricca in omega-3, principalmente DHA, hanno ottenuto risultati significativi in termini di miglioramento delle funzioni cognitive. In particolare due studi clinici condotti su soggetti anziani affetti da deficit cognitivi lievi hanno dimostrato significativi miglioramenti relativi alle funzioni mnemoniche con un trattamento giornaliero di 300 mg di PS contenente omega-3.30,31 Comunque ad oggimancano evidenze scientifiche in grado di dimostrare una diretta correlazione della PS assunta oralmente e un aumento della sua concentrazione o del suo trasporto a livello cerebrale. I fosfolipidi assunti con la dieta (PS, così come PC) sono idrolizzati durante la digestione e quindi non assorbiti intatti. Quanta PS sia quindi realmente assimilata e trasportata al cervello resta un elemento sconosciuto.
L-acetil carnitina (LAC)
Tra i composti endogeni non essenziali in grado di influenzare le funzioni cognitive e la fisiologia cere- brale un posto di rilievo appartiene alla L-acetil carnitina (LAC). La L-acetil carnitina è l’acetilestere dell’aminoacido carnitina ed è un elemento importante nel metabolismo energetico del cervello, come di altri tessuti.32 Nelle cellule la LACtrasporta gli acidi grassi dal citoplasma aimitocondri, dove vengono trasformati in ATP attraverso la fosforilazione ossidativa. La LACè normalmente prodotta dalla nostra biochimica a partire dagli aminoacidi lisina e metionina, e la sua sintesi è molto attiva nel cervello. La LACè assimilabile anche attraverso il cibo e la supplementazione è stata proposta negli ultimi anni come un nutraceutico ad azione neuroprotettiva, grazie alla sua capacità di migliorare, a livello cerebrale, il metabolismo e la funzione mitocondriale. In modelli animali la supplementazione con LAC migliora la trasmissione sinaptica e le capacità di apprendimento e memoria.33
In modelli murini di Alzheimer, la LAC migliora le funzioni colinergiche, migliora le capacità antios- sidanti e protegge il cervello dalla neurotossicità della beta-amiloide.34 Sono numerosi gli studi clinici sull’efficacia dell’uso della LAC nei disturbi cognitivi, nell’MCI e nella demenza. In generale, la durata del trattamento investigato in questi trial va da un minimo di 3 mesi a un massimo di un anno con dosaggi usati che variano da 1 a 3 g die.35 Sebbene molti studi dimostrino un’efficacia significativa del trattamento con LAC nei confronti del placebo,36 altri studi sono meno conclusivi sulla reale capacità di questo composto dimigliorare i deficit cognitivi. Alcune ricerche sembrano però sostenere una capacità della LAC, da sola o associata a vitamine, di rallentare il declino cognitivo in soggetti affetti da demenza lieve o moderata.37 Sebbene l’efficacia della LAC non sia stata definitivamente dimostrata, come sot- tolineato dalla mancanza di un claim approvato da EFSA, resta un notevole interesse nei confronti di questa molecola in termini di supporto nutrizionale alla fisiologia del cervello e soprattutto in termini di prevenzione delle patologie neurodegenerative.
Numerose sostanze “non nutrienti”, contenute in alimenti comuni o cibi particolari, sono state ogget- to di ricerche sperimentali e cliniche, in quanto potenzialmente efficaci nel promuovere aspetti della fisiologia e della funzione cerebrale.
