Le malattie reumatiche rappresentano un gruppo eterogeneo di affezioni le cui caratteristiche principali sono il danno articolare, l’infiammazione, il dolore e la disabilità. Quelle a maggior prevalenza sono l’artrite reumatoide (AR), le spondiloartriti (SpA), le artriti da microcristalli, il lupus eritematoso sistemico (LES) e l’artrosi (OA). A queste si aggiungono le malattie del tessuto connettivo, dell’osso, i reumatismi extrarticolari e la fibromialgia (Tabella 1) [1].
Nonostante i fattori di rischio implicati nello sviluppo di ciascuna di queste patologie siano diversi fra loro, così come anche l’andamento clinico, le malattie reumatiche sono accumunate da processi infiammatori cronici responsabili, a loro volta, di una aumentata mortalità e di comorbidità, in particolare a carico dell’apparato cardiovascolare. Le terapie farmacologiche sono basate sull’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei, corticosteroidi, immunosoppressori e, nei pazienti in cui la terapia tradizionale non è efficace, sui farmaci biologici anti-citochine. Le citochine quali l’interleuchina (IL)-1â e il tumor necrosis factor (TNF) á rappresentano infatti i principali mediatori del processo infiammatorio locale e sistemico che caratterizza questi pazienti e sono responsabili dei principali danni a carico delle articolazioni. Sebbene per molte malattie reumatiche i target terapeutici siano diventati sempre più specifici e l’efficacia delle nuove terapie sempre più elevata, per altre, quali l’OA, non sono ancora disponibili cure adeguate e ai pazienti vengono raccomandate terapie non farmacologiche quali la balneoterapia, l’uso di ortesi, l’esercizio fisico e il mantenimento di un peso fisiologico [2].
Negli ultimi 50 anni, un’attenzione sempre maggiore è stata posta al ruolo che hanno certi alimenti nello sviluppo e nella progressione delle malattie croniche. In questo contesto, il pattern alimentare della dieta mediterranea ha dimostrato numerosi effetti benefici non solo nei riguardi delle malattie cardiovascolari e nei tumori, ma anche nel diabete, nella sindrome metabolica e in alcune malattie reumatiche [3]. Per quanto riguarda queste ultime, studi scientifici hanno messo in evidenza come fattori nutritivi e non nutritivi siano in grado di influenzare la loro patogenesi e in particolare la loro progressione e possano essere utilizzati come nutraceutici in supporto alla terapia farmacologica.
Il ruolo della dieta nelle malattie reumatiche
I meccanismi coinvolti nella patogenesi delle malattie reumatiche sono complessi e non ancora completamente chiariti. Tuttavia, evidenze scientifiche sempre più importanti dimostrano che lo stile di vita e in particolare l’alimentazione possono influenzare la patogenesi e la progressione di queste malattie. Nell’AR, fattori ambientali (quali fumo, infezioni, inquinamento), alterazioni epigenetiche o modifiche post-traslazionali possono portare alla perdita della tolleranza immunitaria in un individuo geneticamente predisposto che successivamente sviluppa la malattia [4]. È stato osservato che la prevalenza dell’AR nelle popolazioni del Sud Europa è più bassa rispetto a quella del Nord Europa e del Nord America. Inoltre, in queste popolazioni, la malattia sembra essere meno aggressiva con manifestazioni radiologiche ed extra-articolari meno importanti [5]. Queste differenze sono state attribuite, almeno in parte, a fattori dietetici quali il più ampio consumo di olio di oliva e pesce così come una maggior aderenza alla dieta mediterranea delle popolazioni del Sud Europa. Il rischio di sviluppare l’AR è stato inversamente associato al consumo di olio di oliva [6] e di pesce ad elevato contenuto di grassi (>8 g/100 g) [7]. Nel Nurses’ Health Study, su una ampia coorte di donne, è stato osservato come il consumo di bibite gassate dolcificate e di carne rossa sia associato ad un maggior rischio di sviluppare la malattia, in particolare nelle pazienti sieropositive al fattore reumatoide e con età inferiore ai 55 anni [8, 9].
