La letteratura scientifica evidenzia sempre di più la componente infiammatoria come cofattore della induzione delle malattie degenerative. Anche le forme tumorali intestinali mostrano questa relazione e nel corso degli anni è stato descritto in modo talvolta controverso, come evidenziato dalla review di Garg (1), il percorso di evoluzione da malattia infiammatoria intestinale (Crohn e RCU) verso il cancro del colon.
Da anni numerosi studi hanno cercato di quantizzare il livello infiammatorio indotto dall’alimentazione nell’induzione dei tumori del colon. Di sicuro le evidenze portate da Lied (2) nella determinazione del BAFF (B Cell Activating Factor) a seguito della ingestione di alimenti infiammatori, consente di capire molto meglio anche questa progressione. Il BAFF fa parte della superfamily del TNF-alfa e si tratta di una citochina in grado di attivare e mantenere le malattie autoimmuni, come descritto da Steri nel 2017 sul NEJM (3) e di mantenere uno stimolo infiammatorio persistente e preciso, favorito e stimolato dalla presenza di IgG specifiche per alimenti non adatti al singolo organismo, come spiegato nel 2016 da Kang (4). Questa relazione profonda tra alimentazione e infiammazione ha ricevuto una categorizzazione importante grazie agli studi di Shivappa e Grosso (5) e alla definizione che hanno fatto insieme al loro gruppo del Dietary Inflammatory Index (DII®), basato sulla revisione di tutta la letteratura pubblicata dal 2009 sul rapporto tra dieta e infiammazione. Questo lavoro ha consentito, e consente oggi, di quantizzare in modo più preciso il rapporto complessivo tra gli alimenti introdotti nell’organismo e un generale indice infiammatorio che questi possono sviluppare. IL DII è composto di 45 parametri dei quali 36 sono antinfiammatori (tra questi fibra, uso moderato di alcol, acidi grassi monoinsaturi, isoflavoni, antocianidine, curcuma, aglio, zenzero), mentre 9 sono invece infiammatori (tra questi acidi grassi transidrogenati, eccesso di ferro, eccesso di carboidrati, densità calorica).
Anche se questi parametri sono generici e non possono verificare la rispondenza individuale, rappresentano, trasformati in indice di riferimento, un importante strumento per verificare sul piano epidemiologico l’utilità di una particolare abitudine nutrizionale. Per questo Shivappa e Grosso hanno iniziato a produrre una serie di lavori che valutassero la relazione tra DII e specifiche malattie. Nella loro meta-analisi sul cancro del colon (5), applicata a una popolazione di circa 800.000 persone tra studi di coorte e casi controllo, si è evidenziato un rischio aumentato del 40% di sviluppo di questa forma tumorale confrontando le persone con un DII elevato (massimo stimolo cancerogeno) con le persone con un DII molto basso (massima protezione). Riuscire a misurare quello che una volta veniva solo “supposto”, è un passo importante per il futuro della medicina.
Da anni numerosi studi hanno cercato di quantizzare il livello infiammatorio indotto dall’alimentazione nell’induzione dei tumori del colon. Di sicuro le evidenze portate da Lied (2) nella determinazione del BAFF (B Cell Activating Factor) a seguito della ingestione di alimenti infiammatori, consente di capire molto meglio anche questa progressione. Il BAFF fa parte della superfamily del TNF-alfa e si tratta di una citochina in grado di attivare e mantenere le malattie autoimmuni, come descritto da Steri nel 2017 sul NEJM (3) e di mantenere uno stimolo infiammatorio persistente e preciso, favorito e stimolato dalla presenza di IgG specifiche per alimenti non adatti al singolo organismo, come spiegato nel 2016 da Kang (4). Questa relazione profonda tra alimentazione e infiammazione ha ricevuto una categorizzazione importante grazie agli studi di Shivappa e Grosso (5) e alla definizione che hanno fatto insieme al loro gruppo del Dietary Inflammatory Index (DII®), basato sulla revisione di tutta la letteratura pubblicata dal 2009 sul rapporto tra dieta e infiammazione. Questo lavoro ha consentito, e consente oggi, di quantizzare in modo più preciso il rapporto complessivo tra gli alimenti introdotti nell’organismo e un generale indice infiammatorio che questi possono sviluppare. IL DII è composto di 45 parametri dei quali 36 sono antinfiammatori (tra questi fibra, uso moderato di alcol, acidi grassi monoinsaturi, isoflavoni, antocianidine, curcuma, aglio, zenzero), mentre 9 sono invece infiammatori (tra questi acidi grassi transidrogenati, eccesso di ferro, eccesso di carboidrati, densità calorica).
Anche se questi parametri sono generici e non possono verificare la rispondenza individuale, rappresentano, trasformati in indice di riferimento, un importante strumento per verificare sul piano epidemiologico l’utilità di una particolare abitudine nutrizionale. Per questo Shivappa e Grosso hanno iniziato a produrre una serie di lavori che valutassero la relazione tra DII e specifiche malattie. Nella loro meta-analisi sul cancro del colon (5), applicata a una popolazione di circa 800.000 persone tra studi di coorte e casi controllo, si è evidenziato un rischio aumentato del 40% di sviluppo di questa forma tumorale confrontando le persone con un DII elevato (massimo stimolo cancerogeno) con le persone con un DII molto basso (massima protezione). Riuscire a misurare quello che una volta veniva solo “supposto”, è un passo importante per il futuro della medicina.
Fonti:
1) Garg SK et al, Curr Opin Gastroenterol. 2016 Jul;32(4):274-81.
2) Lied GA et al, Aliment Pharmacol Ther. 2010 Jul;32(1):66-73. Epub 2010 Mar 26
3) Steri M et al, N Engl J Med. 2017 Apr 27;376(17):1615-1626.
4) Kang S et al, J Immunol. 2016 Jan 1;196(1):196-206. Epub 2015 Nov 30
5) Shivappa N et al, Nutrients. 2017 Sep 20;9(9). pii: E1043