Viviamo più a lungo, è un dato di fatto. In 10 anni gli europei hanno guadagnato quasi due anni di vita: 1,8 anni per la precisione. Secondo l’ultima fotografia scattata da Eurostat, l’aspettativa media di vita ha raggiunto gli 80,3 anni. L’Italia è tra i Paesi comunitari più longevi (in media 82 anni), seconda dopo la Spagna e prima di Cipro e Francia. Sono nell’Est Europa (Lituania, Bulgaria, Romania) i Paesi in cui si vive di meno (in media 75 anni), anche se significativamente più a lungo rispetto a 10 anni fa.
Le donne si confermano le più longeve, con un vantaggio di ben 5,6 anni rispetto agli uomini. Ed è vicino il momento in cui gli anziani con più di 60 anni supereranno i bambini. L’allungamento dell’aspettativa di vita è sicuramente un successo, dettato dal miglioramento dello stile di vita e delle condizioni socio-economiche oltre che dai progressi in medicina, ma c’è un “ma”.
Se consideriamo gli anni senza limitazioni correlate a una malattia, il vantaggio si sbriciola praticamente tutto. Nel 2013, riporta Eurostat, il 32% della popolazione europea era affetta da una patologia cronica, 2 punti percentuali in più rispetto al decennio precedente. In Italia la situazione è anche peggiore: il 39% della popolazione generale ha una patologia cronica, il 20% ne ha almeno due (Istat
2016). Ma i numeri aumentano significativamente, raddoppiando tra i 60enni e triplicando dopo i 70 anni. L’età cut-off che segna in modo significativo il passaggio dallo stato di salute all’insorgenza di almeno una patologia si colloca a 55 anni, quando almeno una persona su quattro risulta soffrire di almeno due patologie croniche, rispetto al 15% degli adulti con 45-54 anni di età.
Spesa sanitaria che cresce, Sistema sanitario che crolla
Le patologie croniche più frequenti tra gli anziani sono: ipertensione, scompenso cardiaco, coronaropatie, patologie vascolari, demenza (soprattutto Alzheimer), osteoporosi e artrosi, glaucoma e cancro. Sono patologie che richiedono trattamenti farmacologici (si calcola che in media i pazienti con più di 65 anni assumano almeno 4 farmaci al giorno), assistenza, ospedalizzazione e che quindi hanno un impatto socio-economico tutt’altro che trascurabile. Proprio per questo la spesa sanitaria è destinata ad aumentare, con un aumento medio stimato nel quinquennio 2015-2020 pari al 4,3% (passando dal 2,4% al 7,5%). Uno dei fattori che concorre in modo significativo all’aumento della spesa sanitaria è la scarsa aderenza ai trattamenti nel lungo termine.
Secondo il Rapporto OsMed 2016 poco più della metà dei pazienti (57,7%) affetti da ipertensione arteriosa assume il trattamento antipertensivo con continuità. Inferiore è l’aderenza al trattamento con statine per la prevenzione cardiovascolare (46,9%). I dati osservazionali rivelano che solo il 40% dei pazienti in trattamento con antidepressivi assume i farmaci con regolarità, mentre quasi il 50% li sospende entro il primi 3 mesi e oltre il 70% nei primi 6 mesi di terapia. La situazione è addirittura peggiore nell’ambito delle patologie respiratorie, dove l’aderenza ai trattamenti previsti per le patologie cronico ostruttive (asma e Bpco) non supera il 14%. Gli antidiabetici, per contro, sono i farmaci per i quali si registra il livello migliore di aderenza, che raggiunge il 63,4%.
«In Lombardia vivono 3 milioni di pazienti cronici che utilizzano il 70% della spesa sanitaria regionale che quest’anno ha raggiunto i 18 miliardi. Lo scenario di malattia e di assistenza sta rapidamente cambiando ed è ormai urgente trovare nuove strategie per la sostenibilità del Sistema sanitario», denuncia Giorgio Colombo dell’Università di Pavia, durante il Nutraceutica Forum svoltosi a Milano il 15 giugno.