Tra le sostanze più interessanti vi sono alcuni appartenenti alla famiglia dei polifenoli quali le antocianine e le procianidine del mirtillo, le catechine del tè, i flavanoli del cacao, il resveratrolo e la curcumina, il pigmento giallo che dà il colore al curry.38
❚ La curcumina
Una delle sostanze maggiormente studiate in termini di neuroprotezione è la curcumina,39 in quanto, a livello scientifico, sono note da anni le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti di questa molecola. Sia il danno ossidativo che i processi infiammatori sono particolarmente elevati nei cervelli dei pazienti affetti da Alzheimer, suggerendo una possibile utilità di una terapia a lungo termine con un composto in grado di modulare efficacemente questi fenomeni.40
Ricerche hanno evidenziato negli ultimi anni le rilevanti capacità neuroprotettive della curcumina in vari modelli sperimentali di morte neuronale.41 Gli studi hanno inoltre identificato alcuni tra i principali meccanismi biologici alla base di questa proprietà terapeutica dei polifenoli. Queste sostanze infatti sono in grado di attivare una famiglia di geni difensivi (tra cui l’enzima eme-ossigenasi 1 e gli enzimi detossificanti di tipo II), collegati alla risposta cellulare allo stress e in grado di potenziare la vitalità cellulare e di proteggere il neurone dai danni indotti dallo stress ossidativo. L’innesco di tale risposta difensiva è legato alla specifica capacità di alcuni polifenoli di attivare un fattore di trascrizione fondamentale per la sopravvivenza cellulare allo stress, l’Nrf2, e parallelamente inibire l’Nfk-B, un segnale fondamentale nell’innescare i processi infiammatori e di morte programmata.42
La curcumina, oltre alle sue capacità di controllare infiammazione e stress ossidativo, è in grado di ridurre l’aggregazione della beta-amiloide, il peptide amorfo legato alla patogenesi dell’AD.43,44 In tal senso la curcumina, in modelli animali di AD (topo transgenico), si è dimostrata efficace nel ridurre le placche di beta-amiloide, i livelli di proteine ossidate e i danni cerebrali ad essi associati.45 Un interessante lavoro in vivo, eseguito con microscopia multifotonica, ha dimostrato l’abilità della curcumina di attraversare la barriera ematoencefalica e distruggere le placche di beta-amiloide.46 Queste scoperte trovano riscontri anche in recenti studi epidemiologici che dimostrano che in India, dove si fa ampio uso di curry e la curcu- mina è quotidianamente utilizzata nella dieta come spezia predominante, sia l’Alzheimer che il Parkinson hanno un’incidenza bassissima rispetto ad altre parti del mondo (circa 7 volte in meno degli USA).47
Un recente studio ha poi evidenziato come nella popolazione asiatica imangiatori di curry mantengano in vecchiaia buone funzioni mnemoniche e cognitive e si ammalino meno di Alzheimer rispetto alle persone che non usano il curry nella dieta.48 Sulla base delle suggestioni epidemiologiche e di una note- vole mole di lavori sperimentali su cellule e su animali, si è passati negli ultimi anni alla valutazione della curcumina anche in trial clinici randomizzati, mirati a dimostrare la possibile efficacia di tale composto, nella prevenzione e cura di vari aspetti di patologie degenerative dell’invecchiamento a origine infiam- matoria o/e da danno ossidativo.49 Uno dei principali limiti dell’utilizzo della curcumina è comunque legato alla sua scarsa biodisponibilità.50 Tale limite è stato affrontato attraverso diversi approcci mirati a migliorare assorbimento e cinetica, e che permetteranno abreve divalutare inmaniera adeguata l’efficacia della curcumina in termini di neuroprotezione sull’uomo.51
❚ Le epicatechine
Altri polifenoli sono invece dotati di discreta biodisponibilità, e tra questi i flavanoli contenuti nei semi della fava di Theobroma cacao (la parte della pianta usata per la produzione del cacao), in particolar modo i monomeri epicatechine e catechine sono sempre più oggetto di studio per le loro capacità di interferire positivamente sulla fisiologia cerebrale. Le epicatechine del cacao hanno già ottenuto un’indicazione salutistica approvata da EFSA riguardo l’effetto benefico sulla circolazione sanguigna. Datisperimentali hanno poi evidenziato la capacità di questi composti di ridurre il danno ossidativo, sostenere il normale tono dell’umore e migliorare le capacità mnemoniche. Numerosi studi controllati condotti sull’uomo hanno dimostrato che alimenti contenenti adeguate concentrazioni di flavanoli del cacao possono ral- lentare il calo mnemonico legato all’età e aumentare le funzionalità fisiologiche di aree cerebrali deputate alla prontezza mentale e formazione di nuovi ricordi.52,53
