Secondo i risultati di due studi pubblicati su Infection Control and Hospital Epidemiology, i probiotici sono efficaci nella prevenzione dell’infezione da Clostridium difficile (CDI) in pazienti trattati con antibiotici. «Le attuali linee guida di pratica clinica sulla infezione da C. difficile si concentrano sulle strategie di prevenzione di base, come la formazione del personale, l’isolamento del paziente, la gestione antimicrobica e l’utilizzo di disinfettanti, ma nessuna di esse consiglia i probiotici per la profilassi» afferma Bradley Johnston, della Dalhousie University, di Halifax, Canada, autore principale del primo lavoro. I ricercatori hanno analizzato i dati di 6.851 partecipanti in 18 studi per determinare se l’aggiunta di probiotici a un regime antibiotico riducesse l’incidenza di infezione da C. difficile in bambini e adulti. Ebbene, l’incidenza di di tale infezione è stata dell’1,1% nei gruppi di intervento e del 2,5% nel gruppo di controllo. La profilassi con probiotici aveva ridotto le probabilità di infezione da C. difficile del 63% nelle analisi non aggiustate per altri fattori e del 65% nei 13 studi inclusi nell’analisi con regolazione per fattori diversi. I probiotici multispecie hanno ridotto significativamente le probabilità di infezione da C. difficile, mentre si è avuta una riduzione non significativa con singole specie di probiotici; inoltre, dosi di probiotici inferiori a 1 miliardo di unità al giorno non hanno mostrato un effetto significativo. In un altro lavoro sullo stesso argomento William Trick, del Cook County Health and Hospitals System di Chicago, Stati Uniti, ha esaminato col suo gruppo di lavoro l’efficacia di un intervento con probiotici per prevenzione primaria della infezione da C. difficile in un ospedale universitario con 694 letti. In questo scenario di popolazione reale, l’incidenza di infezione da C. difficile non è risultata significativamente diversa tra il periodo utilizzato come controllo (6,9 casi ogni 10.000 giorni-paziente) e il periodo di intervento (7,0 per 10.000 giorni-paziente), ma l’incidenza durante la seconda metà del periodo di intervento è risultata significativamente inferiore rispetto alla prima metà dello stesso (5,4 rispetto a 8,6 per 10.000 giorni-paziente). «L’effetto ritardato è coerente con la letteratura precedente e potrebbe essere correlato alla scarsa fedeltà al protocollo per la somministrazione del probiotico e a una graduale riduzione ritardata della contaminazione ambientale» osservano i ricercatori.
Infect Control Hosp Epidemiol. 2018. doi: 10.1017/ice.2018.84
Infect Control Hosp Epidemiol. 2018. doi: 10.1017/ice.2018.76