Prevenire è meglio che curare
“Prevenire è meglio che curare” non è solo un detto popolare, ma può essere una strategia importante per migliorare la sostenibilità del sistema sanitario. Il concetto su cui si basa questa strategia è davvero semplice: procrastinare il più possibile l’arrivo della malattia o delle sue complicanze. L’alimentazione e il corretto stile di vita, caratterizzato da attività fisica e astensione dal fumo rappresentano i principali fattori che possono concorrere alla prevenzione delle patologie croniche più diffuse.
Ma l’alimentazione è davvero sufficiente?
«Prima dei 55 anni, stile di vita e alimentazione possono sicuramente rappresentare un valido aiuto, ma dopo i 55 anni, probabilmente c’è bisogno di qualcosa di più. In letteratura cominciano a comparire studi che dimostrano come l’integrazione con alcuni nutrienti selezionati possa concretamente aiutare a prevenire alcune malattie croniche e a ridurre i costi sanitari» sottolinea Anna Paonessa, responsabile Integratori Italia-Aiipa, riferendo i dati dei 3 studi condotti da Frost&Sullivan e promossi dalla Food Supplements Europe, l’organo che racchiude associazioni e aziende nel settore degli integratori alimentari in Europa e che si propone di assicurare che normativa e politica riflettano il bisogno di salute dei consumatori.
Omega 3 e rischio cardiovascolare
Sulla base di pubblicazioni e dati ufficiali (esaminati 18 studi clinici controllati), i ricercatori della Frost&Sullivan hanno valutato i benefici economici del consumo di integratori alimentari di Omega 3 EPA + DHA fra gli individui over 55, considerato a più alto rischio di sviluppo nel tempo di patologie cardiovascolari (CVD). Il gruppo demografico corrisponde a 157,6 milioni di persone nella popolazione europea (il 31% del totale).
I risultati hanno evidenziato che un consumo regolare di 1g /die di integratore Omega 3 in questa fascia di popolazione può ridurre il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, determinando un risparmio ai sistemi sanitari europei di quasi 13 miliardi di euro l’anno per minori ospedalizzazioni. Complessivamente, si stima che nell’Ue, fra il 2016 e il 2020, il 24% della popolazione over 55 (cioè 38,4 milioni di persone) sia a rischio di eventi cardiovascolari con relativa ospedalizzazione, condizione il cui costo, nei 5 anni considerati, è pari a 34.637 euro per evento, per un totale di 1.328 miliardi.
La simulazione indica che un consumo giornaliero di un integratore a base di 1 g di olio di pesce con Omega 3 EPA + DHA (quantitativo difficilmente raggiungibile anche con un’alimentazione ricca di cibi contenenti omega 3 come il pesce e la frutta secca) negli individui over 55 si tradurrebbe in una riduzione del rischio cardiovascolare del 4,9% che corrisponde a oltre 1,5 milioni di ricoveri per eventi cardio vascolari in meno in tutta l’Ue entro il 2020. Il risparmio totale generato dalle minori ospedalizzazioni raggiungerebbe in 5 anni i 64,5 miliardi di euro (12,9 miliardi l’anno). Detraendo i costi per l’acquisto degli integratori di omega 3, il risparmio netto medio ammonterebbe a circa 7,3 miliardi di euro/anno (pari a 36,5 miliardi di euro in 5 anni). In Italia l’utilizzo di 1g/die di olio di pesce con Omega 3 EPA + DHA nella popolazione over 55 si tradurrebbe in un risparmio per minori ospedalizzazioni di oltre 1,3 miliardi di euro l’anno (oltre 720 milioni di risparmio all’anno al netto del costo dell’integratore, pari a 3,6 miliardi in 5 anni). In estrema sintesi, per ogni euro speso per un integratore Omega-3 si risparmierebbero 2,29 euro.
