Negli ultimi mesi un tema di grande interesse, oggetto di un ampio dibattito, riguarda l’uso della Cannabis sativa e dei suoi derivati nei prodotti per la salute ed il benessere.
Ci sono prodotti, in specie alimenti e cosmetici, nei quali la Cannabis sembra essere diventata indispensabile e pubblicità nelle quali è conditio sine qua non l’evocazione verbale o iconografica a parti di tale specie vegetale.
Della Cannabis sativa, specie della famiglia delle Cannabacee, esistono diverse varietà legate da un unico denominatore comune che è il Tetraidrocannabinolo (THC), principale costituente fisiologicamente attivo di questa specie, sempre presente anche se in quantità variabili nelle diverse varietà e parti della Cannabis.
Il tetraidrocannabinolo nelle sue forme isomeriche è uno stupefacente ovvero è una sostanza che, anche a piccole dosi, agisce modificando lo stato di coscienza e lo stato emotivo, classificato come tale al pari dell’oppio o della cocaina.
A partire dagli anni 2000 si è aperta una campagna di favore nei confronti della coltivazione della canapa che in passato era stata una coltura tradizionale del nostro paese, poi caduta in disuso. Già la circolare del Ministero delle politiche agricole e Forestali del 8 maggio 2002 n. 1, sollecitando il preciso rispetto di tutti gli adempimenti posti dai regolamenti comunitari, che avevano disposto un regime di sostegno a favore dei coltivatori di alcuni seminativi e tra questi per la canapa, auspicava una ripresa della coltivazione della cannabis sativa.
L’approvazione della legge 2 dicembre 2016 n. 242 recante “disposizione per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, entrata in vigore il 14.01.2017, costituisce un ulteriore passo in avanti in questa direzione.
La legge 242/2016 è stata approvata proprio al fine di sostenere e promuovere la coltivazione della cannabis sativa e della relativa filiera e all’art. 1 precisa che oggetto della normativa sono le coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune della specie di piante agricole, che non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al DPR 309/1990 (Testo unico sulla droga che recepisce la Convenzione unica sugli stupefacenti firmata a New York il 30 marzo 1961).
Proprio l’esclusione specificata dall’art. 1 della l. 242/2016 rende chiaro che il DPR 309/1990 continua comunque a regolare la coltivazione e l’uso della Cannabis sativa di ogni tipo e varietà diversi da quelli iscritti nel catalogo Comune e per ogni finalità differenti da quelle specificate.
Il DPR 309/1990 disciplina tutte le sostanze qualificate stupefacenti o psicotrope ed i medicinali a base di tali sostanze, ivi incluse le sostanze attive ad uso farmaceutico, sottoponendole alla vigilanza del Ministero della salute. Le sostanze ed i medicinali oggetto del decreto sono raggruppate, in conformità a particolari criteri, in cinque tabelle.
Nella tabella I di tale decreto, tra le sostanze stupefacenti, si ritrova il tetraidrocannabinolo (THC) – che, come abbiamo ricordato, costituisce il principio attivo caratterizzante di tutte le Cannabacee – e nella tabella II, tra le sostanze naturali considerate stupefacenti, appare Cannabis (foglie e infiorescenze) nonchè Cannabis olio e resina e ciò sempre in ragione della possibile presenza di tetraidrocannabinolo (THC).
Il decreto 309/1990 vieta nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II, prevedendo come sola eccezione la coltivazione della canapa destinata alla produzione di fibre o per altri usi industriali purché consentiti dalla normativa dell’Unione europea.
Tornando ora alla l. 242/2016, si nota come ci sia corrispondenza con le disposizioni del decreto 309/1990. Infatti in tale legge solo le piante consentite dalla normativa europea e prive – o con un tenore insignificante – di THC possono essere coltivate liberamente e possono trovare sbocco, purché l’uso ne sia ammesso dalle specifiche normative di riferimento, come semilavorati per l’industria di diversi settori. Le coltivazioni consentite sono comunque soggette a controlli da parte del Corpo Forestale dello Stato che può effettuare campionamenti al fine di accertare che le piante di Cannabis della specie ammessa, abbiano comunque un contenuto complessivo medio in THC compreso tra 0,2 e lo 0,6 per cento; nel caso, infatti, che tale limite non sia rispettato le autorità di controllo devono disporne la distruzione.