Un recente studio clinico randomizzato condotto su anziani sani ha dimostrato che l’assunzione per 3 mesi di cacao contenente alti livelli di epicatechine, non solo migliora le performance mnemoni- co-cognitive, ma attiva in maniera specifica le funzioni metaboliche dell’area cerebrale, il giro dentato dell’ippocampo, deputato all’acquisizione di nuove informazioni.54
❚ L’omotaurina
Un altro nutraceutico particolarmente interessante nel trattamento e nella prevenzione delle patologie neurodegenerative è l’omotaurina, un derivato aminoacidico solfonato presente in alcune specie di alghe marine. Possiede specifiche proprietà neuroprotettive che interferiscono e contrastano l’effetto neurotossico della proteina beta-amiloide nelle aree cerebrali deputate al corretto funzionamento della memoria. In questo modo l’omotaurina ritarda il deterioramento delle funzioni cognitive favorendo la capacità di conservare le informazioni nel tempo.55
L’efficacia e l’effetto dell’omotaurina sulla progressione dell’AD sono poi stati investigati in un ampio studio di fase III in pazienti con AD lieve-moderata esaminati per un periodo di 18 mesi. Lo studio ran- domizzato, in doppio cieco, controllato contro placebo, con disegno a bracci paralleli, è stato condotto in 67 Centri negli USA e in Canada (ALPHASE). In totale, hanno preso parte allo studio 1052 pazienti con diagnosi di Alzheimer di severità lieve-moderata. Questo studio ha mostrato trend di riduzione del declino cognitivo misurato con ADAS-cog e una significativa diminuzione, dose-dipendente, della perdita di volume ippocampale in pazienti trattati con omotaurina.56
❚ Conclusione
Oltre ai principi fin qui brevemente accennati, è necessario sottolineare che molte ulteriori sostanze nutraceutiche sono state esplorate per valutarne l’efficacia nel migliorare aspetti della fisiologia cerebrale. Ad esempio, alcuni aminoacidi, in grado di modulare metabolismo o sintesi dei principali neurotrasmet- titori, sono stati sperimentati per la loro potenziale capacità di supportare il tono dell’umore e ridurre il rischio di sviluppare stati di ansia o depressione; nonostante risultati promettenti, la valutazione di tali sostanze in soggetti sani, come per molte altre sostanze fin qui descritte, ha sortito effetti parziali non permettendo di stabilire in maniera unanime una significativa efficacia causa/effetto in termini di salute cerebrale.
I limiti della possibilità divalutare l’efficacia diuna sostanza nutrizionale sul cervello sono spesso intrinse- ci allo studio stesso, essendo il cervello un tessuto difficile da esaminare in terminidi biomarcatori atten- dibili e, soprattutto per quanto riguarda prevenzione dimalattie neurodegenerative e comportamentali, richiedendo tali studi tempi di valutazione lunghissimi e un numero di partecipanti molto elevato.
Un esempio recente di un approccio sperimentale adeguato è il COcoa Supplement and Multivitamin Outcomes Study (COSMOS), condotto dalla Harvard Medical School, che sta arruolando ben 18.000 persone in US per valutare in uno studio randomizzato in doppio cieco, della durata di 5 anni, l’effetto sulla salute cardiaca e cerebrale dei flavanoli del cacao. Si tratta di uno studio enorme e che probabil- mente darà risposte delucidative, ma difficilmente potrà rappresentare un modello da seguire per i costi estremamente rilevanti per sostenerlo.
In conclusione, ricordiamo che recentemente EFSA ha pubblicato le Linee Guida per valutare l’efficacia di sostanze nutrizionali o derivate dal cibo sulle funzioni cerebrali, incluse quelle psicologiche.57 Sebbene tale documento non rappresenti, per stessa ammissione dell’EFSA, una guida esaustiva degli approcci per valutare in maniera attendibile il rapporto causa/effetto di una sostanza sulle funzioni cerebrali, è sicuramente un notevole passo avanti per impostare studi nutrizionali significativi in tale area.
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