OMEGA 3
Vantaggio dell’integrazione con Omega 3 nella riduzione del rischio cardiovascolare nella popolazione europea nel periodo 2016-2020
Ospedalizzazioni e relativi costi stimati per eventi cardiovascolari:
– EU: 38,4 milioni → 1.328 miliardi euro (265 miliardi euro/anno)
– Italia: 3,9 milioni → 140 miliardi euro (27,9 miliardi euro/anno)
Riduzione media delle ospedalizzazioni per eventi cardiovascolari grazie all’integrazione con 1g/die Omega 3 €
– EU meno 373mila /anno (1,5 milioni in 5 anni)
– ITA meno 38,2 mila/anno
Riduzione dei costi (base 2015) dall’impatto sugli eventi cardiovascolari ospedalizzati grazie all’integrazione con 1g/die di Omega 3
– EU 12,9 miliardi euro/anno (64,5 miliardi euro in 5 anni)
– ITA 1,36 miliardi euro/anno (6,8 miliardi euro in 5 anni)
Vantaggio economico al netto del costo dell’integrazione con 1 g/die di Omega 3
– EU 7,3 miliardi euro/anno (36,5 miliardi in 5 anni)
– ITA 724 milioni euro/anno (3,6 miliardi in 5 anni)
Per ogni euro speso in integratori Omega3 si risparmierebbero 2,29 euro
Fonte: Health cost saving of Omega 3 food supplement in EU
Calcio, vitamina D e rischio di fratture
I ricercatori della Frost&Sullivan si sono proposti di verificare l’efficacia della supplementazione di 1 g/die di calcio e 15 mcg/die di vitamina D nel ridurre il rischio di fratture ossee in una popolazione over 55 a rischio perché affetta da osteoporosi. In Europa soffrono di osteoporosi 27,8 miloni di persone di cui l’80% è di sesso femminile. Ai fini dell’analisi sono stati analizzati i dati di 7 trial clinici pubblicati nella letteratura internazionale. Complessivamente si stima che nell’Ue nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020 il numero di fratture attribuibili all’osteoporosi nella popolazione a rischio target dell’indagine sia 1,24 milioni/anno, di cui 150mila/anno in Italia. Le fratture ossee attribuibili all’osteoporosi genererebbero una spesa annua in Europa di 26,4 miliardi di euro, quasi 5 miliardi di euro/anno (4.696 milioni) in Italia.
La supplementazione con 1 g/die di calcio e/o 15 mcg di vitamina D consentirebbe di prevenire 187mila fratture in Europa (935mila in 5 anni), di cui 22mila in Italia. A questo corrisponderebbe un risparmio di costi estremamente significativo e tale da sfiorare complessivamente per i Paesi europei i 20 miliardi in 5 anni e raggiungere i 3,5 miliardi in Italia. Se sottraiamo il costo degli integratori, grazie alla supplementazione con calcio e vitamina D nelle popolazioni a rischio si potrebbe risparmiare mezzo milione di euro (542 milioni di euro/anno, 2,7 miliardi in 5 anni), ovvero ogni euro speso genererebbe un risparmio di ben 3,47 euro.
CALCIO E VITAMINA D
Vantaggio dell’integrazione con 1 g calcio e/o 15 mcg di vitamina D nella riduzione delle fratture ossee nella popolazione europea a rischio nel periodo 2016-2020
N. fratture per osteoporosi e relativi costi:
– EU: 1,24 milioni/anno (26,34 miliardi euro/anno)
– Italia: 150mila/anno (4,696 miliardi euro)
Riduzione media delle fratture per osteoporosi grazie all’integrazione con 1g/die calcio e/o 15 mcg vitamina D
– EU meno 187mila /anno (935mila in 5 anni)
– ITA meno 22,4mila/anno
Riduzione dei costi (base 2015) per fratture attribuibili a osteoporosi grazie all’integrazione con 1g/die calcio e/o 15 mcg vitamina D
– EU 3,96 miliardi euro/anno (19,8 miliardi euro in 5 anni)
– ITA 704 milioni euro/anno (3,5 miliardi euro in 5 anni)
Vantaggio economico al netto del costo dell’integrazione con 1g/die calcio e/o 15 mcg vitamina D
– EU 2,82 miliardi euro/anno (14 miliardi in 5 anni) ù
– ITA 542 milioni euro/anno (2,7 miliardi in 5 anni)
Per ogni euro speso in integratori di calcio + vitamina D si risparmierebbero 3,47 euro (4,4 euro lordi)
Fitosteroli e rischio CV attraverso la riduzione del colesterolo LDL