Altri fattori alimentari, come gli acidi grassi omega-3, le fibre e l’olio di pesce hanno dimostrato un potenziale effetto benefico sull’AR [10]. Minori evidenze scientifiche sono disponibili per quanto riguarda il ruolo dei nutraceutici nelle SpA. Anche in questa patologia l’alterata regolazione immunitaria sembra essere innescata da fattori ambientali che agiscono su un preciso background genetico. L’influenza della dieta nelle SpA, ma in particolare nella spondilite anchilosante (SA), nasce dall’osservazione che la prevalenza della malattia nelle popolazioni artiche dell’Alaska, la cui dieta è prevalentemente a base di pesce, è molto più bassa rispetto alle popolazioni artiche del Canada, la cui dieta è più ricca di amido, a dispetto, in entrambi i casi, di un’elevata frequenza di HLA-B27 [11], noto fattore di rischio genetico per l’insorgenza delle SpA. Alla luce di una frequente associazione tra SA e infiammazione intestinale subclinica, e di elevati livelli di anticorpi IgA anti-Klebsiella nella fase attiva della malattia [12], è stato osservato che una dieta povera di amido porta ad un beneficio clinico in questi pazienti [13]. La Klebsiella infatti possiede un enzima (la pullulanasi) in grado di depolimerizzare l’amido resistente (legami glicosidici 1-6 dell’amilopectina) e di servirsene promuovendo la propagazione dei microbi intestinali. Per quanto riguarda l’OA, molti fattori tra cui età, sesso, obesità, stress meccanici e traumi concorrono allo sviluppo della malattia. È stato dimostrato che le alterazioni epigenetiche sono coinvolte nell’omeostasi della cartilagine articolare [14] e un ampio numero di componenti dietetici influenzano le vie di segnale epigenetiche di geni infiammatori [15]. Tra questi un ruolo rilevante è svolto dai polifenoli quali il resveratrolo, la curcumina, l’epigallocatechina e la quercetina, che alterano l’espressione di enzimi epigenetici chiave, così come quella di microRNA, porzioni di RNA non codificanti in grado di regolare la produzione di diverse proteine [15, 16].
Prendendo in considerazione la gotta, o artropatia da deposito di cristalli di urato, è noto che alcuni alimenti, soprattutto quelli ricchi di purine come le carni rosse, rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia legato all’aumento dei livelli di acido urico nel sangue. Altri alimenti che influenzano l’uricemia sono rappresentati dal fruttosio che induce la degradazione dell’ATP aumentando la concentrazione della xantina, precursore dell’acido urico [17], e l’alcol etilico che agisce anche diminuendone l’escrezione. È stato dimostrato che, oltre al potere alcolico, il consumo di birra è legato ad un aumentato rischio di sviluppare la gotta per la presenza di elevate concentrazioni di guanina in questa bevanda [18]. Il caffè, invece, è stato inversamente associato al rischio di gotta [19]. Un ampio studio condotto su oltre 2300 partecipanti ha dimostrato che l’aderenza alla dieta mediterranea è inversamente associata ai livelli di acido urico nel sangue e quindi ad un minor rischio di sviluppare la malattia [20]. Inoltre, i polifenoli e le fibre alimentari, di cui la dieta mediterranea è particolarmente ricca, svolgono un ruolo antinfiammatorio inibendo la produzione di IL-1, la citochina più importante nelle artriti indotte da microcristalli [21].
La dieta mediterranea
Tradizionalmente, la dieta mediterranea è caratterizzata da un’abbondanza di frutta, verdura, pesce, noci e olio extravergine di oliva. I grassi sono prevalentemente monoinsaturi e polinsaturi con un basso rapporto omega-6/omega-3. È stato ampiamente dimostrato che la dieta mediterranea è associata a una varietà di effetti benefici sulla salute, legati in modo particolare alle proprietà anti-infiammatorie e anti-ossidanti dei suoi componenti. Questi sono in grado infatti di influenzare la cascata dell’acido arachidonico, l’espressione genica di citochine pro-infiammatorie e l’attività delle cellule immunitarie. È stato dimostrato che gli acidi grassi omega-3 alterano la composizione degli acidi grassi delle membrane plasmatiche conducendo alla formazione di prostaglandine della serie 3 e leucotrieni della serie 5 che, contrariamente a quelle della serie 2 e 4, hanno ridotte proprietà infiammatorie [22]. Uno dei fattori nutritivi della dieta mediterranea a cui viene attribuito uno dei ruoli salutari più importanti è l’acido oleico, acido grasso monoinsaturo omega-9 contenuto in abbondanza nell’olio extravergine di oliva. È stato dimostrato che l’acido oleico è in grado di modulare l’espressione di geni coinvolti in vie di segnale infiammatorie e nella produzione di citochine [23]. Tra i fattori non nutritivi della dieta mediterranea, i composti fenolici contenuti nelle olive, nell’olio di oliva e nel vino sono quelli che hanno ricevuto le attenzioni maggiori dalla comunità scientifica grazie alle loro importanti attività anti-infiammatorie, antiangiogenetiche, cardioprotettive e anti-tumorali [24]. Tra questi, vi sono l’idrossitirosolo (olive), il resveratrolo (vino), l’oleocantale, l’oleuropeina (olio extravergine di oliva) e il carnosolo (rosmarino e salvia). Gli studi clinici condotti sugli effetti della dieta mediterranea nei pazienti con malattie reumatiche hanno dimostrato miglioramenti in termini di indici clinici e indici di infiammazione sistemica, nonché una diminuzione del rischio cardiovascolare [3].