Per i derivati dalla Cannabis sativa provenienti dalle coltivazioni consentite, da destinare al settore cosmetico e alimentare, l’art. 2 precisa, inoltre, che la possibilità d’impiego è condizionata “al rispetto delle discipline dei rispettivi settori” e, con riferimento particolare all’ambito alimentare, l’art. 5 delega il Ministero della salute a definire con specifico decreto i livelli massimi di residui di THC ammessi. L’uso della cannabis, benché la sua coltivazione sia incentivata è dunque sempre soggetto a molte limitazioni.
L’approvazione della legge 242/2016 è stata salutata con grande entusiasmo: c’è stato un incremento delle coltivazioni ed è cresciuto l’interesse per questa pianta che è anche diventata oggetto di un’ampia rete di distribuzione al dettaglio. Sull’onda del successo riscontrato sul mercato si è assistito ad una crescente domanda per l’uso dei derivati della Cannabis come ingredienti sia nell’industria alimentare che in quella cosmetica.
Nell’applicazione della l. 242/16 si è però subito palesato un problema interpretativo per quanto riguarda la libera vendita delle piante nella filiera distributiva e, in particolare delle inflorescenze, tanto che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il 22 maggio 2018 ha ritenuto di emanare una circolare interpretativa.
Nel parere del 22 maggio 2018 il Ministero, ribadito che la coltivazione delle varietà di Cannabis sativa delle varietà delle specie di piante agricole ammesse non necessita autorizzazione, che il tenore medio di THC riscontrabile nelle coltivazioni di cannabis sativa ammesse deve sempre essere compreso tra lo 0.2. e lo 0,6, si sofferma sulle coltivazioni destinate al florovivaismo per precisare che “la vendita delle piante a scopo ornamentale è consentita senza autorizzazione” e che le infiorescenze della canapa “pur non essendo citate espressamente dalla l. 242/2016 né tra le finalità della coltura né tra i possibili usi, rientrano nell’ambito dell’art. 2 lettera. g) rubricato Liceità della coltivazione, ossia nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo , purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse, iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, il cui contenuto di THC della coltivazione non superi i livelli stabiliti dalla normativa, e sempre che il prodotto non contenga sostanze dichiarate dannose per la salute dalle Istituzioni competenti” e che di conseguenza anche la vendita delle infiorescenze è libera.
Il parere, stando alla lettera del testo, chiarisce i possibili usi della canapa coltivata nell’ambito del florovivaismo e non sembra essere in conflitto con il parere del Consiglio Superiore di sanità che analizza il problema liceità della libera vendita delle infiorescenze destinate ad impieghi diversi dal florovivaismo, in particolare per il consumo come prodotti da combustione o inalazione o altro tipo di assunzione personale, del quale si è interessato il Consiglio Superiore della Sanità.
Il Consiglio Superiore di sanità con il parere 10.04.2018 riguardante la possibilità di vendere liberamente le infiorescenze della canapa e la sicurezza per la salute umana dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa ha risposto che “ritiene che tra le finalità della coltivazione della canapa industriale, previste al comma 2 dell’art. 2 della l. 242/2016 non è inclusa la produzione delle inflorescenze né la libera vendita al pubblico e, pertanto, la vendita di prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di cannabis o cannabis light o cannabis leggera…pone certamente motivo di preoccupazione” considerato, quanto alla sicurezza, che “la biodisponibilità di Delta-9-THC anche a basse concentrazioni (0,2-0,6 %) non (è) trascurabile” e “non appare, in particolare, che sia stato valutato il rischio connesso al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali, d esempio, età, presenza di patologie concomitanti, stato di gravidanza, allattamento, interazione con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, ecc cosi da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come “sicura” e “priva di effetti collaterali” si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, neonato, guida in stato di alterazione)”
In considerazione delle norme del dpr 309/1990, della l. 242/2016 e dei pareri espressi, sembra di poter concludere che attualmente la disciplina della cannabis è la seguente:
1) la cannabis sativa, parti di tale pianta ed i principi attivi che la caratterizzano sono oggetto della disciplina del DPR 309/1990 (Testo unico sulla droga);
2) è esclusa dalla normativa del DPR 309/1990, dagli obblighi e limiti che la stessa impone, solo la cannabis sativa che ha le caratteristiche indicate nell’art. 1 della l. 242/2016 ed esclusivamente se finalizzata agli utilizzi specificati nell’art. 2, che per quanto riguarda alimenti e cosmetici devono essere prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori.