Nell’ultimo report pubblicato da Frost&Sullivan i ricercatori hanno analizzato le metanalisi di 124 studi clinici per valutare l’efficacia dell’integrazione con 1,7 g/die di fitosteroli nel ridurre il rischio cardiovascolare attraverso la riduzione del colesterolo LdL in una popolazione a rischio europea affetta da ipercolesterolemia grave (età +55 anni). In Europa le persone con ipercolesterolemia grave superano i 31 milioni (20% è la percentuale italiana) e presentano un rischio di ospedalizzazione per eventi cardiovascolari pari al 24,3%. Il costo per la gestione degli eventi cardiovascolari nei prossimi 5 anni supererà l’1,3 miliardi di euro (34mila euro per evento). È noto che il rischio di eventi cardiovascolari diminuisce del 26,6% per ogni 1mmol/L di riduzione del colesterolo LDL. La supplementazione di 1,7 g/die di fitosteroli sembra ridurre i livelli di colesterolo di 0,372 mmol/L, e quindi ridurre il rischio di ricovero per evento cardiovascolare del 2,3%. Il risvolto economico di questo intervento dovrebbe portare a un risparmio annuo di 5,3 miliardi, che al netto del costo degli integratori diventa 4,1 miliardi di euro. In estrema sintesi, per ogni euro speso in fitosteroli si risparmierebbero 4,37 euro (3,6 euro in Italia, base dati 2015).
FITOSTEROLI
Vantaggio dell’integrazione con 1,7 g/die di fitosteroli nella riduzione del rischio cardiovascolare attraverso la riduzione del colesterolo LDL in popolazione a rischio (ipercolesterolemia, età + 55 anni) nel periodo 2016-2020
N. ricoveri correlati ad eventi cardiovascolari in popolazione target – EU 38,4 milioni in 5 anni
– ITA 785mila in 5 anni
Costo per evento
– EU 34,637 mila/anno
– ITA 35 mila/anno
Riduzione del rischio cardiovascolare 24,3%
Riduzione del rischio di ricovero per evento cardiovascolare 2,3%
Risparmio grazie alla supplementazione con 1,7 g/die fitosteroli
– EU 5,3 miliardi/anno (26 miliardi in 5 anni)
– ITA 559 milioni/anno (402 milioni al netto del costo degli integratori)
Per ogni euro speso in fitosteroli si risparmierebbero 4,37 euro (3.6 in Italia)
Servono studi di efficacia e “nutrieconomia”
I risultati di questi tre studi dimostrano come l’integrazione mirata possa ridurre i costi sanitari attraverso la prevenzione dell’insorgenza delle malattie concorrendo alla sostenibilità del Sistema sanitario, sollecitato dalla crescente domanda di salute conseguente all’invecchiamento della popolazione a fronte di una sempre più scarsa disponibilità di risorse. «Perché il vantaggio diventi concreto è necessario che il Sistema sanitario riconosca gli integratori come un efficace strumento di prevenzione e quindi i professionisti della salute li suggeriscano e prescrivano», sottolinea Anna Paonessa. «Per essere riconosciuti dal SSN abbiamo bisogno di studi che dimostrino l’efficacia di questi prodotti e le loro potenzialità economiche. Servono quindi studi di “nutrieconomia”, simili a quelli che si conducono in ambito farmaceutico. Abbiamo bisogno di studi di buona qualità non solo finalizzati a ottenere il riconoscimento da parte di Efsa dell’indicazione salutistica da vantare in etichetta, ma anche la prescrivibilità sistematica nella popolazione a rischio» precisa Giorgio Colombo. In realtà non è nulla di nuovo. È lo stesso percorso che ha fatto l’acido folico, riconosciuto per la sua efficacia preventiva dei disturbi neuronali (spina bifida) nel feto quando assunto dalla donna nell’epoca che precede il concepimento. «Gli elevati costi di gestione dei bambini affetti da spina bifida sono stati una forte leva per condurre studi per evidenziare strategie valide per ridurre la spesa sanitaria di questa patologia. L’acido folico ha rappresentato la risposta a questa domanda» ha concluso Giorgio Colombo.