La supplementazione dietetica
Diversi studi clinici sono stati condotti per valutare il beneficio dell’uso di nutraceutici nei pazienti affetti da malattie reumatiche. La supplementazione con olio di pesce e olio di oliva extravergine per un periodo di 6 mesi ha portato a un miglioramento dei principali indici clinici in pazienti con AR [25]. L’effetto benefico di alte dosi di olio di pesce (5,5 g/die EPA+DHA) sulla remissione della malattia è stato inoltre osservato in un recente studio condotto in 140 pazienti con AR [26]. È stato dimostrato che la somministrazione di capsule contenenti acidi grassi polinsaturi a lunga catena (PUFA) omega-3 in pazienti con AR e artrite psoriasica, la forma più frequente di SpA, è in grado di influenzare l’incorporazione di acidi grassi nei lipidi di membrana e la produzione di eicosanoidi nonché di migliorare l’andamento clinico dei pazienti [27]. Risultati contrastanti sono stati ottenuti in uno studio coreano nel quale si è tuttavia osservata una diminuzione dell’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei nei pazienti che assumevano omega-3 [28]. L’effetto di questi acidi grassi è stato valutato anche in pazienti con SA randomizzati a ricevere basse o alte dosi di omega-3. In questo studio è stata osservata una diminuzione significativa dell’attività della malattia nel gruppo di pazienti sottoposti ad alte dosi di supplemento [29].
Fitoestrogeni, come la sesamina, sono stati utilizzati nell’AR con risultati benefici in termini di riduzione dello stress ossidativo [30]. I probiotici, ed in particolare del genere Lactobacillus e Bifidobacteria, sono diventati molto popolari negli ultimi anni, grazie in particolare alla loro azione immunomodulatrice e anti-infiammatoria [31]. Il loro uso nei soggetti con AR ha mostrato un effetto positivo sullo stato infiammatorio dei pazienti [32]. La supplementazione con probiotici non sembra invece influire sullo stress ossidativo, come dimostrato in un recente studio randomizzato [33]. Tra i nutraceutici maggiormente utilizzati nell’OA, la glucosammina e il condroitin solfato, componenti naturali della cartilagine, hanno dimostrato un effetto simile al farmaco anti-infiammatorio celecoxib nel miglioramento dell’indice composito WOMAC (Western Ontario and McMaster Universities Arthritis Index), quando utilizzati a lungo termine e in combinazione [34]. Alcune formulazioni di glucosammina contenenti estratti di ginger e Boswellia Serrata sono state testate in pazienti con OA per un periodo di 6 mesi, dimostrando miglioramenti significativi degli indici clinici di malattia [35]. Anche l’utilizzo prolungato dell’olio di pesce ha dimostrato un miglioramento dell’indice WOMAC nell’OA [36]. Nella gotta, nonostante l’alimentazione sia di fondamentale importanza, la supplementazione dietetica non è supportata da evidenze scientifiche rilevanti [37]. Pochi studi sono disponibili anche riguardo le SpA dove la somministrazione di acidi grassi omega- 3 ha dimostrato una diminuzione dell’attività di malattia in un piccolo numero di pazienti [29]. Nonostante la supplementazione con vitamina D sia raccomandata nei pazienti con malattie autoimmuni nelle quali è spesso carente, l’uso come nutraceutico nelle malattie reumatiche è limitato dalla scarsità di studi clinici. Gli studi disponibili hanno messo in evidenza solo un modesto beneficio sull’attività di malattia [38].
Conclusioni
Lo studio del ruolo dei nutraceutici nelle malattie reumatiche ha ricevuto un notevole impulso negli ultimi 20 anni. Diversi composti dietetici hanno infatti dimostrato importanti effetti su specifiche attività cellulari coinvolte nel rilascio di mediatori dell’infiammazione e nello stress ossidativo. La maggior parte di questi, tra cui i polifenoli dell’olio di oliva e del vino, e gli acidi grassi omega-3 presenti nel pesce, fanno parte del pattern alimentare della dieta mediterranea alla quale vengono attribuite le proprietà benefiche più importanti. Le diverse formulazioni di nutraceutici presenti in commercio sono a base dei composti elencati e la loro somministrazione viene consigliata per cicli di qualche settimana ripetuti nel tempo. Nonostante le numerose evidenze scientifiche riportate negli studi in vitro e sull’animale, la supplementazione dietetica nelle malattie reumatiche rimane ancora limitata per la scarsità di studi clinici randomizzati e controllati.
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