Il quesito che viene da porsi a questo punto è se, ai sensi della specifica normativa sui cosmetici, sia possibile utilizzare la cannabis sativa nei cosmetici.
I prodotti cosmetici sono disciplinati oggi dal regolamento (CE) 1223/2009 che prevede una disciplina organica del settore e che regolamenta l’uso di taluni ingredienti dei prodotti attraverso una serie di allegati.
A questo riguardo si ricorda che l’uso della Cannabis e dei suoi derivati è espressamente vietato nei cosmetici fin dalla legge 713/86, disciplina base sui cosmetici. Nell’elenco delle sostanze non ammesse in tali prodotti, infatti, alla voce numero 306, erano richiamati gli stupefacenti, intendendo con tale termine ogni sostanza di cui all’art. 12 co. 1 lett. a), b) e n. 2 lettere a) e b) della L. 685 del 22.12.1975 e relativi decreti ministeriali. Ora l’elenco delle sostanze vietate della legge 713/86 è riportato nell’allegato 2 del regolamento (CE) 1223/2009 ed in tale allegato è rimasto il divieto di uso degli stupefacenti ai sensi della normativa vigente (DPR 309/90). Tra queste sostanze rientrano Cannabis fiori ed infiorescenze ed estratti o distillati da questi derivati, Cannabis resina, Cannabis sativa pianta intera e suoi estratti, sicuramente il THC ed il tretraidrocannabidiolo 1.
Le uniche parti della pianta di Cannabis non comprese tra quelle vietate e quindi consentite come ingredienti cosmetici sono i semi ed i prodotti da essi derivati quali farine e olio che, per loro natura, non contengono – o contengono quantità minime – di sostanze psicoattive, a meno che non siano stati contaminati in fase di raccolta dalla resina o altre parti della pianta.
Per evitare la possibilità di un contenuto in THC anche l’impiego di semi di cannabis o i loro derivati nei cosmetici deve essere subordinato a controlli. Per il THC infatti, come per ogni altra sostanza vietata nei cosmetici, vale quanto espresso dal considerando 37 del Regolamento 1223/09 che recita :“Per garantire la sicurezza dei prodotti, le sostanze vietate dovrebbero essere ammesse solo sotto forma di tracce se tecnicamente inevitabili anche osservando procedimenti corretti di fabbricazione e a condizione che il prodotto in questione sia sicuro” nonché il disposto dell’art. 17 che a riguardo delle tracce di sostanze vietate ammette esclusivamente “La presenza involontaria di una quantità ridotta di una sostanza vietata, derivante da impurezze degli ingredienti naturali o sintetici, dal procedimento di fabbricazione, dall’immagazzinamento, dalla migrazione dall’imballaggio e che è tecnicamente inevitabile nonostante l’osservanza di buone pratiche di fabbricazione, è consentita a condizione che tale presenza sia in conformità dell’articolo 3 ( Sicurezza dei prodotti per il consumatore).”
E cosa dire per quanto riguarda l’uso della Cannabis sativa e dei suoi derivati negli alimenti e integratori alimentari? La l. 242/2016 considera la produzione di alimenti tra le finalità cui sono destinate le coltivazioni di canapa sativa delle varietà ammesse e l’art. 5 rinvia ad un decreto del ministero della salute il livello di THC ammesso. Il Ministero della salute in esecuzione della delega conferitagli ha messo a punto un decreto che nel novembre 2018 ha presentato alla Commissione europea secondo la procedura TRIS. In tale decreto si chiarisce che possono essere destinati a scopi alimentari i soli semi di canapa, che possono essere utilizzati per ottenerne farina o olio. In questa canapa alimentare è disposto che il tenore massimo di THC non deve superare 2,0 mg/kg.
Fino ad ora ci siamo occupati di aspetti sostanziali e cioè l’uso della Cannabis sativa e dei suoi derivati come ingredienti di prodotti di libera vendita, ma c’è un altro aspetto non meno rilevante che deve esser considerato e cioè se è possibile ed in quali limiti possa essere pubblicizzata la Cannabis o i suoi derivati ammessi utilizzati come ingredienti in cosmetici, alimenti ed integratori alimentari.
Per quanto riguarda la Cannabis sativa che rientra nell’ambito di applicazione del decreto 309/90 l’art. 84 stabilisce che “la propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle previste dall’art. 14, anche se effettuata in modo indiretto, è vietata.” E nel caso di violazione “Il contravventore è punito con una sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cinquanta milioni, sempre che non ricorra l’ipotesi di cui all’art 82.” dove art. 82 stabilisce che “Chiunque pubblicamente istiga all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero svolge, anche in privato, attività di proselitismo per tale uso delle predette sostanze, ovvero induce una persona all’uso medesimo, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire due milioni a lire dieci milioni.”
Ora se la Cannabis sativa utilizzata come ingrediente rispetta le condizioni fin qui considerate appare assurdo che valga il divieto previsto dall’art. 84 del DPR 309/1990 e c’è da ritenere che debba valere per l’ingrediente consentito lo stesso trattamento che si ammette per ogni altra sostanza ammessa. Di conseguenza certamente può essere citata la presenza nella formulazione e, ammesso che costituisca l’ingrediente caratterizzante, sia data evidenza alla indicazione della sua presenza.
In ordine, ad esempio, a cosmetici che contengono come ingrediente l’olio di semi di cannabis sativa, ingrediente consentito, si può ritenere che l’indicazione in etichetta ed anche in pubblicità della presenza di questa sostanza sia da considerare lecito.
Meno scontata è la conclusione se si pensa ad un’etichetta sulla quale viene riprodotta la facilmente riconoscibile foglia della Cannabis o diciture che possano far pensare o evocare la funzione ricreativa riconosciuta alla sostanza. A questo riguardo si deve considerare che l’art. 20 del regolamento 1223/09 prevede che “In sede di etichettatura, di messa a disposizione sul mercato e di pubblicità dei prodotti cosmetici non vanno impiegati diciture, denominazioni, marchi, immagini o altri segni, figurativi o meno, che attribuiscano ai prodotti stessi caratteristiche o funzioni che non possiedono.” e che il regolamento 655/2013 precisa che ogni dichiarazione deve essere veritiera e cioè “1) Se si dichiara che un prodotto contiene uno specifico ingrediente, tale ingrediente deve essere effettivamente presente. 2) Le dichiarazioni sugli ingredienti che fanno riferimento alle proprietà di uno specifico ingrediente non possono attribuire le stesse proprietà al prodotto finito se questo non le possiede.” Rappresentare la foglia di Cannabis sativa o alludere alla funzione ricreativa sull’etichetta, nella presentazione e nella pubblicità di un cosmetico quando l’ingrediente presente nella formulazione non è la foglia o l’infiorescenza ma solo l’olio estratto dal seme, seme selezionato e controllato perché sia privo del principio attivo stupefacente, potrebbe essere considerato come non veritiero e fuorviante per il consumatore che potrebbe essere indotto ingannevolmente alla scelta d’acquisto. Per queste ragioni potrebbe ipotizzarsi la violazione delle disposizioni sopra citate e quindi la possibilità della applicazione dell’art. 13 del DLgs 204/2015 che stabilisce la sanzione amministrativa pecuniaria da € 500,00 ad € 5.000,00.
Anche per gli alimenti e gli integratori alimentari valgono considerazioni analoghe. La Cannabis sativa ammessa negli alimenti secondo il decreto che è in via di approvazione riguarda solo i semi, cioè la parte che è naturalmente priva del principio attivo che ha funzione stupefacente e quindi riportare fogli e fiori che non corrispondono alla parte di pianta utilizzato come ingrediente alimentare così come alludere alle funzioni ricreative per cui la pianta è ben conosciuta non è veritiero. Non solo, per gli alimenti il regolamento (CE) 1924/2006 (Claims) è molto restrittivo e rende possibile per gli ingredienti alimentari il vanto delle sole funzioni nutrizionali e salutistiche valutate positivamente dall’EFSA ed ammesse dalla Commissione in un apposito elenco. Elenco nel quale non figura la Cannabis e nessun vanto funzionale dunque può esserle riconosciuto. Anche il Ministero della salute che ha elencato un buon numero di piante ammettendo claim salutistici non ha considerato la Cannabis. Di conseguenza anche per gli alimenti che contengono come ingrediente la Cannabis sativa deve essere posta attenzione a non utilizzare immagini o testi che possano essere considerati come violazione agli obblighi di leale informazione previsti dall’art. 3 del regolamento (CE) 1169/2011 (che stabilisce che è vietato indurre in errore il consumatore a)sulle caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione, 2)attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede, 3) suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive, 4)suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente), violazione che è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da € 500,00 ad € 4.000,00.